La giurisprudenza sul whistleblowing: le sentenze pilota
Sommario: 1. Introduzione – 2. Considerazioni introduttive – 3. Il quadro normativo – 4. La recente prassi giurisprudenziale – 4.1. L’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione lavoro, del 3 febbraio 2022, Giudice Moglia – 4.2. La sentenza del Tribunale di Bergamo n. 2 del 7 gennaio 2022 – 4.3. Riflessioni sulle pronunce esaminate
1. Introduzione
La giurisprudenza di merito ha recentemente innovato il panorama giurisprudenziale nazionale in materia di tutela del lavoratore whistleblower dalle possibili sanzioni disciplinari ritorsive che il comportamento di quest’ultimo potrebbe provocare.
Le pronunce c.d. “pilota” di tale nuovo orientamento – l’ordinanza del 3 febbraio 2022 del Tribunale di Milano, sezione Lavoro, Giudice Moglia, e la sentenza n. 2 del 7 gennaio 2022, del Tribunale di Bergamo, Giudice Lapenta -, in commento nel presente contributo, si inseriscono, dunque, in un contesto nel quale la condotta del whistleblower non trovava alcun tipo di tutela specifica nella prassi giurisprudenziale.
2. Considerazioni introduttive
Il termine whistleblowing, letteralmente “vuotare il sacco” (to blow the whistle), rappresenta un concetto ormai noto nell’ambito giuridico nazionale e internazionale.
Mutuato dalla letteratura anglosassone, esso fa riferimento alla condotta del lavoratore, sia esso pubblico o privato, che riveli a terzi o pubblicamente lo svolgimento di pratiche contra legem – o quanto meno irregolari – all’interno del proprio ambiente lavorativo (1).
Considerata la natura stessa del termine whistleblowing, è agevole comprenderne la contestuale funzione di meccanismo di contrasto ai fenomeni corruttivi e di irregolarità, dilaganti nelle imprese, giacché si pone quale strumento di emersione di illeciti che, ove ignorati dai partecipanti all’impresa, sfuggirebbero ad accertamenti, e, contemporaneamente, di strumento di prevenzione delle medesime attività, posto che l’ordinamento italiano – seppure in assenza, sino ad oggi, di prassi a tutela di tale tipologia di condotta – guarda con favore alla condotta dei lavoratori che denunciano simili irregolarità, incoraggiando, dunque, la responsabilizzazione dei cittadini verso la cura della legalità nei luoghi di lavoro (2).
Del resto, il whistleblowing costituisce uno strumento che permette l’esercizio di alcuni fondamentali diritti della persona in uno Stato democratico.
In particolare, se si considera che, ai sensi dell’art. 21 della Costituzione italiana, vi è uno specifico diritto di espressione ed una conseguente libertà di parola, oltre che al simmetrico diritto di ognuno di essere informato delle notizie di pubblico interesse, la condotta del lavoratore che denuncia irregolarità peraltro potenzialmente lesive della propria immagine, della propria reputazione lavorativa e con potenziali riflessi sul piano penale a suo carico, si pone in perfetta linea con ciò che è richiesto dall’ordinamento stesso e, in quanto tale, non può certo vedersi privata della tutela, anche giurisprudenziale che le spetta (3).
Proprio tale ultimo profilo è stato ampiamente riconosciuto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tanto farsi spazio all’interno della Direttiva (UE) 2019/1937 in materia di protezione delle persone che denunciano violazioni del diritto dell’Unione, nella quale ha trovato esplicito riconoscimento e tutela.
È particolarmente interessante la lettera delle considerazioni introduttive alla citata direttiva. In particolare, nei primi punti della stessa si legge:
“Chi lavora per un’organizzazione pubblica o privata o è in contatto con essa nello svolgimento della propria attività professionale è spesso la prima persona a venire a conoscenza di minacce o pregiudizi al pubblico interesse sorti in tale ambito. Nel segnalare violazioni del diritto unionale che ledono il pubblico interesse, tali persone (gli «informatori – whistleblowers») svolgono un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società. Tuttavia, i potenziali informatori sono spesso poco inclini a segnalare inquietudini e sospetti nel timore di ritorsioni. In tale contesto, l’importanza di garantire una protezione equilibrata ed efficace degli informatori è sempre più riconosciuta a livello sia unionale che internazionale.
