La giurisdizione in materia di diniego e revoca degli atti di erogazione di finanziamenti pubblici
Il sistema nazionale di tutela giurisdizionale si caratterizza per essere un sistema a cosiddetto doppio binario, nel quale alla giurisdizione del giudice ordinario, deputato a conoscere delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi, si affianca il giudice amministrativo, al quale spetta la giurisdizione nel caso in cui emerga la lesione di un interesse legittimo. L’ordinario criterio di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo è, dunque, affidato al principio della causa petendi: si fonda, cioè, sulla natura della posizione giuridica soggettiva lesa dall’operato della pubblica amministrazione.
Siffatta conclusione, frutto di un lungo percorso normativo che trae l’abbrivio dalla legge Crispi del 1889, istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, con la quale si inaugura la posizione di interesse legittimo del privato a fronte dell’esercizio del potere della pubblica amministrazione e il conseguente problema della sua tutela giurisdizionale, trova oggi conferma all’art. 103 Cost., il cui precipitato applicativo, a livello di normazione primaria, si rinviene nell’art. 7 c.p.a., norma la quale consacra il criterio di riparto fondato sulla distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi.
Il criterio di riparto fondato sulla natura della situazione giuridica lesa pone l’ulteriore problema di capire quando si è in presenza di un diritto soggettivo, la cui cognizione spetta al giudice ordinario e quando, invece, la giurisdizione è del giudice amministrativo, in quanto il privato asserisce la lesione di un interesse legittimo.
In disparte il criterio di distinzione basato sulla natura dell’attività esercitata dalla pubblica amministrazione, in forza del quale a fronte di attività vincolata la posizione del privato sarebbe di diritto soggettivo, di interesse legittimo se la P.A. esercita un potere discrezionale, così come i criteri basati sulla dicotomia norma di azione – norma di relazione e, ancora, il criterio che fa leva sulla contrapposizione tra atti di imperio e atti di gestione e premesso che al fine di individuare i diritti soggettivi e gli interessi legittimi è irrilevante la prospettazione operata dalla parte ricorrente, ma occorre avere riguardo alla vera natura della posizione giuridica soggettiva fatta valere; il criterio di distinzione oggi prevalente è quello basato sulla patologia del provvedimento asseritamente lesivo e, in particolare, sulla distinzione tra carenza di potere e cattivo uso del potere.
Nei casi in cui si è al cospetto di un potere scorrettamente esercitato dalla P.A., seppure in presenza di una norma attributiva del detto potere, la posizione del privato è di interesse legittimo e conseguentemente la giurisdizione è del giudice amministrativo. Viceversa, nei casi in cui la pubblica amministrazione esercita un potere che nessuna norma di legge le attribuisce la posizione del privato è di diritto soggettivo e la giurisdizione è del giudice ordinario.
Questo criterio risente notevolmente della tradizionale teoria della degradazione, oggi superata dalla nota dottrina dei “blocchi normativi”, in forza della quale un potere amministrativo dotato di copertura legale, seppure male esercitato, è comunque idoneo a degradare la posizione del privato da diritto soggettivo a interesse legittimo, a differenza del potere, invece, privo di base legale, il quale si risolve in un mero comportamento illecito della pubblica amministrazione, al cospetto del quale la posizione del privato era e resta di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.
Ciò chiarito quanto all’ordinario criterio di riparto di giurisdizione, consacrato all’art. 103 Cost. e ribadito nel codice del processo amministrativo all’art. 7, corre l’obbligo di precisare che lo stesso legislatore costituzionale ne prevede una deroga, attribuendo rilevanza alla particolarità di talune materie, la cui cognizione spetta al giudice amministrativo, indifferente essendo la posizione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio.
La distinzione tra l’ordinaria giurisdizione del giudice amministrativo e quella esclusiva è, oggi, esplicitata anche nel codice del processo amministrativo all’art. 7, nonché all’art. 133, ove sono testualmente indicate, in una norma particolarmente corposa, tutte le materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La tecnica seguita dal legislatore del codice del processo è stata quella di riunire in un unico articolo tutte le vigenti fattispecie di giurisdizione esclusiva, abrogando o modificando le disposizioni di settore che prevedevano il rispettivo riparto, in modo tale da avere un’unica norma esaustiva da consultare al fine di risolvere il problema di giurisdizione, in un’ottica di maggiore celerità, trasparenza e chiarezza normativa.
