La legittimità del potere gestorio della holding nei confronti della società controllata
Con il d. lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003 si è introdotto il nuovo capo IX del libro V del codice civile, rubricato <<Direzione e coordinamento>>[1]. L’intervento normativo non deve far credere che i problemi suscitati dalle dinamiche dei gruppi di società siano venuti meno. Infatti quello del funzionamento dei gruppi di società, anche per la “vaghezza” delle disposizioni che tentano di dare una forma e un colore al fenomeno, è terreno di elezione dell’attività interpretativa, all’interno del quale possono operare i due formanti che, oltre al legislatore, forgiano quotidianamente il diritto. Si allude al lavoro collaborativo che, dalla riforma del 2003 fino ad oggi, è stato compiuto dalle soluzioni dottrinali prospettate dagli interpreti e dalle decisioni dei giudici. I primi, spesso in maniera avanguardistica, in assenza di interventi legislativi, hanno anticipato importanti soluzioni rispetto all’ergersi dei problemi esegetici, poi recepite anche a livello giurisprudenziale. Tale dialogo tra dottrina e giurisprudenza non ha mai cercato di perdere di vista il valore della certezza del diritto, cui tutti gli interpreti sono tenuti a rispettare.
L’art. 2497, co.1, c.c., introdotto con la riforma del 2003, segna la legittimità dell’attività di direzione e coordinamento di una molteplicità di società da parte di una società al vertice del gruppo. La norma risulta essere il precipitato tecnico dell’iniziativa economica privata consacrata, a livello costituzionale, dall’art. 41 che, non solo garantisce la <<libertà di scelta del settore produttivo in cui operare, ma anche quella relativa al tipo di organizzazione col quale esercitare l’attività di impresa>>[2].
L’elemento caratterizzante, ai fini dell’applicazione dell’art. 2497 c.c., è l’attività di direzione e coordinamento. Il legislatore non ne ha dato una definizione ed è per tale ragione, che già in tale sede, viene richiesto all’interprete uno sforzo esegetico di misura.
L’attività di direzione e coordinamento, condizione necessaria per il riconoscimento delle responsabilità trattate dall’art. 2497 c.c. e per comprendere la portata delle esimenti previste nella seconda parte del primo comma dello stesso articolo, è un quid pluris che si aggiunge al controllo esercitato dalla società capogruppo nei confronti delle società controllate, ai sensi dell’art. 2359 c.c[3]. Tale attività, dunque, è un connotato giuridico aggiuntivo rispetto ad una situazione di potere già consolidata, il controllo[4]. D’altro canto, il legislatore non poteva non tenere in considerazione che, nel gruppo di società, il controllo costituisce il terreno in cui può variamente declinarsi la direzione unitaria di una pluralità di soggetti giuridici.
Sulla base di tale dato, il legislatore, ai sensi dell’art. 2497 sexies, ha previsto che si presume, in presenza di un legame di controllo, l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento[5]. Si tratta, invero, di una presunzione semplice (juris tantum) che ammette la prova del contrario, la quale non può che concretarsi nella dimostrazione che <<pur in presenza del controllo, non sussistono tuttavia ulteriori elementi, tali da poter affermare l’esistenza anche della direzione unitaria[6]>>. Ne consegue che colui che agisce in giudizio per le responsabilità previste dall’art. 2497 c.c. non è oberato dall’onere di provare la precondizione della direzione unitaria. Del resto, la presenza dell’attività di direzione e coordinamento deve essere valutata sulla base di canoni di effettività e non su meri dati formali, quale potrebbe essere, per esempio, la semplice detenzione della maggioranza azionaria in assemblea da parte della capogruppo.
Ciò posto, il problema è quello di individuare cosa debba intendersi per attività di direzione e coordinamento e, nel farlo, innanzitutto, si deve puntualizzare un dato che emergerà, anche, dal prosieguo della trattazione. Nella disciplina dell’art. 2497 c.c., il legislatore fa riferimento, enunciandolo più volte, al concetto di “attività”; questa deve intendersi come un insieme concatenato di atti teleologicamente rivolti alla realizzazione di un fine. Di certo, la fattispecie non sarà integrata dal compimento di un singolo atto, o da atti sporadici, seppur significativi. Questo profilo porta ad individuare un ulteriore elemento caratterizzante del fenomeno in parola e cioè “la continuità”: l’esercizio della direzione unitaria deve essere regolare nel tempo e con portata sistematica.