A livello di Unione le segnalazioni e le divulgazioni pubbliche degli informatori costituiscono uno degli elementi a monte dell’applicazione del diritto e delle politiche dell’Unione. Essi forniscono ai sistemi di contrasto nazionali e dell’Unione informazioni che portano all’indagine, all’accertamento e al perseguimento dei casi di violazione delle norme dell’Unione, rafforzando in tal modo i principi di trasparenza e responsabilità.
Dovrebbero applicarsi norme minime comuni atte a garantire una protezione efficace degli informatori con riguardo agli atti e ai settori in cui occorre rafforzare l’applicazione delle norme, l’insufficiente segnalazione da parte degli informatori è un fattore chiave che incide negativamente su tale applicazione, e le violazioni del diritto dell’Unione possono arrecare grave pregiudizio al pubblico interesse. Gli Stati membri potrebbero decidere di estendere l’applicazione delle disposizioni nazionali ad altri settori al fine di garantire un quadro completo e coerente di protezione degli informatori a livello nazionale” (cfr. Direttiva (UE) 2019/1937, considerando (1), (2) e (5)).
Ciò nonostante, la normativa di settore nell’ordinamento italiano è relativamente recente ed è stata introdotta con sollecitudine al solo scopo di conformarsi alle raccomandazioni provenienti dall’Unione e dal panorama internazionale.
Il ritardo, tuttavia, è stato giustificato da gran parte dei commentatori per ragioni di ordine culturale, in primis, poiché la segnalazione degli atti contra legem sul posto di lavoro nell’ottica di tutelare la res pubblica non è un atteggiamento approvato in qualsivoglia contesto lavorativo, ma anzi, talvolta è percepito quale tradimento alla coesione e allo spirito di gruppo. In secondo luogo, nel nostro ordinamento la tutela del whistleblower è meno radicata che altrove, considerato che il lavoratore, in Italia, è tutelato dalle condotte ritorsive del datore di lavoro secondo principi più ampi: un licenziamento può considerarsi discriminatorio e, per l’effetto, nullo, laddove questo si ponga in connessione con la segnalazione di illeciti tutelata in quanto rispondente al diritto di critica del lavoratore medesimo (4).
3. Il quadro normativo
I primi cenni normativi a tutela della pratica di whistleblowing e dei whistleblowers si rinviene nella Legge Severino (Legge n. 190 del 6 novembre 2012), attraverso la quale si è definito un primo contorno della prevenzione alla corruzione nei luoghi di lavoro attraverso una tutela riservata agli autori delle segnalazioni di reati o altre irregolarità poste in essere all’interno del luogo di lavoro degli stessi e dei quali siano venuti a conoscenza proprio in ragione di un rapporto di lavoro pubblico o privato (5).
Non a più tardi di due anni dopo l’emanazione della predetta legge risale l’attribuzione all’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) del potere di ricevere le segnalazione dei dipendenti pubblici e sanzionare le misure discriminatorie ad essi imposte di cui alla Legge n. 114 dell’11 agosto 2014, già Decreto Legge n. 90 del 24 giugno 2014.
La materia è stata, poi, radicalmente innovata dalla L. n. 179 del 30 novembre 2017, che ha previsto una disciplina più articolata della tutela dei whistleblowers all’interno del settore pubblico ed estendendo la disciplina dettata per il settore pubblico anche ai lavoratori del settore privato; inoltre, si è introdotta una causa di giustificazione speciale per il whistleblower che abbia rivelato notizie coperte dal segreto (6).
I commentatori della disciplina del whistleblowing suddividono, sostanzialmente, le disposizioni rientranti nel perimetro della tutela in due gruppi:
– un primo gruppo, che contiene norme organizzative finalizzate all’imposizione agli enti pubblici o privati la creazione di procedure che consentano la rapida gestione delle segnalazioni (c.d. canali di segnalazione interna), affiancate dalla costituzione di una autorità pubblica cui sia demandata la funzione amministrativa di ricezione e gestione delle segnalazioni (c.d. canali di segnalazione esterna).
– un secondo gruppo, invece, è finalizzato ad impedire che il segnalante subisca atteggiamenti e misure ritorsive e discriminatorie, derivanti dall’aver esternato una segnalazione, che incidano sul rapporto di lavoro stesso, e che consentano la protezione della riservatezza dell’identità del segnalante, da un lato, e l’afflizione di sanzioni alle predette eventuali misure ritorsive (7).
