La mancata applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto alla ricettazione attenuata
Nota a Corte Cost., sent. 24 maggio 2017 (dep. 17 luglio 2017), n. 207
Sommario: 1. L’ambito applicativo dell’art. 131 bis c.p. – 2. Natura giuridica dell’istituto – 3. La questione di legittimità costituzionale – 4. La decisione della Corte Costituzionale.
1. L’ambito applicativo dell’art. 131 bis c.p.
Con il D.lgs. n. 28 del 16 marzo 2015, il legislatore ha introdotto l’istituto della particolare tenuità del fatto di cui all’ 131 bis c.p., per esigenze di deflazione e di razionalizzazione del sistema penale, ispirato al perseguimento del principio fondamentale dell’extrema ratio.
L’art. 131 bis prevede i presupposti applicativi e i limiti di operatività dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
In particolare, il 1° comma dispone che tale causa di non punibilità si può applicare solo ai “reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, solo o congiunta alla predetta pena detentiva”.
La scelta legislativa di individuare l’area di azione dell’art. 131 bis c.p. sulla base del massimo edittale della pena è stata sottoposta a diverse critiche.
Una parte della dottrina ha sostenuto che sarebbe stato più opportuno far riferimento al minimo edittale, espressivo della “minima gravità necessaria” dell’illecito, che viene in rilievo nell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. Difatti, la previsione del massimo edittale quale limite di operatività di tale causa di non punibilità potrebbe condurre a conseguenze irrazionali, tra cui l’esclusione di fattispecie che sono dotate di una minima carica offensiva, rispetto ad altre per cui essa trova applicazione[1].
Alla delimitazione dell’ambito oggettivo di operatività dell’istituto contribuisce anche il 4° comma, il quale statuisce che per la determinazione della pena detentiva non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o a effetto speciale. In quest’ultimo caso, il giudice non potrà effettuare il giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’ art. 69 c.p.
In più, l’art. 131 bis c.p. individua due elementi strutturali oggettivi e soggettivi necessari per la concessione della particolare tenuità.
Il primo presupposto applicativo è di natura oggettiva e si articola nelle “modalità della condotta” e nell’ “esiguità del danno o del pericolo” da valutare ai sensi dell’art. 133, comma 1, c.p.
Il secondo, invece, è di natura soggettiva e consiste nella “ non abitualità del comportamento”.
I commi 2 e 3 specificano, in senso negativo, i requisiti della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento, indicando quando l’offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuità e menzionando una serie di ipotesi in cui il comportamento è considerato abituale.
In tali casi, è esclusa l’applicabilità di tale causa di non punibilità.
Infine, il comma 5 dispone che la causa di esclusione della punibilità può trovare applicazione, anche quando la legge, prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante, purché siano rispettati i limiti edittali di pena di cui al 1° comma.
2. Natura giuridica dell’istituto.
L’istituto previsto nell’art. 131 bis c.p. è stato espressamente concepito come una causa di non punibilità in senso stretto, che presuppone la sussistenza di un reato, ma che per ragioni di opportunità politico – criminale non risulta meritevole di pena, lasciando impregiudicati gli effetti civili derivanti dal reato stesso.
D’altronde, la natura di causa di non punibilità in senso stretto dell’art. 131 bis c.p. è riconosciuta dalla dottrina[2], dalla giurisprudenza[3] e, soprattutto, trova conferma nel testo normativo e nella collocazione sistematica. In questo senso depongono: a) la rubrica della disposizione intitolata “Esclusione della punibilità”; b) il tenore letterale della norma “la punibilità è esclusa”; c) la collocazione sistematica all’interno del Titolo V della Parte generale del codice denominato “Della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Della modificazione, applicazione ed esecuzione della pena”, specificatamente nel Capo I “Della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Della modificazione e applicazione della pena”; d) la Relazione allo schema del decreto legislativo, che sottolinea come l’applicazione del nuovo istituto presuppone l’esistenza di un reato, il quale, tuttavia, non viene punito; e) l’art. 651 bis c.p.p., che ricollega alle sentenze di proscioglimento, pronunciate in applicazione dell’art. 131 bis c.p., all’esito del dibattimento, efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi di danno, quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
3. La questione di legittimità costituzionale.
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto approda in Corte Costituzionale, in virtù dell’ordinanza di remissione sollecitata dal Tribunale di Nola.