Le materie che è possibile rimettere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo devono, in ogni caso, essere, per espressa previsione costituzionale, “particolari”. La particolarità della materia, dunque, funge da criterio guida nonché da limite alla discrezionalità legislativa, come chiarito dalla Corte Costituzionale nella nota sent. n. 204 del 2004. La Corta in tale occasione, con enunciazioni di principio che saranno poi ribadite anche nel 2006 e nel 2007, ha precisato che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la giurisdizione di legittimità partecipano della medesima natura, presupponendo entrambe che nella controversia sia in discussione l’attività posta in essere dalla pubblica amministrazione in veste di autorità. Pertanto al legislatore non è riconosciuta un’assoluta e incondizionata discrezionalità nell’attribuire blocchi di materie alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, ma solo il potere di indicare materie nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe anche diritti soggettivi, oltre che interessi legittimi, in ciò sostanziandosi la “particolarità” di cui fa menzione l’art. 103 Cost. e 7 c.p.a. Ne discende la necessità che vengano in rilievo non meri comportamenti, con i quali la pubblica amministrazione agisce in qualità di soggetto comune, bensì comportamenti amministrativi con i quali l’Autorità agisce in un settore pubblicisticamente qualificato e delimitato.
È quanto avviene nei casi di giurisdizione esclusiva elencati all’art. 133 c.p.a., ove posizioni anche di diritto soggettivo vengono rimesse alla cognizione del giudice amministrativo in virtù del cosiddetto “nodo gordiano”, ossia dell’intreccio quasi inestricabile tra le posizioni di interesse legittimo e diritto soggettivo, che ne giustifica la rimessione alla cognizione di un unico giudice.
Alla luce delle suesposte considerazioni, dunque, la deroga al normale criterio di riparto per essere legittima deve investire materie dotate di siffatte caratteristiche, deve trattarsi, cioè, di materie che anche in assenza di un’apposita previsione legale sarebbero per la maggior parte rimesse alla cognizione del giudice amministrativo, se non per una minima frazione che, investendo posizioni di diritto soggettivo, sarebbe di competenza del giudice ordinario. La giurisprudenza e la più autorevole dottrina, infatti, discorrono di “giurisdizione di completamento” e non di conferimento, nel senso che la previsione legislativa, che assegna alla cognizione del giudice amministrativo particolari materie, non deve risultare avulsa dalla logica del tradizionale riparto, ma deve assegnare alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo materie che, anche in assenza di una specifica previsione di legge, sarebbero comunque devolute alla sua cognizione, salva una parte residuale.
Queste sono le coordinate ermeneutiche che devono guidare l’interprete nel dirimere le questioni di giurisdizione portate al suo vaglio, nel senso che, a fronte di una controversia della quale non sia chiaro il riparto di giurisdizione, occorre in primo luogo accertare se la stessa non afferisca ad una materia riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nel qual caso il problema è risolto a monte dal legislatore. In caso contrario, qualora la controversia non sia riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, occorrerà farsi guidare dal tradizionale e ordinario criterio di riparto, basato sulla consistenza della posizione giuridica lesa dall’azione della pubblica amministrazione e, in particolare, sulla dicotomia diritto soggettivo – interesse legittimo, tenendo a mente che il criterio per distinguere le due posizioni attualmente prevalente in dottrina e in giurisprudenza è quello che fa leva, rispettivamente, sulla carenza di potere, in quanto la pubblica amministrazione esercita un potere che non le è stato attribuito dalla legge, o cattivo uso del potere, allorquando la P.A. eserciti male un potere comunque conferitole.
Se ne ricava un’equazione, a onor del vero, più chiara in teoria che in pratica, secondo cui alla carenza di potere della pubblica amministrazione sta il diritto soggettivo del privato e la giurisdizione del giudice ordinario, come al cattivo uso del potere della pubblica amministrazione sta l’interesse legittimo del privato e la giurisdizione del giudice amministrativo.
Occorre, dunque, farsi guidare da siffatte coordinate al fine di chiarire il riparto di giurisdizione in materia di diniego e revoca degli atti di erogazione di finanziamenti pubblici.
Giova sul punto premettere alcune considerazioni di ordine sistematico. Le sovvenzioni pubbliche sono pacificamente ricondotte dalla giurisprudenza nel novero dei provvedimenti amministrativi di natura concessoria. Trattasi, in particolare, di provvedimenti con cui l’amministrazione elargisce al privato vantaggi economici, al termine di un procedimento finalizzato all’accertamento della sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per la corresponsione del beneficio. I menzionati requisiti possono essere predeterminati dal legislatore, il quale stabilisce l’an, il quid e il quomodo dell’erogazione; o attraverso il procedimento di cui all’art. 12 della legge n. 241 del 1990.
