La locazione di immobili ad uso non abitativo

La locazione di immobili ad uso non abitativo

 1. La locazione in generale.

Ai sensi dell’art. 1571c.c.  la locazione è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a far godere all’altra (locatario o conduttore) una cosa mobile o un immobile per un dato periodo di tempo verso un determinato corrispettivo e con una data destinazione.

La normativa civilistica prevede delle regole generali per la locazione relativa ai beni mobili e immobili (artt. 1571-1614), nell’ambito della quale si innesta una disciplina speciale per la locazione di fondi urbani (artt. 1607-1614), la quale è regolata, a seconda della destinazione e uso, anche alla normativa speciale o solo dal codice.

All’interno delle locazioni immobiliari distinguiamo, da un lato, quelle che hanno ad oggetto immobili urbani adibiti a uso abitativo, regolate dalla L. n. 431/98 che ha parzialmente sostituito la L. n. 392/78, e , dall’altro, le locazioni ad uso non abitativo regolate degli artt. 27 ss. della citata legge dell’equo canone, non abrogate dalla L. n. 431/98.

La locazione è un contratto oneroso, consensuale ad effetti obbligatori ed a prestazioni corrispettive ( G.Gabrelli e Padovini, 329).

La durata del contratto di locazione non può superare i trent’anni ai sensi dell’art. 1575 e, ove sia ultranovennale, appartiene agli atti di straordinaria amministrazione (art. 1572 c.c.).

Dal punto di vista del locatore, queste sono le principali obbligazioni: a)consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; b) mantenerla in stato da servire all’uso convenuto; c) garantire il pacifico godimento durante il rapporto, preservandolo da possibili molestie di diritto altrui.

Quanto al conduttore le sue obbligazioni principali sono: a) prendere in consegna la cosa e servirsene per l’uso convenuto con la diligenza media; b) restituire al termine del contratto la cosa al locatore nello stato in cui l’ha ricevuta, salvo il deterioramento dovuto a vetustà o a consumo; c) corrispondere alle scadenze fissate i canoni locativi, senza poterne interrompere o sospendere il pagamento anche in presenza di eventuali vizi o difetti occulti dell’immobile che, seppur gravi, diminuiscano solo parzialmente il suo utilizzo. 

2. Disciplina speciale per gli immobili urbani.

La legge speciale regola con differenti disposizioni le locazioni aventi ad oggetto immobili urbani.

Gli immobili ad uso abitativo possono essere concessi in locazione mediante due diverse modalità: – o mediante un contratto con canone libero, la cui durata non sia inferiore a quattro anni, rinnovabile per un ulteriore quadriennio salvo disdetta nel semestre precedente; – oppure mediante contratti-tipo elaborati dalle organizzazioni della proprietà e dei conduttori, i quali consentono di beneficiare di agevolazioni fiscali con l’onere di durata non inferiore al triennio, rinnovabile per il biennio successivo, salvo disdetta nel semestre precedente.

In entrambi i casi il contratto deve essere redatto per iscritto  a pena di nullità, rilevabile d’ufficio o su domanda del conduttore.

Per quanto riguarda invece gli immobili adibiti ad uso diverso da abitazione, requisito indispensabile è il rispetto  dei vincoli di destinazione del Piano Regolatore vigente.

Relativamente a tale seconda categoria, che sarà di seguito oggetto di approfondimento, il canone di locazione iniziale è libero, potendo solo essere successivamente aggiornato agli indici ISTAT sulla variazione del costo della vita (art.32 della L.78/392).

La durata minima per tale contratto di locazione, ove gli immobili locati vengano adibiti allo svolgimento di attività di carattere industriale, commerciale, artigianale, turistica ovvero attività di lavoro autonomo, è fissata in sei anni  mentre, se gli immobili sono adibiti allo svolgimento di attività alberghiera o  teatrale è fissata in nove anni.

3. Focus: La locazione a uso non abitativo, forma contrattuale ed obbligo di registrazione.

Nel contratto di locazione ad uso non abitativo (o locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione)un soggetto (locatore) mette a disposizione di un altro soggetto (conduttore) un immobile riservato ad un uso diverso da quello di abitazione, dietro pagamento di un corrispettivo liberamente determinato dalle parti.

Come si è anticipato nel precedente paragrafo, il contratto di locazione di immobili non abitativi è soggetto ad una specifica disciplina, differente da quella stabilita per gli immobili ad uso abitativo.

Quanto a tale tipologia contrattuale, vige il principio della libertà della forma ( salvo  il caso dei rapporti di durata superiore a nove anni e ai contratti stipulati dalla pubblica amministrazione), differendo in ciò rispetto ai contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo,  per i quali invece vige la forma scritta.

Tuttavia, la libertà della forma non importa il venir meno dell’obbligo di registrazione, il quale permane  anche per gli immobili ad uso non abitativo.