In particolare, la vicenda, che ha dato adito al giudizio di legittimità costituzionale, trae origine da un processo penale a carico di un imputato al quale gli venivano contestati i reati previsti dagli artt. 474 e 648 c.p., “per aver acquistato o comunque ricevuto trentuno astucci di certa illecita provenienza in quanto muniti di marchi e segni distintivi contraffatti”. Il giudice di merito, alla luce dell’emergenze processuali, riteneva applicabile la circostanza attenuante prevista nel comma 2 dell’art. 648 c.p., in considerazione della condotta complessiva posta in essere dall’imputato, dal conseguimento da parte dello stesso di un lucro di speciale tenuità, dalla correlativa tenuità del danno arrecato alla persona offesa, dalla personalità dell’imputato (soggetto incensurato). Per le stesse ragioni, l’organo giudicante sosteneva, che il caso di specie, era astrattamente riconducibile alla speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Tuttavia, in virtù dello sbarramento edittale fissato nell’art. 131 bis c.p., lo stesso risultava inapplicabile al reato di cui all’art. 648 c.p., anche nella sua forma attenuata, essendo sanzionato con la reclusione fino a sei anni, così superando il limite dei cinque anni previsto per l’applicabilità della causa di non punibilità.
Alla luce di siffatta mancata estensione dell’istituto in esame alla ricettazione attenuata, il Tribunale di Nola ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p., per contrasto con gli artt. 3, 13, 25 e 27 della Costituzione “laddove, stabilendo che la disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante, non estende l’applicabilità della norma all’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, comma 2, c.p.,”
Innanzitutto, il giudice a quo rileva che la mancata estensione dell’art. 131 bis c.p. all’art. 648, comma 2, c.p., determina la violazione dell’art. 3 della Costituzione, traducendosi in una irragionevole disparità di trattamento tra le ipotesi di ricettazione attenuata, astrattamente gravi per il massimo edittale previsto di sei anni, ma che spesso in concreto si mostrano dotate di una carica offensiva lieve, rispetto a fattispecie incriminatrici punite con pene inferiori a cinque anni, cui è applicabile in astratto la causa di non punibilità, che in concreto si manifestano in grado di ledere più gravemente il bene giuridico tutelato dalla norma. A tal proposito, il giudice remittente elenca una serie di reati sanzionati con limiti edittali inferiori nel massimo a cinque anni e, che rientrano quoad poenam, nell’ambito di operatività della causa di non punibilità. Essi sono i delitti contro il patrimonio caratterizzati dalla lesione dello stesso bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, quali ad esempio, la truffa ex art. 640 c.p., il furto ex art. 624 c.p., l’ appropriazione indebita ex art. 646 c.p., e una vasta gamma di delitti contraddistinti dalla eterogeneità del bene giuridico tutelato, quali, a titolo esemplificativo, il favoreggiamento personale e reale ex artt. 378 e 379 c.p., la corruzione ex art. 318 c.p., l’ abbandono di persone minori o incapaci ex art. 591, comma 1, c.p.
In particolare, la scelta del legislatore di fissare un limite edittale massimo per l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. appare irragionevole, traducendosi nell’inapplicabilità della causa di non punibilità ad ipotesi che, già a livello legislativo, appaiono caratterizzate da particolare tenuità e che, in concreto possono essere connotate da tutti i requisiti prescritti dalla norma in esame, per la valutazione in termini di particolare tenuità del fatto.
In sostanza, questa irragionevole disparità di trattamento, a parere del giudice a quo, si tradurrebbe in una lesione del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, in quanto l’organo giudicante, pur accertando in concreto, che la condotta di ricettazione si presenti connotata da minima offensività, non può applicare l’art. 131 bis c.p., in forza dell’ ostacolo insormontabile costituito dal limite edittale, ne consegue, che egli ha l’obbligo di sanzionare tali condotte di scarso allarme sociale, viceversa, gli è possibile considerare non punibili condotte di pari o maggiore carica offensiva, ma che rientrano quoad poenam nell’ambito dell’art. 131 bis c.p., in quanto sanzionate nel minimo con la pena inferiore a cinque anni.
Per di più, la scelta del legislatore di ancorare l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., al limite edittale di cinque anni senza tener conto dell’intero assetto sanzionatorio relativo alle singole fattispecie di reato appare arbitraria oltre a determinare difficoltà e storture nell’applicazione pratica.
Alla violazione di cui all’art. 3 della Costituzione, si aggiunge la violazione del principio di offensività, che ha rango costituzionale e trova i propri referenti normativi negli artt. 13 e 25 della Costituzione, e del principio di rieducazione della pena di cui all’art. 27, comma 3 della Costituzione.
4. La decisione della Corte Costituzionale.
La Corte costituzionale ritiene, nel merito, non fondate le questioni di legittimità costituzionale formulate dal giudice remittente.
In primo luogo, la Consulta critica la prospettazione del giudice a quo, il quale sulla base dei commi 1 e 5 dell’art. 131 bis c.p., ritiene che si possa estendere tale ultima previsione anche all’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, comma 2, c.p., alla stregua di un collegamento tra la circostanza fondata sulla particolare tenuità del fatto e la causa di non punibilità. Invece, a parere dei giudici di legittimità, l’esistenza di un’attenuante che preveda quali elementi costitutivi la particolare tenuità del fatto o del pericolo non impedisce, né comporta automaticamente l’applicazione della causa di non punibilità.
