La giurisdizione sui danni da indebita percezione del reddito di cittadinanza spetta al G.O.

La giurisdizione sui danni da indebita percezione del reddito di cittadinanza spetta al G.O.

La giurisdizione relativa ai danni patrimoniali correlati all’indebita percezione del reddito di cittadinanza appartiene al Giudice Ordinario. Nota a Corte dei Conti, sez. giurisd. per la Campania, 30 gennaio 2024, n. 46.

Avv. Dott. Renzo Cavadi

 

Sommario: 1. Premessa introduttiva – 2. La vicenda da cui nasce il contenzioso – 3. La condotta contestata nella prospettazione accusatoria da parte della Procura contabile – 4. Lo sviluppo argomentativo nella decisione del Collegio contabile

 

1. Premessa introduttiva

Nelle ipotesi di danno conseguente a condotta riferibile all’indebita percezione della misura del reddito di cittadinanza, la giurisdizione spetta al G.O. e non alla magistratura contabile.

Il reddito di cittadinanza infatti, rientrando nella categoria dei meri sussidi, non conferisce al beneficiario la gestione di risorse secondo finalità pubbliche, risultando costui un mero destinatario di risorse di provenienza pubblica, prive di vincolo di destinazione, erogate nell’ambito di quelle forme di assistenza ai ceti più deboli, anche ai sensi dell’art. 38 della Costituzione.

Ciò in quanto la evidente finalità solidaristico-assistenziale, nel conformare in via esclusiva, struttura ed effetti della ridetta misura, ne esclude in radice, l’inquadramento nel perimetro dei contributi di scopo, per carenza di qualsiasi rapporto di servizio fra il percettore e l’Ente erogante, investendo, per l’effetto, il G.O. della “potestas iudicandi” sulle controversie di suo indebito utilizzo.

Sulla base di tali interessanti considerazioni, la Corte dei Conti, sez. giurisd. per la Campania, attraverso un’importante pronunzia del 30 gennaio 2024 n. 46 (Pres. P. Novelli – Rel. G. Pepe), si è espressa in tema di esatto inquadramento da sempre controverso del reddito di cittadinanza([1]) nonché sulla natura giuridica del susseguente danno patrimoniale, nell’ipotesi di precedente condotta penale rientrante nell’indebita percezione di tale misura.

La decisione della Corte dei Conti, sebbene cristallizzata ratione temporis al vecchio sussidio oramai abolito dal nuovo strumento del reddito di inclusione, offre ugualmente l’occasione al Collegio, per rafforzare un consolidato orientamento seguito dalla magistratura contabile, fornendo un’interpretazione più ampia della ratio della misura assistenziale introdotta dal legislatore nel 2019.

2. La vicenda da cui scaturisce il contenzioso

Con atto di citazione, del 2023, la Procura Regionale della Campania evocava in giudizio il presunto reo erariale per sentirlo condannare a risarcire il danno erariale cagionato all’INPS (pari ad euro 29.670,00, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giustizia), da riferirsi ad addebiti descritti e contestati nel predetto atto.

La vicenda in oggetto, nasceva da una precedente informativa di reato (procedimento penale n. 20657/21), trasmessa nel 2022 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, a seguito della quale il P.M. contabile, attraverso le indagini condotte dalla Guardia di Finanza, ipotizzava e ricostruiva la fattispecie erariale, così come segue.

Nel periodo compreso tra il 2019 ed il 2021, emergeva che l’attuale convenuto, aveva richiesto e fruito di più di una mensilità del reddito di cittadinanza per il complessivo ammontare di euro 29.670,00, in violazione delle prescrizioni dettate dal D. L. n. 4/2019, conv. in l. n. 26/2019 e dal d.p.c.m. n. 159/2013, a pena di decadenza dal beneficio.

3. La condotta contestata nella prospettazione accusatoria da parte della Procura contabile

Nella prospettiva del requirente, l’illecito amministrativo in esame era da collegarsi alla condotta attraverso la quale l’interessato, aveva volutamente omesso di comunicare all’INPS la variazione del proprio patrimonio mobiliare, a seguito di rilevanti vincite on line conseguite tra il 2017 ed il 2021. Il presunto reo erariale percepiva dunque indebitamente varie mensilità del reddito di cittadinanza da aprile 2019 ad ottobre 2021, in violazione dei limiti reddituali all’uopo fissati.

