La messa alla prova del condannato adulto e del minore

La messa alla prova del condannato adulto e del minore

Sommario: 1. Introduzione – 2. La messa alla prova del minore – 3. La messa alla prova dell’adulto. Convergenze e dissonanze rispetto alla disciplina della messa alla prova del minore – 4. Considerazioni conclusive

1. Introduzione

L’istituto della messa alla prova rientra nella categoria giuridica del probation. Possono essere così definiti quegli istituti con i quali lo Stato rinuncia, in tutto o in parte, alla sua pretesa punitiva in cambio della dimostrazione, da parte del reo, di aver compreso il disvalore della propria scelta deviante e di non voler, per il futuro, tornare a delinquere.

In base alla fase procedimentale nella quale sono applicati, tali istituti di probation possono essere distinti in probation processuale e probation penitenziario.

Il probation processuale è così definito perché sospende lo svolgimento del processo di cognizione e, in caso di esito positivo, fa sì che il giudice si astenga dall’emettere sentenza di condanna. Il probation penitenziario si applica, invece, nella fase esecutiva della pena ed incide sulla quantità e qualità della prova stessa.

Alla categoria del probation processuale appartengono “la sospensione del processo e messa alla prova” dell’imputato minorenne e quella, introdotta dalla legge 67/2014, dell’imputato adulto (artt. 168 bis -168 quater c.p. e artt. 464 bis e 464 nonies c.p.p.).

Alla categoria del probation penitenziario appartengono, invece, l’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 legge 354/1975; art 4 d.lgs. 121/2018 per i minorenni), la cui concessione e revoca sono competenza del Tribunale di sorveglianza.

Elemento comune ad entrambe le categorie è la prova comportamentale che si richiede al reo e dal cui buon esito dipendono i vantaggi finali dell’istituto. A tal fine, l’imputato (o condannato in caso di probation penitenziario) è sottoposto ad una forma di trattamento rieducativo extrapenitenziario, la cui esecuzione viene affidata al servizio sociale, o ad altri organi qualificati (in alcuni Stati esiste l’Ufficio del probation) e poi valutata dal giudice.

2. La messa alla prova del minore

L’istituto della messa alla prova fa il suo ingresso nell’ordinamento giuridico italiano con la riforma del processo penale minorile, approvata col d.p.r. 448/1988, che agli artt. 28 e 29, e successivamente ex art. 27 d.lgs. 272/1989, consente di interrompere il processo a carico del minore, di deviarne il corso, offrendogli la possibilità di evitare la condanna e la pena, in cambio della dimostrazione del suo ravvedimento.

Il cuore della disciplina è l’elemento di responsabilizzazione del minore: la rinuncia alla sanzione penale non è, infatti, da intendersi come mera clemenza o eccesso di indulgenza, bensì come strumentale ad un positivo completamento di un progetto educativo che il minore deve attivamente contribuire a realizzare.

La messa alla prova rappresenta per il minore una risposta educativa individualizzata, da calibrare sul suo modus vivendi ed in base al suo sviluppo personologico.

Nel d.p.r. 448/1988 le finalità rieducative del processo minorile sono richiamate ben quarantatré volte, e la previsione dell’istituto della messa alla prova, agli artt. 28 e 29, ne rappresenta lo strumento più appropriato ed innovativo.

Il fondamento costituzionale di questa misura di probation si rinviene negli artt. 27 e 31, comma 2, della Costituzione, che affidano al legislatore il compito di individuare, per gli imputati minorenni, strumenti che favoriscano il recupero nel rispetto della specificità della condizione psicofisica; inoltre, negli artt. 2, 3, 4 Costituzione, in relazione al diritto del minore al pieno sviluppo della personalità e ad un proficuo inserimento sociale; infine, nell’art. 111 Costituzione, poiché la messa alla prova risponde all’esigenze di un “giusto processo” per il minore, adeguate alla sua personalità in fieri.

La messa alla prova costituisce, altresì, un efficace esempio della necessità di superamento di una pena carcerocentrica, caldeggiata dalle fonti sovranazionali europee, verso prospettive di giustizia riparativa e di comunità. Si richiamano, per esempio, le cosiddette Regole di Pechino del 1985, le quali sottolineano l’importanza di percorsi alternativi al procedimento penale, quale efficace risposta al disagio giovanile, ponendo l’accento su misure di probation, da preferire alle misure di tipo custodialistico.

