“La famiglia” o “le famiglie”? Uno sguardo alla nuova realtà delle unioni civili
La FAMIGLIA è la prima formazione sociale (art. 2 Cost.) nella quale si esplica la personalità dell’individuo, unito ad altre persone da un legame di natura coniugale, parentale o di affinità caratterizzato dalla esclusività, stabilità e responsabilità.
Nel corso degli anni il concetto di famiglia ha mutato veste, al punto tale da creare un dubbio: ma esiste un’unica tipologia di famiglia oppure è più corretto parlare di “famiglie”?
Ebbene, l’orientamento largamente prevalente[1], oggi ritiene di guardare al nucleo familiare come ad una comunità aperta che si atteggia diversamente a seconda della realtà di riferimento.
La primigenia forma di famiglia è tutelata dagli artt. 29-31 Cost., letti in combinato disposto; dagli stessi, infatti, emerge la necessità di tutelare la famiglia “legittima”, intesa come società naturale fondata sul matrimonio, individuando i diritti ed i doveri cui sono tenuti i coniugi, in situazione di uguaglianza morale e giuridica, sia l’un l’altro che nei confronti dei figli.
Elemento fondamentale, in tal caso, è la celebrazione del matrimonio, inteso sia come atto formale dal quale nasce il rapporto di comunione spirituale e materiale, implicante gli obblighi di cura e solidarietà tra i coniugi[2], sia come rapporto che unisce marito e moglie nella costruzione della vita d’insieme[3].
A questa tipologia se ne affianca un’altra: la c.d. famiglia di fatto o convivenza more uxorio, definita dalla Cassazione[4] come quella “consuetudine di vita comune fra due persone di sesso diverso, che abbia il requisito subiettivo del trattamento reciproco delle persone analogo, per contenuto e forma, a quello normalmente nascente dal vincolo coniugale e che abbia, altresì, il requisito oggettivo della notorietà esterna del rapporto stesso quale rapporto coniugale, inteso non in senso assoluto, ma in relazione alle condizioni sociali ed al cerchio di relazioni dei conviventi, anche se sempre con un certo carattere di stabilità”.
Dunque, ci si trova dinanzi ad una realtà diversa da quella indicata sopra, nella quale due soggetti decidono di condividere la loro vita, in modo stabile e continuativo, assumendo degli obblighi, senza, però, unirsi in matrimonio.
La legge Cirinnà, n. 76/2016, ha fatto sì che a queste due formazioni sociali se ne affiancasse una terza: l’unione civile tra persone dello stesso sesso, già riconosciuta come tale dal giudice delle leggi[5] in una nota sentenza del 2010, nella quale si legge che “nella nozione di formazione sociale, di cui all’art. 2 Cost., è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.
La diversità delle tre tipologie di famiglia permette agli interpreti di modulare l’idea stessa dell’istituto familiare che ha cambiato i suoi connotati nell’ottica di una inevitabile evoluzione dei costumi sociali.
Va precisato, però, che questo approdo non è stato il frutto dell’adeguamento operato dagli interpreti in linea con l’evolversi della società[6], ma una vera e propria trasformazione caratterizzata da un travagliato iter di approvazione della richiamata normativa che, come sempre, viene preceduto da interventi giurisprudenziali: sia della Corte Costituzionale che del Giudice di legittimità.
In merito a tale questione, il legislatore italiano, purtroppo, si è mostrato lento, più che cauto, giungendo solo nel 2016 a prevedere strumenti in grado di consentire una piena equiparazione, in termini di riconoscimento di diritti e garanzie, alle coppie omosessuali.
Infatti, prima dell’emanazione della legge Cirinnà, l’ordinamento italiano non prevedeva alcuna forma di tutela dei rapporti caratterizzati dall’unione di due persone dello stesso sesso, né si riteneva percorribile la strada di estendere la disciplina dell’istituto matrimoniale previsto dalla Costituzione, dal Codice civile e dalla legislazione speciale.
Inoltre, a partire dagli inizi del XXI secolo, la stessa Corte Costituzionale ha sollecitato l’intervento legislativo, ritenendolo quale passaggio obbligato e dovuto, al fine di approntare una disciplina che fosse in linea con quella degli altri Stati (europei e non solo).
Pertanto, ed anche in virtù anche della nuova lettura delle norme sovranazionali in materia di famiglia (artt. 8 e 12 CEDU, art. 9 CDFUE[7]), a seguito di un complesso ed articolato percorso parlamentare, è stata finalmente approvata la l. 76/2016.
