La figura dei “diritti soglia” nelle società quotate e nelle società “chiuse”
Premessa. La presente analisi è finalizzata a riepilogare gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione delle minoranze azionarie per tutelare i propri diritti e si basa sulla distinzione esistente tra la posizione dei soci di minoranza di S.p.A. quotate e quelli di S.p.A. chiuse. L’azione rappresenta, infatti, l’unità minima di partecipazione al capitale sociale di una società ed attribuisce di norma uguali diritti ai vari possessori. Nondimeno, il dualismo esistente tra soci di maggioranza e soci di minoranza, nonché la relatività del concetto di “socio di minoranza” – variabile al variare del livello di frammentazione della compagine societaria – impongono una distinzione nell’ordine dei diritti rimessi alle minoranze e di quelli propri delle maggioranze, un meccanismo di “azione e reazione” che si pone alla base del principio maggioritario, eletto a guida del funzionamento della società per azioni. Nell’ottica dell’efficienza, infatti, il nostro ordinamento, nelle società di capitali ha subordinato l’esercizio di alcuni diritti al possesso di determinate quote minime nel capitale della società, dando origine alla figura dei cosiddetti “diritti soglia”. Prima di iniziare ad approfondire i singoli diritti dei soci di minoranza, occorre premettere che il canone prescelto dal legislatore per distinguere tra esercizio dei diritti sociali nelle società aperte e nelle società chiuse non è tanto qualitativo, quanto piuttosto quantitativo e si riduce alla richiesta di una diversa soglia di capitale a seconda che la società faccia o meno ricorso al mercato del capitale di rischio.
I diritti sociali connessi allo svolgimento dell’assemblea. I diritti sociali più importanti sono connessi allo svolgimento dell’assemblea dei soci: essa rappresenta dei momenti di maggiore rilievo nella vita della società e gli azionisti riuniti in assemblea adottano alcune delle decisioni più importanti per la vita della medesima (Art. 2364 c.c.). L’art. 2367 c.c., derogando alla regola di convocazione dell’assemblea da parte dell’organo amministrativo, prevede che l’adunanza debba essere convocata anche quando a farne richiesta sono tanti soci che rappresentino almeno il ventesimo del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e un decimo nelle altre (fatte salve in ogni caso le minori percentuali previste dallo statuto). Altre differenze tra società quotate e non si riscontrano nelle formalità previste per la convocazione[1]. Avendo riguardo sempre al medesimo ambito assembleare, occorre precisare che ai sensi dell’art. 126-bis TUF si prevede per i soci che detengano una partecipazione pari ad almeno un quarantesimo del capitale sociale, la possibilità di richiedere, entro 10 giorni dalla pubblicazione, l’integrazione dell’ordine del giorno, sia mediante la proposizione di ulteriori argomenti da trattare, sia attraverso la presentazione di nuove proposte su materie già all’ordine del giorno. Un’altra specificità prevista dal Testo Unico della Finanza per le sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è quella contenuta nell’art. 127-ter, allorché esso prevede per i soci titolari del diritto di voto la possibilità di proporre domande prima dell’assemblea entro il termine previsto nell’avviso di convocazione. Tra le maggiori possibilità degli azionisti di S.p.A. quotata per far sentire il peso della loro voice rientra certamente, poi, anche la facoltà per coloro che siano titolari di almeno un quarantesimo del capitale sociale o, della percentuale prevista dalla Consob, di presentare liste per l’elezione dei componenti di minoranza indipendenti degli organi di amministrazione e controllo della società. Ai fini poi di facilitate l’espressione del voto, l’art. 138 del TUF prevede anche la possibilità di effettuare una sollecitazione di deleghe di voto, tramite la quale raccogliere le deleghe degli altri azionisti, aggregando in tal modo più voti alla propria proposta di voto e aumentandone di conseguenza le possibilità di successo. La raccolta di deleghe su una specifica proposta di voto deve essere effettuata nel rispetto della disciplina prevista dal TUF e dal Regolamento Consob; in particolare, il socio promotore sarà tenuto a pubblicare un prospetto contenente le informazioni richieste dalla Consob con particolare riguardo alle motivazioni della sollecitazione.