Il finalismo rieducativo e la protezione della gioventù (artt. 27 e 31 Costituzione) informano intimamente la riforma del processo penale minorile, affidando al giudice il difficile compito di “processare educando”, al fine di coniugare nel modo più equilibrato possibile le esigenze giurisdizionali di accertamento del fatto-reato con quelle di prevenzione speciale, anche per evitare di dover agire post-iudicatum col rischio di imbattersi in una personalità ormai consolidata in senso deviante.

Il primo momento nel quale la messa alla prova minorile può essere disposta è l’udienza preliminare. “Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo, quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova”.

Dalla lettura dell’art. 28 del d.p.r. 448/1988 emergono i presupposti che devono sussistere perché il giudice sia legittimato a sospendere il processo: l’accertamento della personale responsabilità del minore, pur dovendosi astenere dalla sua formale attribuzione in questa fase; il consenso del minore alla sottoposizione alla messa alla prova; la valutazione della personalità del minore; la funzionalità del progetto rispetto alle prospettive di risocializzazione dell’imputato.

Il giudice è, quindi, chiamato ad una valutazione prognostica dell’efficacia del ricorso alla messa alla prova, tenuto conto del profilo psicologico del minore e del suo consenso quale elemento indefettibile sotto il profilo della funzionalità dell’istituto, affinché il progetto non si riveli una sterile imposizione di prescrizioni dall’alto.

Con l’ordinanza di sospensione e messa alla prova il giudice affida il minorenne ai servizi sociali dell’amministrazione della giustizia che, in base al disposto dell’art. 27, comma 1, d.lgs. 272/1989, elaborano il “progetto d’intervento” che deve prevedere: le modalità di coinvolgimento del minore; gli impegni specifici ed eventualmente le attività riparative e riconciliative del minore con la persona offesa; la partecipazione al progetto da parte degli operatori di giustizia e degli enti locali.

Va sottolineato che il “progetto d’intervento” è connotato da massima flessibilità e dinamismo, al fine di consentire modifiche in corso d’opera, come pure la sua abbreviazione (se si ritiene interamente recuperato il minore prima del termine), proroga o revoca, disposta dal giudice, qualora la messa alla prova assuma valore negativo.

Il favor minoris che informa l’istituto della messa alla prova si evince dal fatto che la misura non conosce preclusioni di concessione né in relazione al tipo di reato (concedibile anche per reati particolarmente gravi, l’art. 28 d.p.r. 448/1988 parlava anche di ergastolo, salvo ritenere superato il riferimento per l’intervenuta sent. cost. 168/1994 di illegittimità costituzionale dell’ergastolo per i minori), né in relazione all’età, perché la misura è concedibile anche in favore dell’imputato divenuto, nel frattempo, maggiorenne.

La durata massima del probation varia in relazione alla pena edittale prevista, secondo le determinazioni del giudice, in base anche alla complessità del progetto individuale, ma in ogni caso per una durata non superiore ai tre anni.

Della prova che, non essendo stata revocata, giunge al termine, deve essere valutato l’esito. A tal fine, il giudice fissa una nuova udienza (art. 29 d.p.r. 448/1988) con cui garantire alle parti il diritto al contraddittorio. L’orientamento dottrinale prevalente ritiene che la valutazione del giudice sull’esito positivo o negativo della prova debba essere ancorata a criteri oggettivi, ovvero l’osservanza delle prescrizioni del progetto, per sottrarla ad una discrezionalità improntata ad un anacronistico paternalismo.

Ai sensi dell’art. 29 del d.p.r. 448/1988, se il giudice ritiene che la prova abbia dato esito positivo, dichiara con sentenza estinto il reato, altrimenti provvede a norma degli artt. 32 e 33 del d.p.r. 448/1988 ed il procedimento deve riprendere dal momento in cui era stato sospeso.

3 La messa alla prova dell’adulto. Convergenze e dissonanze rispetto alla disciplina della messa alla prova del minore

A differenza di quanto stabilisce l’art. 657 bis c.p.p. per la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’adulto, in caso di revoca o esito negativo della messa alla prova del minore, il giudice non determina la pena tenendo conto della durata e delle limitazioni patite durante la sottoposizione alla prova.

Tale disparità di trattamento rispetto all’omologo istituto previsto per gli adulti ha suscitato perplessità di ordine costituzionale, in riferimento all’art. 13 Costituzione, in virtù della compressione della libertà patita dal minore sottoposto alla prova.