La legge consta di un unico articolo composto da 69 commi, di cui solo la prima parte (co. 1-35) è dedicata alle unioni civili tra persone dello stesso sesso[8].
Le UNIONI CIVILI rappresentano una specifica formazione sociale caratterizzata dalla creazione, tra persone dello stesso sesso, di vincoli affettivi ed economici, tutelati dall’ordinamento, al punto da permettere il riconoscimento di uno status giuridico che per molti versi è analogo a quello attribuito al matrimonio.
Si pensi, a tal proposito, ai numerosi richiami alle norme del codice civile in materia di rapporti personali[9], patrimoniali e di tipo successorio[10], laddove è lo stesso legislatore ad aver previsto che “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio, nonché quelle contenenti le parole <<coniuge, coniugi, o simili>> si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile”.
Solo persone maggiorenni e dello stesso sesso possono costituire un’unione civile, attraverso una dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile, registrata presso l’archivio del Comune, in presenza di due testimoni, certificata da un documento che attesta la costituzione del vincolo, contenente: i dati anagrafici della coppia, la loro residenza, il regime patrimoniale prescelto tra la comunione dei beni e la separazione dei beni[11], nonché l’identità, la residenza e i dati anagrafici dei testimoni.
Si badi, però, che non sempre è possibile costituire un’unione civile, infatti non possono unirsi civilmente due persone qualora:
siano legate da un rapporto di affinità o di parentela,
una di esse sia stata condannata in via definitiva per omicidio, anche solo tentato, nei confronti del coniuge o di soggetto già unito civilmente con l’altra,
una delle parti è comunque già sposata o ha un’unione civile con un altro soggetto.
In presenza di una di tali cause impeditive l’unione è nulla.
Con la costituzione dell’unione civile tra le parti sorgono diritti e doveri.
In particolare: -nasce l’obbligo di assistenza morale e materiale, e quello alla coabitazione, mentre è escluso l’obbligo di fedeltà[12]; -le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità lavorativa, sia professionale che casalinga, a contribuire ai bisogni comuni; -stabiliscono di assumere un cognome comune, scelto tra uno dei due, per tutta la durata dell’unione civile[13]; -decidono il luogo di residenza comune e concordano l’indirizzo di vita familiare;
Una differenza fondamentale tra unione civile e matrimonio è rappresentata dai figli.
Prima in sede di discussione parlamentare ad opera dei partiti contrari all’emanazione della legge Cirinnà, e poi nella concreta realizzazione della disciplina oggetto di tutela delle coppie omosessuali, si è ritenuto di dover escludere fermamente la possibilità che il figlio minore di un componente della coppia (nato da fecondazione eterologa o da gestazione per altri) instauri un rapporto di genitorialità con l’altro a seguito di adozione (cd. stepchild adoption)[14].
Ma l’aspetto più interessante da valutare è quello relativo alle cause di SCIOGLIMENTO DELL’UNIONE CIVILE.
Sono causa di scioglimento (immediato), così come avviene per il matrimonio, la morte o la dichiarazione di morte presunta di una parte dell’unione civile.
A queste ipotesi si affiancano solo alcune di quelle previste dall’art. 3 l. 898/1970, ossia:
quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l’altra parte dell’unione civile è stata condannata, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza: a) all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale; b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all’articolo 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione; c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno dell’altra parte dell’unione civile o di un figlio; d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all’articolo 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’articolo 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno dell’altra parte dell’unione civile o di un figlio. Nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili dell’unione accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare. Per tutte le ipotesi previste nel numero 1) del presente articolo la domanda non è proponibile dalla parte dell’unione civile che sia stata condannata per concorso nel reato ovvero quando la convivenza è ripresa;
nei casi in cui: a) l’altra parte dell’unione civile è stata assolta per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo; b) quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili dell’unione accerta l’inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare; c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili dell’unione ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi; d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo; e) l’altra parte dell’unione civile, cittadino straniero, ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento dell’unione o ha contratto all’estero nuova unione.
A tali ipotesi se ne aggiungono altre due: -qualora una delle parti dell’unione civile rettifichi il proprio sesso; – e laddove una delle parti abbia manifestato, anche senza consenso dell’altra parte, la sua volontà di scioglimento del rapporto dinanzi all’ufficiale di stato civile, c.d. divorzio immediato; in tal caso il legislatore non ha previsto che il giudice accerti il venir meno della comunione materiale e spirituale tra i due[15].