Il diritto dei soci all’informazione e il momento extra-assembleare. L’informativa dell’azionista va anche oltre il momento assembleare. Anche chi non ha partecipato all’assemblea ha infatti il diritto di conoscere i fatti che in essa hanno avuto luogo. Così, a norma dell’art. 125-quater, le sole società emittenti sono obbligate a mettere a disposizione del mercato entro cinque giorni dalla data di svolgimento dell’assemblea il rendiconto sintetico delle votazioni e il verbale assembleare entro 30 giorni dalla data dell’adunanza, fermi restando per le S.p.A. chiuse gli obblighi di constatazione delle deliberazioni prese in assemblea in un verbale redatto ai sensi dell’art. 2375 c.c. Anche se l’assemblea dei soci rappresenta l’occasione più importante per ricevere informazioni sull’andamento della gestione societaria, i soci possono verificare che la condotta degli amministratori sia rispondente all’interesse sociale anche attraverso altre modalità: tale prerogativa, già presente nella società chiusa, viene meglio esplicitata nel caso di società quotata. Si consideri, infatti, che l’art. 130 del TUF prevede un esplicito diritto dei soci all’informazione, chiarendo come sia nelle loro facoltà quella di prendere visione di tutti gli atti depositati presso la sede sociale per l’assemblea già convocata e di ottenerne copia a proprie spese.
I diritti “di reazione” dei soci. Sempre fuori dal perimetro assembleare e nell’ottica di reazione a decisioni presunte lesive dei loro diritti si inseriscono i cosiddetti diritti di reazione dei soci. Essi sono comuni sia alle società aperte che a quelle chiuse e si distinguono solo per le diverse soglie fissate dal Codice civile per il loro esercizio. L’art. 2377 c.c. (e l’art. 127-bis del TUF che vi fa rinvio) prevedono, infatti, che le deliberazioni assunte in violazione della legge o dello statuto possano essere impugnate dai soci che, essendo assenti, dissenzienti o astenuti, rappresentino almeno l’uno per mille nel capitale sociale delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (percentuale elevata al cinque per cento nelle altre). Ancora, è sempre il Codice civile a prevedere all’art. 2393-bis c.c. la possibilità per i soci di esercitare nei confronti degli amministratori l’azione di responsabilità; anche in questo caso le percentuali di partecipazione richiesta variano da società chiuse a società aperte, essendo fissate nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio in un quarantesimo del capitale (o nella soglia minore prevista dallo statuto), mentre tale quota aumenta sino al quinto del capitale sociale nella S.p.A. non quotate. Occorre poi ricordare che rientrano tra i diritti di reazione del socio anche azioni quali la denunzia di fatti censurabili all’organo di controllo (Art. 2408 c.c.) o al Tribunale (Art. 2409 c.c.). Il diritto di denunziare fatti censurabili all’organo di controllo non è subordinato al possesso di una specifica soglia di capitale, tuttavia, l’obbligo di indagare grava in capo allo stesso organo solo allorquando la denunzia provenga da tanti soci che rappresentino almeno il due per cento del capitale sociale nelle S.p.A. quotate (o il cinque per cento in tutte le altre). Sugli stessi presupposti si basa poi la denunzia al Tribunale, a variare, anche in questo caso, sono però le soglie di partecipazione richiesta (un ventesimo del capitale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, che diventa un decimo nelle S.p.A. chiuse). Infine, bisogna ricordare un diritto dei soci, per così dire, residuale: il diritto di recesso. Disciplinato dall’art. 2437 c.c., è previsto nel caso in cui il socio non abbia concorso alle delibere elencate dallo stesso articolo. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio si caratterizza per avere una portata più ristretta (lo statuto non può prevedere a differenza che nelle S.p.A. chiuse cause di recesso diverse da quelle elencate dall’art. 2437 c.c.), oltre che tempistiche abbreviate (lo statuto non può allungare il termine di preavviso fissato in 180 giorni). Nella realtà, però, si constata invero una sostanziale inutilità della disciplina del recesso in caso di società con titoli quotati, avendo la quotazione tra i suoi principali effetti anche quello di facilitare il diritto immediato all’exit dell’azionista insoddisfatto mediante la cessione della partecipazione.
[1] L’art. 2366 c.c. prevede che l’avviso di convocazione debba essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale o in un quotidiano indicato nello statuto almeno 15 giorni prima della data dell’assemblea. Tale disposizione, in caso di società chiuse, può essere derogata ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, allorché è possibile prevedere la convocazione mediante avviso comunicato ai soci con mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima della data fissata per l’adunanza. Diversamente, le formalità previste dall’art. 125-bis del TUF sono assai più stringenti e spaziano da forme di pubblicità più pregnanti (la pubblicazione dell’avviso sul sito internet della società) a tempistiche più dilatate (pubblicazione dell’avviso almeno 30 giorni prima dell’assemblea, che diventano 40 in caso di elezione mediante voto di lista dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, oltre a prevedere un contenuto dell’avviso più dettagliato (Art. 125-bis, comma 4).
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Luigi Parrilla
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