È manifesto, quindi, che il legislatore abbia voluto fotografare il dinamismo delle relazioni tra società nello stesso gruppo, senza imbrigliare esse, con definizioni, a livello normativo.
Per fare un passo avanti, nell’analisi della questione, bisogna precisare che la “direzione” e il “coordinamento” sono due attività connesse ed interdipendenti, tale per cui l’una è funzionalmente collegata all’altra; non si tratta, al contrario, di una endiadi scevra di significato pratico. La prima faculta la capogruppo di adottare atti di indirizzo che siano <<idonei ad incidere sulle decisioni strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali>>[7]. Il “coordinamento”, invece, per mantenersi sulle parole dello stesso Autore, <<realizza un sistema di sinergie tra le diverse società nel gruppo>>[8]. Sono manifestazioni della direzione e del coordinamento di società eterodirette, per esempio, l’approvazione da parte della capogruppo dei budget annuali sia dell’intero gruppo che delle società singole, o dei business plans, oppure l’autorizzazione delle operazioni che hanno maggiore rilevanza economica, come le scissioni, le fusioni, le acquisizioni, le trasformazioni, oppure l’autorizzazione di finanziamenti il cui importo è al di sopra di una certa soglia e così via. Ovviamente, maggiori saranno le ingerenze della capogruppo negli affari della eterodiretta e minori saranno gli spazi di gestione a questa lasciati. Così, può distinguersi un gruppo con una forte trazione dirigista, che limita il lavoro della eterodiretta al disbrigo degli affari correnti, dal gruppo che riserva, invece, alle singole società l’adozione di decisioni strategiche[9].
[1] In attuazione della legge delega n. 366/2001.
[2] PAVONE LA ROSA, A., Nuovi profili della disciplina dei gruppi di società, in Riv. soc., 2003, p. 770.
[3] Ai sensi dell’art. 2359, co. 1 c.c.: << Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa>>. L’ipotesi di cui al n. 1 si verifica quando una società controlla possiede la maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria e cioè quando detiene la maggioranza delle azioni con diritto di voto. In tale caso si parla di controllo di diritto. Da questo si distingue il controllo di fatto, sussistente quando una società, pur detenendo una partecipazione minoritaria, riesca ad esercitare un’influenza dominante (ipotesi di cui al n. 2). Da queste bisogna tenere distinta la possibile terza forma di controllo (ipotesi di cui al n. 3), in cui, tra due società, sono posti in essere vincoli contrattuali dai quali consegue un’influenza dominante dell’una verso l’altra (come la concessione di una licenza di brevetto industriale, o il contratto di franchising, di agenzia, di somministrazione in esclusiva, di subfornitura e così via). Il secondo comma dell’art. 2359 c.c., inoltre, precisa che: <<ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi>>.
[4] Cfr. CAMPOBASSO, G.F., Diritto Commerciale, Diritto delle Società, vol. II, a cura di M CAMPOBASSO, UTET, Torino, 2012; LAMANDINI, M., Il controllo, Quaderni giurisprudenza commerciale, Giuffrè 1995, 229, secondo cui, a proposito di attività di direzione e coordinamento, <<in assenza di tale elemento tipizzante, se la controllante si avvale dei suoi poteri istituzionali di socio e non esercita influenza diversa da quella che tali poteri consentono, non si ha gruppo ma un semplice rapporto di controllo>>.
[5] Cfr.: LEMME, G., Il diritto dei gruppi di società, Manuali dell’Associazione Disiano Preite, Il Mulino, Bologna, 2013.
[6] MONTALENTI, P., Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. Dir. Soc. 2007, 324.
[7] MONTALENTI, P., Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, cit., 321.
[8] MONTALENTI, P., Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, cit., 321.
[9] Il fenomeno è reso ancora più complesso, se si pensa che, in un gruppo societario, possano interporsi, tra la holding e l’eterodiretta, una o più sub-holding. In tale ipotesi sorge la querelle, non risolta e qui non affrontata, se debbano concepirsi una pluralità di attività di direzione e coordinamento riferibili a diversi centri di imputazione (le sub-holding e l’holding di vertice), ovvero, se, invece, l’attività di direzione e coordinamento rimanga una (quella della holding di vertice).
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Salvatore Casarrubea
Laureato in Giurisprudenza con 110, lode e mensione alla tesi. Attualmente è Iscritto all'ordine dei praticanti avvocati di Palermo e collabora con lo studio Legale Perrino&Associati e con lo studio Legale Casarrubia.
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