Ognuno dei partner, pertanto, in virtù di quanto previsto dalla l. 76/2016, è libero di sciogliere il legame scegliendo tra le tre strade indicate dalla legge per lo scioglimento del rapporto coniugale o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma senza passare per la separazione.
Si tratta di una procedura particolarmente celere che si esplica attraverso due fasi:
in una prima fase, occorre presentare una domanda di scioglimento dell’unione all’ufficiale di stato civile;
decorsi tre mesi dalla manifestazione di tale volontà si apre la seconda fase nella quale entrambe le parti, o solo una di esse, presenta ricorso al Tribunale del luogo in cui risiede, al fine di ottenere il definitivo scioglimento.
Se si tratta di una richiesta congiunta viene trattata in camera di consiglio e si conclude con sentenza; qualora, invece, sia disgiunta viene fissata udienza innanzi al Presidente del Tribunale il quale, sentite le parti e fallito il tentativo di conciliazione, dà i provvedimenti temporanei ed urgenti, rinviando tutto al giudice istruttore che concluderà il procedimento con sentenza di scioglimento dell’unione.
Considerando che le modalità di scioglimento del matrimonio, ove possibile, si estendono anche alle unioni civili è opportuno richiamare altri due istituti:
la negoziazione assistita (art. 6 d. l. 132/2014): si sostanzia in una convenzione conclusa tra le parti dell’unione civile, assistite da almeno un avvocato, le quali convengono di cooperare in buona fede e con lealtà al fine di sciogliere in via amichevole il vincolo. L’accordo viene trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente per il nulla osta, al fine di operare il controllo indiretto sulla regolarità formale dell’accordo stesso e sulla presenza dei requisiti essenziali per la validità del patto, senza tralasciare la valutazione in merito al rispetto delle norme imperative e di ordine pubblico. Se a seguito del controllo il P.M. ritiene di dare esito positivo, comunica agli avvocati delle parti il nulla osta per la trasmissione dell’accordo all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui l’unione civile è stata registrata. L’accordo raggiunto produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono lo scioglimento dell’unione civile;
lo scioglimento del vincolo innanzi al Sindaco (art. 12 d. l. 132/2014): entrambe le parti dell’unione civile richiedono congiuntamente lo scioglimento della loro unione al Sindaco con l’assistenza facoltativa degli avvocati, in assenza di qualsivoglia controllo giurisdizionale. L’ufficiale di stato civile invita a comparire le pari di fronte a sé non prima di trenta giorni dalla ricezione delle dichiarazioni per la conferma dell’accordo. Se le parti non compaiono nel termine fissato, rinunciano implicitamente alla richiesta di scioglimento; al contrario, ove compaiano e confermino la loro volontà, l’accordo si perfeziona e produce gli effetti dello scioglimento.
In caso di scioglimento dell’unione è, altresì possibile prevedere l’obbligo, in capo all’unito civilmente, di somministrare periodicamente, nei confronti del soggetto con il quale si è unito, un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
A tal proposito, deve tenersi conto del recente intervento della Cassazione[16] (estendibile anche alle coppie omosessuali), con il quale pare si sia abbandonato il criterio del tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio (e quindi anche in costanza dell’unione civile), per preferirsi quello condizionato al riconoscimento dell’assegno di divorzio sulla base di una duplice verifica:
in primo luogo, occorre valutare se il coniuge o la parte dell’unione civile manca dei mezzi adeguati o è impossibilitato a procurarseli in riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica derivante da redditi di qualsiasi specie e/o cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenendo conto anche delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in riferimento alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro), nonché della disponibilità di una casa di abitazione. Valutazioni, queste, che attengono al c.d. an debeatur;
in secondo luogo, previo riconoscimento della spettanza dell’assegno sulla base di quanto poc’anzi detto, è necessario procedere all’identificazione del c.d. quantum debeatur, tenendo conto di tutti gli elementi indicati nell’art. 5, co. 6 l. 898/1970, quali: le condizioni delle parti dell’unione civile, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, e valutare tutti questi elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno divorzile.
