La lieve entità in materia di spaccio. Sforzo esegetico sul comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990

La lieve entità in materia di spaccio. Sforzo esegetico sul comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990

In occasione delle recente pronuncia della Cassazione sulla fattispecie di lieve entità in materia di spaccio, torna quanto mai attuale la necessità di tirare le somme e fare il punto in ordine agli arresti giurisprudenziali sul tema, da tempo oggetto di accesi dibattiti e di importanti riforme in ordine alla più generale disciplina penalistica degli stupefacenti.

La centralità della materia emerge con chiarezza se solo si guarda alla situazione carceri italiane: la violazione della legge sugli stupefacenti rappresenta la causa di detenzione per quasi un terzo dei soggetti ristretti, a cui va aggiunto il preoccupante dato relativo all’aumento dei detenuti affetti da dipendenza da sostanze stupefacenti e psicotrope.

La tematica è stata infatti attraversata da oltre un ventennio da un coacervo di posizioni dottrinali e giurisprudenziali〈1〉 che hanno portato il quadro normativo di riferimento, già di per sé particolarmente nutrito, ad essere di non semplice comprensione da parte di chi vive ogni giorno le aule di giustizia.

Tra gli interventi dottrinali sul punto, merita senz’altro di essere condiviso quello che reclama a gran voce un’interpretazione più rigorosa del dato normativamente posto dal quinto comma dell’art. 73 D.P.R. 309/1990, affinché possa dirsi realmente rispettato il canone della prevedibilità delle decisioni per il destinatario del precetto penale.

La norma recita: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329».

Problema maggiore deriva dalla linea sottile che separa la fattispecie della lieve entità da quelle più gravi contemplate ai commi 1 e 4 del suddetto art. 73, e ciò in considerazione delle diverse determinazioni assunte dall’organo giudicante sul versante dosimetrico della pena a seconda che si propenda per l’una o per l’altra soluzione〈2〉.

Ma facciamo un passo indietro.

Originariamente la finalità della norma in esame, avente natura circostanziale, veniva ravvisata nella capacità della disposizione di rendere il profilo commisurativo/sanzionatorio equilibrato in caso di violazione delle leggi sul traffico di stupefacenti, facendo leva essenzialmente sul dato qualitativo, e cioè sul tipo di sostanza stupefacente – droghe pesanti e leggere – da considerare ai fini dell’applicazione della fattispecie di lieve entità di cui al comma 5.

Il distinguo in ordine al tipo di sostanza viene però meno nel 2006, quando il legislatore prevede che la risposta edittale sia quella contemplata per le droghe pesanti anche laddove si fosse trattato, all’opposto, di quelle leggere. Accanto a tale rigore sanzionatorio, non va però trascurata l’inedita previsione del lavoro di pubblica utilità nel caso in cui a ricadere nell’ipotesi circostanziale di cui al comma 5 fosse stato un soggetto affetto da dipendenza da sostanze stupefacenti.

Bisogna tuttavia attendere il 2013 per la considerazione della lieve entità quale fattispecie incriminatrice autonoma〈3〉, opzione legislativa questa in grado di contemperare l’inasprimento delle pene in materia: in tal modo, infatti, l’ipotesi in esame abbandonava il perimetro tracciato dall’art. 69 c.p., uscendo definitivamente dal giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti ed attenuanti. Sempre in un ottica mitigativa della risposta punitiva, poi, nel 2014 si propende per un abbassamento della forbice edittale in caso di lieve entità〈4〉.

Tuttavia, il ritorno alla disciplina ante 2006, frutto dell’intervento del giudice delle leggi nel 2014〈5〉, sebbene non abbia determinato una reviviscenza delle originarie e più rigorose cornici edittali e della vecchia concezione della lieve entità quale ipotesi circostanziale, ha indubbiamente spianato la strada ad un assetto disfunzionale del sistema complessivamente considerato, atteso che da un lato tornava in auge il diverso peso assunto dalle sostanze (rectius leggere e pesanti) in ordine all’ipotesi più grave contemplata al comma 1 sebbene tale discrimine non si rinveniva nell’ipotesi della lieve entità, e dall’altro appariva poco coerente il versante della pena, considerando che alla fattispecie di lieve entità, non distinguendo, come poc’anzi ricordato, tra droghe leggere e pesanti, veniva ricondotta la pena della reclusione da sei mesi a 4 anni mentre per l’ipotesi di cui al comma 1 la previsione era dagli 8 ai 20 anni〈6〉.