Ed invero, il mancato ottemperamento all’obbligo ex art. 1, comma 346, della L. n. 311/2004 rende nullo il contratto, sanabile con effetti ex tunc attraverso la registrazione tardiva, anche se sussistono pareri contrastanti in dottrina e giurisprudenza.

Di regola infatti la norma tributaria non rientra nel concetto di norma imperativa e ciò in virtù del “Principio di non interferenza tra diritto tributario e diritto civile”.

Si ritiene infatti che la norma tributaria sia una norma posta a tutela di un interesse particolare che è quello fiscale consistente nel recupero del gettito, diversamente dalle norme c.d. imperative che  sono poste a tutela di interessi generali.

La violazione delle norme imperative importa la nullità di un contratto, e non essendo qualificabile la norma tributaria come imperativa, la sanzione della nullità risulterebbe sproporzionata.

In materia di locazione il principio di non interferenza trova storicamente una deroga significativa, che si traduce nell’ipotesi di nullità da mancata registrazione del contratto di locazione.

La disputa giurisprudenziale e dottrinale non è da sottovalutare. L’orientamento che non consente di sanare il contratto con la registrazione tardiva avrebbe una portata oltremodo invalidante poiché non consentirebbe, da un lato, di recuperare il gettito evaso e, dall’altro. aumenterebbe la vulnerabilità contrattuale del conduttore, parte debole, privato ad esempio della tutela dell’avviamento commerciale, del diritto alla prelazione e via di seguito.

È intervenuta la Corte Costituzionale riconoscendo legittimità costituzionale all’art. 1, comma 346 della L. n. 311/2004, elevandola al rango di norma imperativa perché posta a tutela non solo dell’interesse del singolo, ma anche di quello generale della lotta all’evasione fiscale.

 3.1. Il canone locativo e la sua determinazione.

Oltre al principio di libertà della forma, che costituisce elemento distintivo di tale tipologia contrattuale rispetto a quella avente ad oggetto immobili ad uso abitativo, vice il principio di libera determinazione del canone.

È infatti già stato accennato che il canone di locazione, per gli immobili ad uso non abitativo, è liberamente determinabile dalle parti, tuttavia una volta determinato non è modificabile salvo aggiornamento condizionato all’aumento dell’inflazione quindi dagli indici Istat.

Si ritiene che sia preclusa all’autonomia negoziale la possibilità, durante il rapporto, di incrementare il canone con patti aggiuntivi.

Questo conclusione si ricava tradizionalmente da due norme : l’art 32 della legge n.392 del 1978, la quale continua ad operare per le locazioni non abitative, e l’art 79.

L’art 32 afferma che le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta. Al secondo comma dello stesso articolo si stabilisce tra l’altro che questa modificabilità non è libera ma deve essere contenuta entro un limite quantitativo,  circoscrivendo le variazioni nel limite del 75% del tasso di inflazione.

Quanto affermato con l’art. 32 sembra confermato dall’art. 79, il quale stabilisce la nullità di ogni pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti o altro vantaggio in contrasto con la legge.

Il combinato disposto di queste norme porta alla conclusione secondo cui il canone può essere variato solo per un unico motivo costituito dall’adeguamento al tasso di inflazione, ed entro un determinato quantitativo: il 75% del tasso di inflazione. Di conseguenza è nullo qualsiasi patto che attribuisca un canone maggiore di quello previsto dagli articoli precedenti o comunque vantaggi non previsti.

Sulla scorta di tali prescrizioni normative, la giurisprudenza si è posta un problema: la possibilità di prevedere, non patti aggiunti di variazione del canone, ma una clausola originaria che preveda sin dall’origine l’aumento del canone. In particolare il problema si è posto per il c.d. canone a scalare.

Sul punto, parte della giurisprudenza ha sostenuto che tale tipo di canone determina o rischia di determinare un aumento non consentito, in violazione dell’art. 32.

Sulla scorta di tale preoccupazione  parte della giurisprudenza ha iniziato a sostenere che la clausola che prevedesse tale tipo di canone a scalare fosse legittima solo in presenza di giustificati motivi oggettivi  che giustifichino l’aumento, dimostrando che non si tratta di un modo per aggirare il limite quantitativo previsto dall’art 32  (ad esempio quando durante la fase iniziale del rapporto contrattuale sia necessario effettuare dei lavori sull’immobile locato).

Recentemente la Cassazione, quanto al canone a scalare, ha ribadito il principio della libera negoziabilità del canone, sostenendo che il canone a scalare originariamente previsto sia valido, a meno che non risulti che abbia una funzione elusiva dell’art.32, senza necessità delle parti di addurre specifici motivi oggettivi a giustificazione di tale scelta.