Nonostante la Direttiva (UE) 2019/1937, come detto poc’anzi, auspicava la ricerca di un regime unitario ed uniforme a livello europeo, da realizzarsi mediante discipline nazionali pressochè omogenee e armonizzate, la normativa italiana si caratterizza per la presenza di regimi differenziati a seconda della qualità soggettiva del whistleblower e della natura del datore di lavoro.
Ed invero:
– un primo settore riguarda i dipendenti pubblici, a cui sono equiparati i dipendenti dei soggetti giuridici legati in qualche misura al settore pubblico, enti pubblici economici, ecc. A tali lavoratori è certamente riservato un più ampio margine di tutela, sia per avere questi a disposizione maggiori canali attraverso i quali far pervenire le segnalazioni, sia per la protezione avverso le possibili azioni ritorsive concessa ai medesimi. Tanto è vero, che le misure ritorsive afflitte a questi ultimi in ragione delle segnalazioni compiute sono affette da nullità, a meno che il datore di lavoro non dimostri che le misure siano dettate da ragioni diverse ed estranee dalle segnalazioni.
– un secondo ambito attiene ai dipendenti degli enti creditizi e degli intermediari finanziari, cui il legislatore ha riservato una serie di disposizioni del Testo Unico Bancario e del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria relative alla predisposizione di sistemi di segnalazioni delle violazioni e di una procedura apposita finalizzata alla segnalazione alle autorità di vigilanza competenti. Tale regime, in particolare, estende agli operatori economici l’onere di dotarsi di procedure adeguate di segnalazione, cui i lavoratori possono rivolgersi direttamente, ma non viene disposto alcunché in ordine agli atti di regolazione in sè. Ne deriva che, con riferimento a tali lavoratori, troveranno applicazioni i rimedi ordinari previsti dal diritto del lavoro.
– il terzo ed ultimo ambito, invece, riguarda i lavoratori delle imprese private, ai quali è riservato un regime differente dai primi due per essere connotato dall’elemento volontaristico, ossia per essere effettivamente rivolto alle imprese dotate di un modello di organizzazione e di gestione (c.d. modello MOG), che consente l’esonero da responsabilità per gli illeciti derivanti da reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’impresa stessa dai membri della governance aziendale o posti alle dirette dipendenze di questi ultimi. Il modello MOG, perchè sia conforme, deve prevedere appositi canali interni di segnalazione, e la protezione riservata ai lavoratori contempla l’espresso divieto di discriminazione e la nullità del licenziamento e qualsiasi altra misura con carattere ritorsivo o discriminatorio (8).
In ogni caso, la dottrina ravvisa nelle disposizioni volte alla tutela del whistleblower, appartenente a qualunque dei predetti ambiti, una inversione dell’onere della prova tale per cui spetta al datore di lavoro del whistleblower dimostrare l’estraneità delle misure ritorsive o discriminatorie alla segnalazione effettuata dal lavoratore. Per contro, al lavoratore è sufficiente che provi la consequenzialità temporale tra la segnalazione e la misura pregiudizievole inflitta dal datore di lavoro (9).
Pur essendo un sistema sostanzialmente differente da quello cui le Autorità Europee della Direttiva (UE) 2019/1937 miravano per la maggiore articolazione del sistema di segnalazione e protezione italiano, occorre comunque notare come il sistema italiano si presenti, in concreto, tra i sistemi che favoriscono la maggiore e la migliore tutela per il whistleblower. Di recente, infatti, con riferimento a tale peculiare disciplina, l’Italia è stata qualificata tra i paesi dotati di strong protection dei whistleblowers, preceduta solamente dalla Francia e dall’Irlanda sui diciassette paesi esaminati (10).
4. La recente prassi giurisprudenziale
Come accennato all’inizio della trattazione, prima dell’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione lavoro, del 3 febbraio 2022 e della sentenza n. 2 del 7 gennaio 2022, del Tribunale di Bergamo, sezione lavoro, non si rinvenivano precedenti giurisprudenziali nei quali poteva evincersi una specifica e mirata tutela del lavoratore whistleblower. Proprio per tale ragione, le due pronunce citate si pongono come assolutamente innovative e realizzano la forma di tutela pregnante che la Direttiva (UE) 2019/1937 ha desiderato realizzare e costituiscono quelli che i primi commentatori definiscono “casi pilota”.