Per quel che interessa il danno patrimoniale, veniva quantificato “nell’intero importo delle somme ricevute, atteso lo sviamento del contributo dalla finalità di pubblico interesse ad esso sottesa, con sottrazione di risorse economiche ad altri possibili aventi diritto”.

L’elemento soggettivo dell’illecito, ruotava intorno al dolo contrattuale vale a dire nella consapevole e volontaria inosservanza di obblighi ben conosciuti ed accettati dal convenuto, con la sottoscrizione dell’istanza di accesso al reddito.

In sede di discussione, il P.M., nel riportarsi al contenuto dell’atto di citazione, rimarcava la sussistenza della giurisdizione del Collegio contabile, concludendo per l’accoglimento della domanda. Più precisamente la Procura nel libello introduttivo del giudizio, evidenziava la presenza di una “relazione tra amministrazione erogante e soggetto percipiente qualificabile in termini di rapporto di servizio, che radica, per l’effetto, la giurisdizione del giudice contabile. In tal senso vale richiamare la recente sentenza della seconda Sezione giurisdizionale di appello della Corte dei conti, n. 468/2022, che, all’esito di ampia ricostruzione della normativa e del contesto giurisprudenziale, compreso il perimetro da ultimo tracciato da due recenti sentenze della Corte Costituzionale (n. 126/2021 e n. 19/2022) che valorizzano fortemente la finalità di politica attiva del lavoro della misura in oggetto, ha ritenuto sussistente il rapporto di servizio in presenza di un progetto finalizzato alla cura della finalità pubblica di inserimento progressivo nel mondo lavorativo del beneficiario dell’erogazione economica”.

4. Lo sviluppo argomentativo nella decisione del Collegio contabile

Secondo i giudici della Corte dei Conti per valutare ex ante se la fattispecie sottoposta all’attenzione del Collegio ricade nella sfera di giurisdizione della magistratura contabile, occorre verificare in via preliminare se alla base, sussiste o meno, un rapporto di servizio tra l’Amministrazione (presunto soggetto danneggiato) e l’autore dell’illecito. Tale circostanza infatti, funge da presupposto “della formulata azione di responsabilità ritenuta ascrivibile alla giurisdizione contabile”.

A tal proposito per la Corte dei Conti, la soluzione del problema passa dall’analisi del pensiero consolidato della copiosa giurisprudenza maggioritaria (Cass. Civ., Sez. Un., nn. 3899/2004, 22513/2006, 14825/2008, 26806/2009, 5019/2010, 3165/2011, 473/2015),la quale peraltro, in materia di contributi pubblici di scopo, ha riscontrato la presenza del rapporto di servizio “ nelle ipotesi di attività gestoria vincolata di pubblico denaro ove il responsabile risulti assoggettato all’osservanza di un programma amministrativo, vale a dire qualora il medesimo, in qualità di extraneus ,venga inserito funzionalmente nell’iter procedimentale pubblicistico con il compito di porre in essere, in luogo della stessa Amministrazione, un’attività tesa al perseguimento di una specifica finalità di interesse generale”.

Sulla base di tali premesse si ricava che, ai fini della configurabilità della sussistenza del rapporto di servizio, devono contestualmente concorrere tre condizioni: a) la provenienza pubblica delle risorse erogate; b) un vincolo funzionale di destinazione delle stesse ad un puntuale scopo pubblicistico con annessa attività gestoria; c) un obbligo di attivazione e rendicontazione a carico del percipiente in relazione alle somme ricevute.

Secondo la Suprema Corte infatti, soltanto di fronte alla contestuale presenza di tali requisiti indicati risulterà configurabile “un contributo di scopo tale da instaurare un rapporto di servizio in senso funzionale tra l’Ente erogante ed il percettore, così radicando in favore del Giudice contabile la cognizione sulle controversie afferenti alla irregolare fruizione della corrisposta provvidenza economica” (Cass. Civ., Sez. Un., n. 21297/2017).