 3.2. Durata del rapporto,  rinnovo, recesso e diritto di prelazione.

La durata minima della locazione a uso non abitativo è già stata in precedenza decritta (sei anni per gli immobili adibiti ad attività commerciali, industriali, artigianali, d’interesse turistico e di lavoro autonomo; nove anni per lo svolgimento di attività alberghiere o imprese assimilate).

Ciò che risulta lampante è che questo tipo di locazione è strettamente associata all’attività svolta dal conduttore, la cui indicazione deve risultare dal contratto.

La stabilità del rapporto contrattuale, necessaria per il regolare svolgimento di attività commerciale, è poi garantita dal fatto che alla prima scadenza contrattuale, il rinnovo è automatico e può essere negato dal locatore soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge.

Ed invero, alla prima scadenza contrattuale il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione solo per i motivi elencati all’art. 29 L.78/392, ovvero: – se intende adibire l’immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta; – se intende adibire l’immobile all’esercizio in proprio o del coniuge/parenti entro il secondo grado in linea retta delle attività indicate dall’art. 27 o, riguardando il rapporto pubbliche amministrazioni ed enti pubblici o di diritto pubblico, l’uso dell’immobile sia destinato al conseguimento di finalità istituzionali; – se si renda necessaria la demolizione e ricostruzione/restauro dell’immobile o la sua ristrutturazione per rendere i locali adibiti alla vendita conformi alla legge e ai piani comunali, sempre che le opere da effettuarsi rendano incompatibile la permanenza del conduttore nell’immobile locato.

Il locatore dovrà pertanto, a pena di decadenza,  dichiarare la propria volontà di conseguire la disponibilità dell’immobile alla scadenza del contratto, specificando, a pena di nullità, motivi, tra quelli tassativamente elencati.

Se entro i sei mesi successivi al rilascio il locatore non realizza gli intenti manifestati, il conduttore può richiedere il ripristino del contratto (fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede), il rimborso delle spese sostenute per il trasloco e gli altri oneri sopportati, nonchè l’eventuale risarcimento del danno (art. 31).

Quanto al recesso del conduttore, le parti del contratto possono consensualmente stabilire il diritto del conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto, previa comunicazione sei mesi prima del recesso.

In ogni caso, in assenza di apposita clausola contrattuale, il conduttore potrà comunque recedere, fermo restando l’obbligo  di preavviso al locatore (art. 27, comma 8), solo se ricorrano gravi motivi inerenti alla sua persona e all’immobile locato o fondati su eventi successivi alla stipula del contratto.

Il conduttore che esercita un’attività commerciale a stretto contatto con il pubblico ha diritto di prelazione se il locatore, alla seconda scadenza del contratto, intenda nuovamente locare l’immobile ovvero intenda venderlo, in pendenza del contratto di locazione.

 3.3. Indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.

Gli artt.34 e 35 stabiliscono che il locatore sia obbligato a corrispondere una forma di indennizzo al conduttore, quando decida di non rinnovare il contratto, al fine di agevolare la parte debole del rapporto nella ricerca di altro immobile da utilizzare per continuare l’attività e nel reperimento di nuova clientela. Detto indennizzo prende il nome di “indennità da avviamento commerciale”.

Tale indennizzo ha in verità una doppia funzione, da una parte quella di assistenza del conduttore e, dall’altra, quella di incentivare la conservazione dei rapporti di locazione commerciale, in considerazione di quelle attività, condizionate anche dalla collocazione del punto vendita.

L’art. 34 quantifica tale indennità in una somma pari a diciotto mensilità dell’ultimo canone corrisposto, ventuno per le locazioni alberghiere, purchè lo svolgimento di tali attività si attui attraverso contatti diretti col pubblico degli utenti e dei consumatori.

Indipendentemente dal tipo di attività esercitata, l’indennità per la perdita dell’avviamento non è dovuta in caso di morosità, inadempimento del conduttore, rilascio volontario e anticipato, risoluzione consensuale del contratto o cessazione dell’esercizio di impresa per il conduttore, insomma per fatti non imputabili al locatore.

 3.4. Sublocazione, cessione e successione nel contratto.

Al conduttore è consentito sublocare l’immobile o cederlo in locazione a terzi (insieme alla cessione o locazione di azienda), anche senza il consenso del locatore, con l’obbligo di darne preavviso al proprietario con raccomandata almeno sei mesi prima. Il proprietario potrà esercitare il diritto di opposizione esclusivamente per gravi motivi.

Infine in caso di morte del conduttore subentreranno coloro che per successione o per precedente rapporto, risultante da data certa anteriore alla apertura della successione, hanno diritto a continuare l’attività. In caso di separazione legale o consensuale, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il contratto si trasferisce al coniuge, anche se non conduttore, che continui nell’immobile la stessa attività fino a quel momento esercitata prima della separazione o divorzio (art. 37).


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