Aver ripercorso, seppur brevemente, le tappe che hanno interessato l’evoluzione del quinto comma dell’art. 73 D.P.R. 309/1990, ci aiuta a fissare meglio i termini del problema che in questa sede si vogliono evidenziare.

Allo stato attuale, infatti, risulta arduo operare una distinzione concreta tra ipotesi di lieve entità e quelle più serie in punto di pericolosità sociale. La scelta nell’uno o nell’altro senso spetta al giudicante, ma sulla scorta di parametri valutativi labili, poco netti in ordine all’inquadramento delle fattispecie più lievi: discorrere, come fa la disposizione in esame, di  «mezzi, modalità, circostanze dell’azione, qualità e quantità delle sostanze» non offre certamente le garanzie auspicabili per il rispetto del principio di sufficiente determinatezza delle fattispecie penali, che impone un vincolo di precisione e chiarezza alle disposizioni incriminatrici. Gli sforzi interpretativi della giurisprudenza rappresentano dunque la vera chiave di volta per conferire sostanza alla «nozione discrezionalmente vuota dell’art. 73, comma 5»〈7〉.

Proprio in relazione a tale profilo, va ricordato come sebbene l’esegesi giurisprudenziale dei criteri contemplati al comma 5 dell’art. 73 D.P.R. 309/1990 (id est: mezzi, modalità, circostanze dell’azione, qualità e quantità delle sostanze) ha privilegiato un carattere di valutazione globale del fatto, dell’agente e del suo contributo causale al fine di qualificare giuridicamente la fattispecie ai sensi del comma 6 dell’art. 74, resta ferma tuttavia al riguardo la necessità ex ante di una valutazione di adeguatezza di ciascuno dei parametri poc’anzi citati per poi procedere, sulla scorta dei dati così ottenuti, ad un vaglio congiunto degli stessi. Al riguardo, va segnalato l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione secondo cui la prevalenza negativa di uno solo di questi cinque parametri non inficia, comunque, l’ applicazione del caso di lieve entità, in tanto in quanto «necessita una valutazione congiunta di tutte le [ cinque ] circostanze [ … ] [ Necessita ] un’ adeguata valutazione complessiva del fatto ( in particolare mezzi, modalità e circostanze dell’ azione [ e ] qualità e quantità della sostanza, con particolare riferimento [ anche ] alla percentuale di purezza della stessa, poiché solo in tal modo è possibile, in concreto, formulare un giudizio [ complessivo ] della lieve offensività del reato»〈8〉. Al riguardo, giova altresì richiamare una recente pronuncia delle Sezioni Unite che fanno riferimento proprio alla possibilità che tra i criteri di cui al quinto comma «si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso»〈9〉.

Merita infine spazio la recente pronuncia della Suprema corte in materia, che ha interessato precipuamente il dato ponderale, ovvero le soglie quantitative per la fattispecie “attenuata” di cui al comma 5〈10〉.

Riprendendo taluni orientamenti già consolidati, la Corte ha sottolineato come il ritenere assorbente il dato quantitativo – nel caso di specie pari a 100 grammi lordi di sostanza del tipo hashish – non può assumere sic et simpliciter un peso totalizzante ed esclusivo nella riconduzione o meno del fatto concreto nell’alveo della lieve entità, considerato che si impone un vaglio d’insieme degli elementi costitutivi della fattispecie penalmente rilevante, potendo uno solo di questi ritenersi davvero assorbente nella logica della non lieve entità solo laddove risulti «talmente rilevante da determinare l’assorbimento dei restanti aspetti», cosa che nel caso sottoposto all’attenzione del giudice di legittimità non si inverava, stante la non idoneità degli altri parametri normativi a rompere gli argini dell’ipotesi lieve.