4.1. L’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione lavoro, del 3 febbraio 2022, Giudice Moglia
Nel procedimento definitosi con l’ordinanza in commento, è stato impugnato il licenziamento irrogato al dipendente di una azienda esercente un servizio pubblico essenziale, ai sensi del R.D. 148/1931 relativo agli autoferrotramvieri. Detto lavoratore, in particolare, dopo aver tentato invano di segnalare ai propri superiori per anni l’esistenza di una truffa di non certo modeste dimensioni, nell’ambito della quale molteplici dipendenti emettevano biglietti non contabilizzati, trattenendo e distraendo le relative somme, ha denunciato l’illecito attraverso i canali ufficiali.
A seguire, il lavoratore era stato colpito da diversi procedimenti disciplinari ed in due procedimenti penali conclusisi con la dichiarazione di insussistenza del fatto, e nella sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione che culminava pedissequo licenziamento.
Il lavoratore, estenuato dalle ritorsioni subite, impugnava il predetto licenziamento dinanzi il Tribunale di Milano ai sensi della disciplina sul whistleblowing invocandone la relativa tutela e richiedendo, pertanto, la nullità del provvedimento disciplinare ad esso irrogato, dovendosi considerare un whistleblower.
Il Giudice, tuttavia, pur accogliendo parzialmente il ricorso, tanto che il lavoratore veniva reintegrato in servizio, non riteneva sussistenti i presupposti per l’applicazione della disciplina della tutela di cui all’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 afferente alla protezione del whistleblower c.d. forte.
Infatti, pur non essendo in contestazione la natura di whistleblower del lavoratore, il Giudice ha ritenuto che i fatti oggetto del provvedimento del licenziamento fossero le ripetute minacce e invettive poste in essere dal lavoratore nei confronti dei vertici e non già i fatti oggetto della segnalazione, ossia la truffa rivelata dal lavoratore medesimo.
La pronuncia, dunque, porta con sè un elemento che il lavoratore deve necessariamente provare per vedersi tutelato ai sensi della normativa sul whistleblowing. Infatti, il principio di diritto è che l’essere considerato un whistleblower non implica necessariamente l’esenzione del lavoratore da qualsivoglia misura e provvedimento disciplinare, nel momento in cui, affinché i provvedimenti presuntamente ritorsivi siano colpiti da nullità, è necessario che le condotte sottese sia alla segnalazione, sia ai provvedimenti disciplinari, siano sostanzialmente e materialmente le medesime e che siano, in ogni caso, temporalmente collegati.
Tanto è vero quanto sopra, che il Tribunale di Milano ha affermato che “la sola presentazione di denunce, quali che esse siano, non assicura al dipendente una totale immunità e impunità rispetto ai comportamenti estranei ai fatti denunciati”.
Tale interpretazione, se da un verso è assolutamente rigorista tanto da inserire un elemento ulteriore – i.e. quello dell’identità tra i fatti oggetto della segnalazione e quelli alla base dei provvedimenti che si assumono ritorsivi -, presumibilmente per volersi configurare come equa tutela del lavoratore e del datore di lavoro, impedendo al lavoratore di porre in essere qualsivoglia comportamento e consentendo al datore di sanzionare comportamenti in ogni caso scorretti, sempre fermo restando la necessità della difformità dei fatti alla base delle condotte, dall’altro verso non impedisce al datore di lavoro di esercitare i propri poteri strumentalizzando l’accaduto e colpendo la vittima di in maniera mirata, addebitandogli fatti sottilmente differenti.
4.2. La sentenza del Tribunale di Bergamo n. 2 del 7 gennaio 2022
Il provvedimento del Tribunale di Bergamo, diversamente, riguarda due licenziamenti impugnati dal lavoratore di una impresa privata operante all’interno di un aeroporto, oggetto di diversi illeciti segnalati dal dipendente. Infatti, quest’ultimo ha segnalato una violazione della privacy nella misura in cui nella conservazione delle cartelle cliniche non utilizzava il canale imposto dal D.Lgs. n. 231/2001, ha segnalato l’abbandono di documenti riservati e materiali sensibili all’interno del magazzino alla mercé di chiunque vi ottenesse accesso, nonché la comunicazione di dati falsi all’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile al fine di ampliare l’aerostazione.