Inoltre, la circostanza attenuante della particolare tenuità del danno o del pericolo di cui all’art. 131 bis c.p. si differenzia dalla particolare tenuità del fatto che integra l’attenuante di cui all’art. 648, comma 2, c.p.
Nello specifico, l’attenuante di cui al 2° comma dell’art. 648 c.p. rientra nel novero di quelle cosiddette indefinite o discrezionali, cioè quelle non espressamente specificate, che si fondono su una valutazione globale del fatto o sulla considerazione dei suoi profili oggettivi, quali le caratteristiche dell’azione criminosa o l’entità del danno o del pericolo e che svolgono una funzione mitigatrice della severa risposta punitiva. Diversamente, la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, richiede una valutazione complessiva e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dall’entità del danno o del pericolo[4].
Per le ragioni esposte, si desume che tra l’attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all’art. 648, comma 2, c.p. e la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., non vi è alcun collegamento, tale da comportarne l’applicabilità.
Dopo queste preliminari considerazioni, il Giudice delle Leggi dichiara non fondata la violazione dell’art. 3 della Costituzione, sottolineando l’inidoneità dei tertia comparationis indicati dal giudice remittente a fungere da parametro di riferimento ai fini della verifica della lesione del principio di ragionevolezza. Infatti, i reati che il giudice elenca sono tra loro diversi ed incompatibili con il reato di ricettazione, sia sotto il profilo strutturale, sia sotto il profilo dei beni giuridici tutelati.
A tal proposito, la Consulta richiama la propria giurisprudenza sul punto, secondo la quale: “ anche, in presenza di norme manifestatamente arbitrarie o irragionevoli, solo l’indicazione di un tertium comparationis idoneo, o comunque, specifici cogenti punti di riferimento, può legittimare l’intervento della Corte in materia penale, poiché non spetta ad essa assumere autonome determinazioni in sostituzione delle valutazioni riservate al legislatore”.[5]
Allo stesso modo, anche la questione posta dal giudice circa la scelta del legislatore di ancorare l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. al massimo edittale viene ritenuta dalla Corte infondata. Difatti, l’applicabilità o meno della causa di non punibilità a determinate fattispecie, così come, l’indicazione di limiti edittali, è frutto di un giudizio di ponderazione che rientra nell’apprezzamento del legislatore, sindacabile dal giudice costituzionale nelle ipotesi di manifesta irragionevolezza, non ravvisabile nel caso di specie.
I giudici di legittimità sostengono l’infondatezza anche delle ulteriori censure prospettate dal giudice remittente, relative agli artt. 25, 2° comma e 27, 3° comma della Costituzione, fondandosi sull’erroneo presupposto che la causa di non punibilità si applichi a quei fatti in concreto inoffensivi, mentre, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’istituto in esame è applicabile a quei fatti caratterizzati da una certa, seppur lieve, offensivista[6].
La Corte Costituzionale, pur giungendo ad una declaratoria di infondatezza delle questioni poste dal giudice remittente, riconosce le storture normative in materia di ricettazione, e le conseguenze che da essa discendono in relazione alla causa di non punibilità in questione.
In primo luogo, la Consulta sottolinea l’“anomalia” della cornice edittale della ricettazione di particolare tenuità di cui all’art. 648, comma 2, c.p. che prevede la reclusione che va da un minimo di quindici giorni a un massimo di sei anni, nonché l’ampia sovrapposizione con la cornice edittale della fattispecie non attenuata che va da un minimo di due ad un massimo di otto anni.
In secondo luogo, il Giudice delle Leggi osserva che possono presentarsi dei casi concreti di ricettazione attenuata che potrebbero essere puniti con la pena minima di quindici giorni, in cui potrebbe trovare operatività la causa di non punibilità, però impedita dal limite edittale dei sei anni di reclusione, così come, invece, vi sono alcuni reati quali il furto, la truffa che pur rientrando nell’ambito di operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. sono puniti con la pena minima di sei mesi di reclusione.
Per ovviare a tali anomalie normative, la Corte Costituzionale individua una soluzione, la cui attuazione rientra nei compiti del legislatore, consistente nell’introdurre all’interno dell’art. 131 bis c.p. una pena minima al di sotto della quale i fatti, possono comunque essere considerati di particolare tenuità, sussistendo gli altri requisiti previsti dalla norma.
[1] T. PADOVANI, Un intento deflattivo del possibile effetto boomerang, in Guida dir, 2015, n. 15, 20
[2] G. MARINUCCI- F. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, V ed., Milano, 2015, p. 409; T. PADOVANI, Un intento deflattivo al possibile effetto boomerang, in Guida dir., 2015 n. 15, p. 20
[3] Cass., Sez. III, 8 aprile 2015, n. 15449, confermata da Cass.,Sez. Un., 25 febbraio 2016, nn. 13681 e 13682
[4] Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681.
[5] Corte Cost., 16 giugno 2016, n. 148; Corte Cost., 10 novembre 2016, n. 236.
[6] Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681
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