Delineato l’esatto inquadramento della nozione di contributi di scopo, per il Collegio contabile campano, il quale richiama precedente giurisprudenza contabile della stessa sezione (sent. n. 367/2021), vanno tenuti nettamente distinti i semplici sussidi economici, vale a dire quelle erogazioni di pubblico denaro con finalità solidale e assistenziale, i quali peraltro, a differenza dei primi “non implicano alcuna attività amministrativa di gestione di denaro pubblico, limitandosi a prescrivere requisiti e obblighi che, se carenti e/o disattesi, comportano la decadenza dal beneficio, con legittimazione dell’Amministrazione erogante ad agire per il loro recupero innanzi al Giudice ordinario ai sensi dell’art. 2033 c.c.”.

Ciò premesso, la Corte dei Conti con riferimento al caso di specie oggetto del proprio scrutinio, richiama, abbracciandolo in toto, l’orientamento maggioritario espresso proprio dalla Sezione decidente nelle precedenti pronunzie passate in giudicato (nn. 335, 336, 337, 367, 382, 504, 505, 677, 678, 789, 950 del 2021), oltre che nella recentissima decisione n. 14/2024, le quali, proprio in tema di reddito di cittadinanza, hanno declinato la giurisdizione della Corte dei Conti in favore di quella del G.O. nelle ipotesi di sua indebita percezione. In particolare, nell’accedere a tale tesi interpretativa tali decisioni, facendo rientrare il reddito di cittadinanza nella categoria dei meri sussidi, “ne hanno evidenziato la natura sociale di misura di solidarietà volta ad assicurare a persone indigenti una minima fonte di sostentamento economico, senza imporre alcuna attività gestoria o assunzione di compiti e attività amministrative direttamente riconducibili alla voluntas del percipiente”.

Motivo per cui, nel condividere tale linea di pensiero, i giudici contabili ritengono di doversi invece discostare da un’altra pronunzia (e precisamente la n. 468/2022 della II Sezione d’Appello), la quale in vero, in riforma della sentenza n. 439/2020 della Sezione decidente, aveva invece affermato, la spettanza della giurisdizione al Giudice Contabile in tale materia, rimarcando la peculiare finalità di “inclusione occupazionale del reddito di cittadinanza,  sottesa alla sua natura di contributo di scopo”.

In particolare secondo la Sezione decidente, la ratio della misura del reddito di cittadinanza (al di là di programmatiche affermazioni di principio, contenute nel comma 1 dell’articolo 1 del D. L. n. 4/2019([2])  dove essa viene definita come “misura fondamentale di politica attiva del lavoro”), non è pensata dal legislatore per perseguire esclusivamente obiettivi di natura lavorativa e/o occupazionale anzi semmai è costruita come uno strumento orientato a “una finalità sociale di sostegno economico attraverso la corresponsione mensile di importi in denaro ai soggetti più bisognosi al dichiarato fine primario di contrastare la povertà”.  Per la Corte dei Conti, che richiama la pronunzia n. 14/2024, la finalizzazione del reddito di cittadinanza (affermata anche dalla Consulta nelle sentenze 126 del 2021 e 19 del 2022), deve essere al più correttamente interpretata “quale obiettivo esterno ed eventuale rispetto al tipico ed esclusivo obiettivo di contrasto alla povertà e al disagio sociale che connota la suddetta misura economica, per esplicita ammissione degli stessi ideatori”.

Secondo il Collegio contabile campano invece, la misura del reddito di cittadinanza non può che rientrare nella categoria del sussidio pubblico “sic et simpliciter per l’assenza tanto di una puntuale e specifica finalità pubblicistica, quanto di una gestione amministrativa delle risorse erogate”. A conferma di quanto evidenziato, va ricordato come l’erogazione del beneficio concesso dallo Stato a chi ne ha diritto, spetta anche ai c.d. “inoccupati assoluti” e cioè a quei soggetti per i quali il nostro ordinamento, non ritiene siano in grado di potere svolgere alcuna attività lavorativa. Senza contare la poca fortuna e il totale immobilismo che ha contraddistinto le figure professionali dei navigator i quali, almeno nelle intenzioni del legislatore, avrebbero dovuto assistere proprio i percettori del reddito nell’individuazione di uno sbocco occupazionale.