Le segnalazioni venivano seguite da molteplici provvedimenti: la sospensione dal servizio e dalla retribuzione in quanto il lavoratore avrebbe presuntamente opposto rifiuto all’apposizione della cartellonistica nei bagni riservati ai disabili; il primo licenziamento disciplinare per aver asseritamente sottratto una cartella clinica dall’archivio; il secondo licenziamento per aver il lavoratore asseritamente sottratto documenti aziendali riservati inoltrati da quest’ultimo all’Enac.
Anche in questo caso, il Giudice ha accertato l’insussistenza dei fatti addebitati dal datore di lavoro, nulla disponendo in relazione alla tutela di cui alla normativa sul whistleblowing ed al D.Lgs. n. 231/2001.
In particolare, quanto al primo licenziamento, il Giudice ha ritenuto insussistente gli intenti discriminatori paventati dal lavoratore, poiché la prova granitica della ritorsività di cui era onerato non è stata in alcun modo prestata nel giudizio, nell’ambito del quale è stata peraltro provata l’insussistenza dei fatti addebitati allo stesso.
Quanto al secondo licenziamento, sebbene il Giudice del Tribunale di Bergamo abbia affermato che il lavoratore che abbia posto in essere una segnalazione debba essere tutelato quando i fatti oggetto della segnalazione stessa coincidano con quelli delle misure discriminatorie o ritorsive, non ha, di fatto, applicato detto principio al caso di specie.
Giova premettere che tale licenziamento è intervenuto sulla base dell’asserita sottrazione di documenti poi utilizzati dal lavoratore stesso per effettuare la segnalazione. Proprio per tale ragione, i fatti oggetto della segnalazione e alla base del provvedimento disciplinare non possono non dirsi coincidenti. Ciò posto, il Giudice Bergamasco avrebbe dovuto fare applicazione del principio da egli stesso richiamato nel corpo della pronuncia riservando al whistleblower la tutela forte ad riservatagli.
Tuttavia, così non è stato. Ed infatti, sebbene avrebbe dovuto dichiarare la ritorsività del licenziamento impugnato, si è limitato a dichiarare l’insussistenza del fatto materiale sulla base del considerazione per cui l’allegazione di documentazione aziendale non assuma rilievo sul piano disciplinare. Il licenziamento, dunque, è stato annullato non in quanto ritorsivo, in virtù della tutela riconosciuta dalle disposizioni sul whistleblowing, ma per insussistenza del fatto.
4.3. Riflessioni sulle pronunce esaminate
Le pronunce appena esaminate, si pongono in contrasto con la forte tutela riservata al lavoratore segnalante dalla normativa in vigore nell’ordinamento italiano.
In particolare, sebbene si riconosca la portata innovativa delle pronunce anzidette, già per il sol fatto di costituire precedenti utili per la denuncia giudiziale della ritorsività delle condotte dei datori di lavoro nei confronti dei whistleblower, esse non sono state fonte di tutela rispetto agli atteggiamenti effettivamente ritorsivi subiti dai lavorati dei casi su esposti, nella misura in cui è stato dato spazio al datore di opporre differenti ragioni ai provvedimenti inflitti.
I Giudici, infatti, sebbene abbiano accordato una tutela al lavoratore, si sono mostrati alquanto scrupolosi e fin troppo stringenti nella considerazione della sussistenza dei presupposti per l’affermazione del carattere ritorsivo / discriminatorio dei provvedimenti impugnati.
L’eccessivo scrupolo mostrato dai Giudici di merito, lascia presagire un percorso tortuoso e decisamente lungo della giurisprudenza italiana in un settore che, coerentemente con i principi chiavi dell’ordinamento, dovrebbe essere foriero di una tutela maggiormente forte e rispettosa del dettato normativo.
Come affermato dai primi commentatori delle pronunce, l’elevata difformità tra il grande livello di tutela garantito dalla disciplina nazionale, e la mancanza di effettività delle misure di protezione dei whistleblower sul banco di prova giurisprudenziale emerge a chiare lettere e costituisce un limite dell’ordinamento che necessita di essere snaturato attraverso una adeguata opera ermeneutica ispirata al principio di effettività, senza la quale si rischia di annullare le garanzie apprestate dal legislatore a riguardo e di fungere, al contrario, da potente disincentivo alle denunce degli illeciti appresi sul proprio posto di lavoro (11).