Snodo fondamentale della pronuncia è tuttavia la prospettazione dei risultati ottenuti mediante un’analisi portata avanti dall’Ufficio per il Processo su incarico della VI sezione e avente ad oggetto oltre trecento statuizioni della Corte in ambito di spaccio di lieve entità.

Queste, sulla scorta di tale studio, le soglie massime entro cui è stata riconosciuta la lieve entità del fatto:

150 g per la cocaina
107,71 g per l’eroina
246 g per la marijuana
386,93 g per l’hashish

a cui vanno aggiunte quelle che sono state fonte di maggiori questioni, risolte però positivamente nel riconoscimento dell’ipotesi di cui al quinto comma:

23,66 g per la cocaina
28,4 g per l’eroina
108,3 g per la marijuana
101,5 g per l’hashish

Indubbia, a parere di chi scrive, l’utilità pratica di tali soglie, tappa ineluttabile se davvero si vuole fornire una lettura che possa dirsi realmente tassativa della norma in esame, specie in relazione, per l’appunto, ai limiti quantitativi minimi e massimi da considerare per l’applicazione effettiva delle ipotesi di spaccio.

Tale recente sforzo operato dalla Corte di cassazione segna pertanto l’apertura di un varco prezioso verso il recupero di quella prevedibilità della condotta sanzionabile quale principio consacrato a livello sovranazionale ancor prima che nazionale〈11〉, risultando così la decisione in parola davvero centrale sia per chi opera quotidianamente con il diritto che per il soggetto destinatario del precetto penale.

 

 

 

 

 


〈1〉 La diversità degli orientamenti in materia è da attribuire alle alternative politiche e culturali che si sono registrate nel tempo: reintegrazione del soggetto tossicodipendente nel tessuto sociale o, all’opposto, emarginazione del soggetto attraverso il pugno duro del precetto penale?
〈2〉 Mentre per la lieve entità sono previste le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329, i casi più gravi di cui al comma 1 contemplano la reclusione da sei a venti anni e la multa da euro 26.000 a euro 260.000.
〈3〉 La scelta de qua è frutto del d.l. 146/2013.
〈4〉 Più nel dettaglio, la pena della reclusione, in origine prevista da 1 a 6 anni, contempla allo stato attuale cornici edittali che vanno da sei mesi a 4 anni. Al riguardo, v. d.l. 36/2014.
〈5〉 Corte cost. sent. n. 32/2014.
〈6〉 Al riguardo va segnalato come l’iter giurisprudenziale seguito dal giudice delle leggi ha portato successivamente il minimo edittale da 8 a 6 anni di reclusione per l’ipotesi di cui al primo comma. Sul punto, cfr. Corte cost. sent. n. 40/2019. V. anche nota 2.
〈7〉 In questi termini, v. PALAZZO (2014), Il piccolo spaccio di stupefacenti può essere organizzato, in Diritto penale e processo, p.
169.
〈8〉 Cass. pen. sez. VI, sent. n. 27809, 5 marzo 2013. In tal senso, v. anche Cass. sez. pen. VI, sent. n. 6574, 10 gennaio 2013.
〈9〉 Cass. pen., Sez. Un. sent. n. 51063, 27 settembre 2018, Murolo, in CED, Rv. 274076, § 7.
〈10〉 Cass. pen. sez. VI, sent. n. 45061, 25 novembre 2022.
〈11〉 Le radici del principio di prevedibilità sono da ricercare nell’art.7 della CEDU.

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Avv. Giovanni Ciscognetti

Nato nel 1992, ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo con il Prof. Vincenzo Maiello una tesi in Diritto Penale dal titolo "Le circostanze del reato". È iscritto all'Albo degli Avvocati di Napoli. È attualmente membro della Scuola Forense Enrico De Nicola.

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