In merito all’assegno di divorzio deve essere qui specificato che recentemente è stata rimessa la questione alle Sezioni Unite della Cassazione, per capire se la linea da seguire è quella appena indicata o è più opportuno procedere valutando il tenore di vita della coppia durante il matrimonio o l’unione civile.
Per motivi di completezza espositiva è importante fare un passaggio anche sul diritto all’assegnazione della casa familiare in caso di scioglimento dell’unione civile.
Occorre, in primo luogo, sottolineare che non si tratta di un diritto proprio dei partner, anzi, nel caso in cui la coppia non abbia figli comuni è molto difficile che venga concessa l’assegnazione alla parte non proprietaria in mancanza di accordo.
In merito a ciò, dobbiamo ricordare quanto sopra anticipato, ossia che la legge Cirinnà esclude la c.d. stepchild adoption (l’adozione del figlio del partner), però ciò non toglie che potrebbero esserci casi in cui la coppia abbia dei figli: ad esempio allorquando sia il Tribunale a prevedere l’adozione[17].
Quindi non è escluso che una coppia omosessuale unita civilmente abbia dei figli comuni.
In tal caso, pertanto, varranno le stesse regole previste per le coppie unite dal vincolo del matrimonio; dunque, si valuterà il best interest dei figli minorenni o non autosufficienti, assegnando la casa genitore collocatario (ossia al genitore che vivrà prevalentemente con la prole), oppure a quello cui sono affidati gli stessi nei casi, ormai ridotti, in cui solo un genitore sia ritenuto idoneo all’esercizio della responsabilità genitoriale[18].
L’assegnazione durerà fin quando i figli comuni vi abiteranno o saranno economicamente autosufficienti, indipendentemente dalla maggiore età raggiunta dagli stessi.
Infatti, qualora l’assegnatario non vi abiti più stabilmente e laddove dedica di contrarre una nuova unione civile o una convivenza, l’altra parte potrà chiedere la revoca dell’assegnazione stessa.
Una precisazione va però fatta: le parti possono accordarsi, inserendo nelle condizioni di scioglimento dell’unione, anche il beneficio dell’assegnazione della casa per il partner non proprietario, allorquando una delle parti non abbia i mezzi sufficienti per garantirsi un alloggio adeguato. In questa peculiare ipotesi l’assegnazione assumerà un valore economico da valutarsi ai fini della determinazione dell’eventuale assegno di mantenimento.
Diversa è l’ipotesi in cui l’immobile sia di proprietà di entrambi. In tal caso è opportuno che in sede di scioglimento del vincolo venga trovata una soluzione, sia essa la vendita dell’immobile per dividere la somma in base alle quote di proprietà, sia la liquidazione della quota all’altro partner.
La disciplina delle unioni civili si presenta, dunque, quale terza forma di famiglia da riconoscersi in virtù del principio contenuto nell’art. 2 Cost., il quale riconosce e garantisce le formazioni sociali.
La stessa si affianca, con le sue peculiarità, alla famiglia originaria ed alla, già riconosciuta, convivenza more uxorio, senza appiattirsi a nessuna delle due fattispecie.
Infatti, nonostante ci sia una tendenziale equiparazione col matrimonio per quanto attiene a diritti e obblighi, il legislatore ha precisato i punti particolari in cui le due formazioni devono necessariamente divergere. Indice di ciò si rinviene soprattutto nella terminologia utilizzata: i partner di una coppia omosessuale non sono riconosciuti giuridicamente come coniugi, bensì come parti dell’unione civile, così da sottolinearne le evidenti differenze.
Il quadro delineato, dunque, consente agli interpreti di avallare quell’orientamento che tende ad utilizzare il termine famiglia non più nell’accezione originaria ma aprendosi all’idea che sono immaginabili, di esso, diversi significati, ognuno dei quali carico di sfumature che lo rendono meritevole di tutela.
Bibliografia
Fratini, Compendio di diritto civile, NEL DIRITTO EDITORE
Salvestroni, Nozioni generali di diritto civile, GIUFFÈ
Santise, Coordinate di diritto civile, GIAPPICHELLI EDITORE
Note
[1] M. Fratini, Compendio di diritto civile, NEL DIRITTO EDITORE
[2] U. Salvestroni, Nozioni generali di diritto civile, GIUFFÈ
[3] Alla base di quest’impostazione vi è l’idea che lo Stato deve tutelare la solidità della famiglia, basata sul matrimonio, come istituzione del sistema giuridico.