Ebbene secondo la Sezione decidente, chi percepisce il reddito di cittadinanza di fatto, ha potuto fruire liberamente di tale provvidenza, senza alcun obbligo o vincolo, necessariamente legato al dimostrato tentativo finalizzato ad un’assunzione nel mercato del lavoro. La percezione del reddito di cittadinanza, rientra allora pienamente in quelle forme di “sussidi per gli indigenti senza che questi assumano alcun legame funzionale con la Pubblica Amministrazione idoneo a radicare la giurisdizione di questo plesso giudiziario la cui vis expansiva non può certo giungere (in assenza di adeguata interpositio legislatoris, a ricomprendere ogni forma di sindacato sull’utilizzo del denaro pubblico, pena la violazione dell’art. 102 della Costituzione”.

Motivo per cui, le considerazioni espresse e la giurisprudenza richiamata a supporto motivazionale, inducono i giudici contabili campani, ad affermare che il reddito di cittadinanza non conferisce al beneficiario “la gestione di risorse secondo finalità pubbliche, risultando costui un mero destinatario di risorse di provenienza pubblica prive di vincolo di destinazione erogate nell’ambito di quelle forme di assistenza ai ceti più deboli, anche ai sensi dell’art. 38 della Costituzione”.

Ciò in quanto l’evidenziata finalità solidaristica e assistenziale, nel plasmare in via esclusiva, la natura giuridica, la struttura e gli effetti della misura del reddito “ne esclude in radice, l’inquadramento nel perimetro dei contributi di scopo per carenza di qualsiasi rapporto di servizio fra il percettore e l’Ente erogante, investendo, per l’effetto, il G.O. della “potestas iudicandi” sulle controversie di suo indebito utilizzo, come nel caso di specie”.

Pertanto, la Corte dei Conti sez. giurisd. per la Campania, non può che dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in favore del G.O., innanzi al quale la causa deve riassunta, secondo le modalità e i termini processuali stabiliti dall’art.17 C.G.C.([3])

 

 

 

 


([1])Sui presupposti di concessione del reddito di cittadinanza e su un’analisi della misura assistenziale di tale strumento si veda per tutti G. CAZZOLA, Reddito di cittadinanza in Lavoro e Giurisprudenza, 5, 2019; R. IANNONE, Il reddito di cittadinanza e le politiche di inclusione. Aspetti critici ed impatto in Rivista trimestrale di Scienza dell’amministrazione: studi di teoria e ricerca sociale, 4, 2019. Per quanto concerne l’approfondimento sulla natura multiforme del reddito di cittadinanza, sotto il profilo giurisprudenziale, sia consentito rinviare a R. CAVADI, E’ ammissibile la fruizione del Reddito di cittadinanza anche in seguito a condanna definitiva comprensiva dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nota a Cass civ. 12.10.2022 n. 38383 in Quotidiano on line per la P.A, www.lentepubblica.it, 11, 2022. La sentenza della Suprema Corte sul punto così si esprime: “Va rilevato che il reddito di cittadinanza ha natura e funzione ibride, come si evince dallo stesso incipit della legge che lo disciplina al comma 1 dell’articolo 1, dove viene definito quale “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro”.
([2])Il D. L. n. 4/2019, reca “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”. La disciplina del reddito di cittadinanza, di cui agli articoli da 1 a 13 del presente decreto, è stata modificata dall’articolo 1, commi da 313 a 319, della legge n. 197 del 29 dicembre 2022 (legge di bilancio 2023), a cui si rimanda. Come disposto dall’articolo 1, comma 318, della stessa legge, a decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del presente decreto sono abrogati.
([3])L’articolo 17 del Codice di Giustizia Contabile al comma 1 dispone che: “Il giudice contabile, quando declina la propria giurisdizione, indica, se esistente, il giudice che ne è fornito”. Il successivo comma 2 afferma che: “Quando la giurisdizione è declinata dal giudice contabile in favore di altro giudice, o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se la medesima è riproposta innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza”.

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