Note
(1) E. Ceva, M. Bocchiola, Is Whistleblowing a Duty?, PolityPress, 2018, pag. 3.
(2) Sulla scorta di tali considerazioni, il whistleblowing si pone, specie negli ordinamenti nei quali il whistleblower è destinatario di una specifica ed effettiva tutela, sia normativa che giurisprudenziale, quale strumento volto all’emersione dei reati e dei fenomeni di criminalità consumati sui luoghi di lavoro. Negli Stati Uniti, nei quali il whistleblowing è un fenomeno che trova vita già negli anni ‘50, il dibattito che oggi trova spazio nelle corti di merito nazionali, è da tempo incentrato sul tema della tutela del lavoratore denunciante contro le possibili e gravi forme di ritorsione da parte del datore di lavoro. Dir. pen e proc. 2018, pag. 475; R. Lattanzi, Prime riflessioni sul c.d. whistleblowing: un modello da replicare “ad occhi chiusi”?, in Riv. it. dir. lav., 2010, pag. 335.
(3) N. Parisi, La funzione del whistleblowing nel diritto internazionale ed europeo, Lavoro Diritti Europa (lavorodirittieuropa.it), 2020, pag. 2.
(4) A. Della Bella, Il whistleblowing nell’ordinamento italiano: quadro attuale e prospettive per il prossimo futuro, Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 3, 1 settembre 2020, pag. 1403; T. Dworking, Whistleblowing, MNCs, and Peace, Whistleblowing Law, vol. I, Robert G. Vaughn, Edward Elgar Publishing, 2015, pag. 470; A. Boscati, Il whistleblowing tra diritto di critica e obbligo di fedeltà del lavoratore, Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità.
(5) B. Mattarella, La prevenzione della corruzione in Italia, Giorn. dir. amm., 2013, pag. 124.
(6) A. Della Bella, Il whistleblowing nell’ordinamento italiano: quadro attuale e prospettive per il prossimo futuro, cit.
(7) R. Lattanzi, Prime riflessioni sul c.d. whistleblowing: un modello da replicare “ad occhi chiusi”?, cit.; P. Novaro, Principali criticità della disciplina italiana in materia di whistleblowing alla luce della nuova direttiva Europea: limitato campo di applicazione e scarsi incentivi, Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 5, 1 ottobre 2019, pag. 737.
(8) S. Villamena, Il whistleblowing pubblico, Dir. e proc. amm., 2019, pag. 846; M. De Rosa, La prevenzione della corruzione nella tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti in M. Nunziata, Riflessioni in tema di lotta alla corruzione, Roma, 2017, pag. 147; P. Novaro, Principali criticità della disciplina italiana in materia di whistleblowing alla luce della nuova direttiva Europea: limitato campo di applicazione e scarsi incentivi, cit.
(9) R. Cantone, Il dipendente pubblico che segnala illeciti; un primo bilancio sulla riforma del 2017, Atti del I Convegno annuale del Dipartimento di Scienze giuridiche C. Beccaria dell’Università degli Studi di Milano, Giuffré, 2020, pag. 203; A. Della Bella, Il whistleblowing nell’ordinamento italiano: quadro attuale e prospettive per il prossimo futuro, cit.; M. Peruzzi, La prova del licenziamento ritorsivo nella legge 179/2017 sul whistleblowing, Lavoro e Diritto, fasc. 1, 2020, pag. 43; A. Riccio, La tutela del lavoratore che segnala illeciti dopo la l. 179 del 2017. Una prima lettura giuslavoristica, Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione, 26 marzo 2018, pag. 6; P. Pizzuti, Whistleblowing e rapporto di lavoro, Giappichelli, 2019, pag. 109 e pag. 150; M. Agliata, Sull’esercizio “responsabile” del diritto di denuncia del lavoratore, La nuova giurisprudenza civile commentata, fasc. 5, 1 settembre 2021, pag. 1018.
(10) U. Turksen, Whistle-blower Protection in the EU: Critical Analysis of Challenges and Future Prospects, Whistleblowing e Prevenzione Dell’illegalità. Atti del I convegno annuale del dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria”, cit.
(11) D. Tambasco, La protezione del whistleblower all’esame della giurisprudenza di merito e delle linee guida ANAC: effettività della tutela o diabolica probatio?, Focus del 21 febbraio 2022 in ilgiuslavorista.it, Giuffrè, 2022.
Dott.ssa Francesca Cozzi
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