[4] Cass. N. 1041/1966
[5] Corte Costituzionale n. 138/2010
[6] Come spesso avviene con gli istituti obsoleti.
[7] Si badi, però, che si tratta di disposizione che, nell’interpretazione data loro dalla Corte di Strasburgo, non implicano un obbligo degli Stati di riconoscere il diritto al matrimonio omosessuale, sicché il divieto dell’ordinamento italiano di equiparare quest’ultimo a quello omossessuale non è confliggente con la normativa sovranazionale, ma implica il dovere di assicurare una tutela giuridica alle unioni omosessuali.
[8] Infatti, questa legge, oltre a consentire alle coppie omosessuali di stipulare le unioni civili ha permesso alle coppie conviventi di regolare formalmente la loro convivenza da un punto di vista economico (co. 36-65).
[9] In particolare, alle coppie dello stesso sesso unite con tale vincolo si applicano le discipline relative all’amministrazione di sostegno, all’inabilitazione, all’interdizione e all’annullamento del contratto a seguito di violenza. Si applicano, inoltre, gli ordini di protezione in caso di grave minaccia all’integrità fisica o morale di una delle parti.
[10] Tutta la disciplina della successione legittima riguarda la parte dell’unione civile nella medesima maniera del coniuge, con la conseguenza che al partner omosessuale del de cuius spetterà l’intera eredità in mancanza di figli, fratelli, sorelle e ascendenti del defunto; i due terzi dell’eredità in presenza di ascendenti, fratelli o sorelle del defunto; metà dell’eredità in caso di concorso con un solo figlio o un terzo in caso di concorso con più figli del defunto. Allo stesso modo può dirsi con riguardo alla successione ereditaria: laddove il coniuge e la parte di un’unione civile sono interamente equiparati, per cui quest’ultima ha sempre il diritto di abitazione sulla casa familiare e di uso sui mobili che l’arredano. L’unica differenza si coglie in relazione alla disciplina dettata per la successione del coniuge separato, non essendoci, nel caso delle unioni civili, il passaggio per la separazione. Occorre sottolineare, inoltre, che la normativa in tema di unioni civili ha inciso anche sull’istituto dell’indegnità, idoneo a sancire l’esclusione dalla successione. È, infatti, indegno anche chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il partner dell’unione civile del soggetto al quale si succede (salva la sussistenza di cause di esclusione della punibilità) o ha commesso in suo danno un fatto al quale sono applicabili le disposizioni dettate per l’omicidio. È inoltre indegno chi ha denunciato la parte dell’unione civile per un reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore a tre anni se tale denuncia è stata accertata come falsa all’esito di un giudizio penale.
[11] Il regime ordinario è quello della comunione dei beni mentre la separazione dei beni resta una possibilità della quale avvalersi in maniera espressa. È possibile, altresì, che i soggetti uniti da un’unione civile costituiscano un fondo patrimoniale, dato che a tale vincolo si applica la relativa disciplina, così come quelle dell’impresa familiare, della comunione legale e della comunione convenzionale.
[12] Tale precisazione ha scatenato non poche polemiche, soprattutto da parte di coloro che erano contrari alla equiparazione tra coniugi e parti dell’unione civile.
[13] Questo è uno degli aspetti che differenzia l’unione civile dal matrimonio; in quest’ultimo caso, infatti, è la moglie che aggiunge sempre al proprio cognome quello del marito.
[14] Tale questione è stata forse quella più dibattuta nel corso dell’approvazione della legge, tanto che, contenuta nell’originario disegno di legge, è stata stralciata nella fase che ha portato all’emanazione del testo normativo.
[15] Al contrario di quanto avviene per il matrimonio, si segnala che per le coppie unite da un’unione civile non è possibile chiedere lo scioglimento della stessa in maniera semplificata rispetto all’iter normale in caso di mancata consumazione del rapporto.
[16] Sez. I n. 11504/2017 Lamorghese
[17] La norma rimette ai Tribunali la valutazione sulla legittimità delle adozioni caso per caso. Si pensi al caso delle due madri di cui una è partoriente e l’altra è donatrice del gamete femminile.
[18] La ratio del provvedimento di assegnazione, infatti, risiede nell’esigenza di tutela dell’interesse morale e spirituale della prole a mantenere l’habitat domestico affinché sia reso meno traumatico il cambiamento di vita causato dalla rottura del nucleo familiare.
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