Nella prima ipotesi, è evidente che la pubblica amministrazione non esercita alcun potere discrezionale, dovendo semplicemente accertare la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge in capo al privato richiedente e se del caso concedere la sovvenzione, cosicché l’atto che delibera la sovvenzione, al pari del suo diniego, può considerarsi meramente attuativo della legge e il potere della pubblica amministrazione può definirsi vincolato; diverso è il caso in cui è, invece, la pubblica amministrazione a predeterminare i criteri e le modalità di concessione degli aiuti economici in parola, esercitando il proprio, tipico, potere discrezionale.
In ogni caso i criteri e le modalità di concessione dei suddetti finanziamenti pubblici devono essere predeterminati e soggetti ad adeguata pubblicità, come previsto dall’art. 12 cit., a garanzia dei principi di imparzialità e trasparenza.
La qualificazione sostanziale del provvedimenti di erogazione di finanziamenti pubblici assume un valore dirimente ai fini della determinazione della giurisdizione.
Seguendo il percorso logico giuridico tracciato in precedenza, occorre in primo luogo interrogarsi circa la sussistenza di una giurisdizione esclusiva in capo al giudice amministrativo nella materia in esame. Dalla lettura dell’articolo. 133 c.p.a. non si rilevano indicazioni in tal senso, come, invece, sostenuto da una parte della giurisprudenza amministrativa, smentita successivamente dall’Adunanza Plenaria nel 2014.
Più nel dettaglio, secondo un’interpretazione giurisprudenziale sostenuta dal Consiglio di Stato, l’atto di erogazione di finanziamenti pubblici partecipa della medesima natura giuridica delle concessioni di beni, differenziandosi solo quanto al profilo oggettivo, pertanto troverebbe applicazione l’art. 133, primo comma, lettera b) c.p.a. che, in tema di concessioni di beni pubblici, prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Tale assunto, come si è anticipato, è stato smentito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale ha ritenuto non condivisibile la tesi che, muovendo dalla qualificazione del denaro come bene pubblico, ha equiparato la disciplina delle sovvenzioni a quella delle concessioni di beni pubblici, con conseguente applicazione anche alle prime dell’art. 133, primo comma, lettera b) c.p.a.. Invero, osserva l’Alto Consesso che anche se il denaro è annoverabile nella categoria di beni non va confusa la figura della concessione di benefici economici, che presuppone da parte del privato l’acquisto della piena proprietà del denaro ed eventualmente dell’obbligo di restituzione, con le concessioni di beni pubblici che fanno sorgere un rapporto differente.
Non sussistendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, deve farsi applicazione del tradizionale criterio di riparto, fondato sulla natura della posizione giuridica soggettiva lesa dall’amministrazione.
Ne consegue che nelle ipotesi in cui il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge e nelle ipotesi di ripetizione del contributo per inadempimento del privato, la giurisdizione è del giudice ordinario sia nel caso di diniego della sovvenzione da parte della pubblica amministrazione, sia in caso di revoca del provvedimento. Ciò non in quanto il potere esercitato dalla pubblica amministrazione è un potere vincolato, ma in considerazione della reale consistenza della posizione soggettiva del privato, il quale vanta una posizione di diritto soggettivo.
Sussiste, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo allorquando alla pubblica amministrazione competono margini di discrezionalità nel definire i requisiti soggettivi e oggettivi, nonché le modalità di erogazione del contributo, sia nelle controversie riguardanti una fase procedimentale precedente al provvedimento attributivo del beneficio, sia qualora il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse. D’altronde, in tali ultime ipotesi, la posizione del privato è chiaramente di interesse legittimo e, in un sistema in cui il riparto di giurisdizione ordinario si fonda sul criterio della causa pretendi, ciò vale a fondare la giurisdizione del giudice amministrativo.
È opportuno, tuttavia, compiere alcune precisazioni. Mentre il diniego dell’erogazione attiene all’esercizio da parte della P.A. del potere discrezionale, ossia alla fase di scelta della pubblica amministrazione; la revoca delle sovvenzioni già attribuite involge profili più delicati, essendo maggiormente compromesso il legittimo affidamento del privato. Si tenga conto, in particolare, che proprio in tema di revoca delle sovvenzioni è intervenuto il decreto sblocca Italia (legge 164/2014) il quale, modificando l’art. 21 quinquies della l. 241/90, ha escluso la possibilità per la pubblica amministrazione di revocare i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Ne consegue che qualora l’amministrazione revochi il beneficio in spregio della previsione normativa, agisce in carenza di potere e la giurisdizione, in ossequio all’ordinario criterio di riparto, si radica in capo al giudice ordinario.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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