La ludopatia e l’imputabilità del reo: quando il vizio – irrilevante – è solamente un antefatto del crimine

La ludopatia e l’imputabilità del reo: quando il vizio – irrilevante – è solamente un antefatto del crimine

Cass. pen., Sez. II, 13 ottobre – 24 ottobre 2016, n. 44659

Con la pronuncia richiamata, la Corte di Cassazione torna a occuparsi della riconducibilità del vizio di gioco nell’alveo del vizio parziali di mente, idoneo a incidere sulla imputabilità del reo.

Nel caso trattato, la Corte di Appello di Milano, con sentenza 22 ottobre 2015, confermava la penale responsabilità di C.L. in ordine ai reati allo stesso ascritti e consistiti in una serie di truffe consumate in un arco temporale compreso tra il 25 luglio 2008 ed il 22 dicembre 2011.

L’imputato, per ottenere la cooperazione artificiosa della vittima, si fingeva un agente assicurativo di una nota compagnia assicurativa, proponendo false polizze e facendosi consegnare a titolo di premio le relative somme di denaro.

I difensori dell’imputato ricorrono per cassazione dogliandosi della violazione di legge e dei vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all’art. 89 c.p.

In concreto, le censure mosse alla sentenza di secondo grado attengono al fatto che il giudice territoriale, in sede di appello, non avrebbe tenuto in adeguata considerazione la patologia della quale era affetto l’imputato, escludendo che ciò avesse potuto incidere, almeno parzialmente, sulla sua capacità di intendere e di volere.

Invero, il ricorrente sarebbe stato affetto da ludopatia, ossia da un disturbo borderline della personalità riferibile all’incontenibile impulso al gioco d’azzardo al punto che tutte le somme provento dei reati in contestazione erano state da lui utilizzate per assecondare il vizio del gioco e non per altri scopi personali.

Erroneamente la Corte di appello avrebbe quindi ritenuto l’inesistenza di un nesso di causalità tra tale disturbo ed i fatti oggetto delle imputazioni.

Preliminarmente, la Cassazione ricorda come costituisca principio giurisprudenziale oramai consolidato che “ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i “disturbi della personalità”, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di “infermità”, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale” (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317); non solo, tale regola nomofilattica ha trovato pieno riscontro anche per il vizio del gioco d’azzardo (Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, Guidi, Rv. 261339).

Nella fattispecie trattata dalla Corte di Appello di Milano, il collegio, analizzati i fatti di causa, ha però escluso la sussistenza del vizio parziale di mente alla luce dell’assenza di un nesso di causalità tra una spinta psicologica compulsiva in vista di una immediata occasione di gioco e i reati di cui alle imputazioni: in realtà, il vizio del gioco avrebbe costituito esclusivamente l’antefatto del crimine, commesso non in vista di un’immediata occasione di gioco rispetto alla quale fosse urgente, alla stregua di una spinta psicologica compulsiva, il necessario approvvigionamento finanziario, ma per rimediare agli effetti economici già prodotti dal vizio stesso.

Ha dunque ben argomentato il giudice di secondo grado (cfr. sentenza in esame, ove si legge testualmente: ” E in questo ordine di considerazioni si colloca, in definitiva, l’affermazione della Corte di merito secondo cui la condotta criminosa del ricorrente si è caratterizzata nella commissione di truffe abilmente preordinate ed organizzate, con un profitto non immediatamente conseguente alla condotta ingannevole e da impiegare immediatamente nel gioco d’azzardo ma anche utilizzato per tamponare la situazione debitoria (come chiarito anche nella sentenza di primo grado che, trattandosi di doppia conforme, si salda con quella di secondo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo)“.

Il non accoglimento del ricorso consegue, in sostanza, dal fatto che da un lato non tutto il denaro provento delle truffe è stato utilizzato dall’imputato per giocare immediatamente e che, dall’altro, che le azioni delittuose poste in essere sono state realizzate mediante condotte caratterizzate da connotati incompatibili con la spiegazione patologica del movente.


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Filippo Marco Maria Bisanti

Dottore magistrale in Giurisprudenza - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano;Dottore in Operatori della Sicurezza Sociale - Facoltà di Scienze Politiche - Università degli studi Cesare Alfieri di Firenze;Diplomato alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali - Università Guglielmo Marconi di Roma;Esito positivo del tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/2013, conv. in l. 98/2013, svolto presso la Sezione Penale del Tribunale Ordinario di Trento (dicembre 2014-giugno 2016);Cultore della materia presso la cattedra di Diritto civile dell’Università degli Studi di Trento,Cultore della materia presso la cattedra di Istituzioni di diritto privato dell’Università di Trento

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