La Corte costituzionale, con la sentenza 68/2019, ha tuttavia ritenuto che non possa considerarsi contrario ai principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena fondati sugli artt. 3 e 27, nemmeno alla luce delle superiori esigenze di tutela del minore ex art. 31 Costituzione, il fatto della mancata previsione di scomputo di una parte della pena in caso di esito negativo della prova, “perché la messa alla prova per i minori è priva di qualsivoglia carattere sanzionatorio”.

Il mancato scomputo del periodo di probation minorile costituisce il profilo di maggiore dissonanza, ma non l’unico, con l’istituto della messa alla prova degli adulti.

L’accostamento dei due istituti della messa alla prova, per i minorenni e per gli adulti, pur presentando qualche profilo di sovrapponibilità, trattandosi di ipotesi entrambe riconducibili al probation giudiziale, rivela sostanziali differenze ed una autonomia di disciplina.

La legge n. 67 del 28 aprile 2014 ha introdotto nel nostro sistema penale l’istituto della messa alla prova degli adulti, in tal modo completando il recepimento dell’assetto globale del sistema di probation dei paesi anglosassoni, nei quali vige il doppio regime di probation processuale e penitenziario.

Per quanto riguarda i presupposti oggettivi di accesso alla misura di probation, questi sono enunciati dall’art. 168 bis c.p., ovvero possono usufruire della misura gli indagati o gli imputati puniti per fattispecie di reato punibili in astratto con la sola pena edittale pecuniaria o con pena detentiva edittale non superiore ai quattro anni, mentre per i minori non sono previsti, come già detto, limiti di pena o esclusione per specifiche ipotesi di reato.

Sotto il profilo soggettivo, il diritto a richiedere di essere ammessi a sostenere la prova può essere esercitato fin dalle indagini preliminari, quindi quando il soggetto abbia assunto la qualifica sia di indagato sia di imputato, a differenza che per il minore, il quale può essere ammesso alla prova soltanto con l’assunzione della qualifica di indagato a seguito di richiesta di rinvio a giudizio.

Per l’adulto vige, inoltre, la preclusione dell’accesso alla misura in caso di sopraggiunta dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza, di cui agli artt. 102 -108 c.p..

Occorre, altresì, sottolineare l’adesione completamente volontaria dell’imputato adulto alla misura e al successivo programma trattamentale. E’ questa l’essenza dell’istituto, che non può ricollegarsi al solo fatto materiale dell’estinzione del reato, ma ha radici più profonde, tese all’eradicazione delle tendenze alla condotta antigiuridica del soggetto.

Il sistema normativo non prevede un diritto assoluto per l’imputato di accedere all’istituto della messa alla prova, bensì un potere valutativo da inserirsi nel quadro più ampio personale e processuale del soggetto interessato.

A differenza della disciplina di probation minorile, dove, ai sensi dell’art. 28 d.p.r. 448/1988, è il giudice a disporre la misura, ai sensi dell’art. 168 bis c.p., è l’imputato adulto che può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, così spostando il momento volontaristico e d’impulso in capo al soggetto imputato. Quindi la messa alla prova non potrebbe mai qualificarsi come sanzione penale eseguibile coattivamente, dando, invece, luogo ad un’attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell’imputato, il quale può anche liberamente farle cessare, con l’unica conseguenza che il processo riprenda il suo corso.

La misura di probation per adulti prevede un ruolo di co-protagonista in capo all’Ufficio di Esecuzione penale Esterna (UEPE), cui compete seguire l’imputato per tutta la durata della misura, come previsto dall’art. 141 ter delle norme di attuazione c.p.p.

Mentre nel processo minorile gli assistenti sociali nominati dal GIP sono in grado di conoscere tutti gli atti delle indagini svolte, imprescindibili per la valutazione del giudice sull’opportunità della misura, il funzionario UEPE, al fine di redigere il programma di trattamento, svolge preliminarmente l’inchiesta sociale, che consiste in una raccolta di significativi dati anamnestici, utili per l’interpretazione della percezione delle condotte antigiuridiche da parte dell’imputato.

Il programma di trattamento per l’imputato sottoposto a probation è costituito da due diverse parti, strutturalmente correlate. La prima riguarda gli obiettivi da raggiungere e le risorse da attivare. La seconda riguarda l’articolazione del programma con l’individuazione precipua degli impegni che il soggetto dovrà assumere.

In particolare, elemento essenziale del trattamento è costituito dalla modalità di svolgimento di lavori di pubblica utilità, dagli impegni volti a ridurre le conseguenze del reato e dalla frequenza dei rapporti con l’UEPE.

Elementi eventuali sono, invece, le attività di volontariato, formative, di studio, le limitazioni di movimento o frequentazione ed anche l’attiva partecipazione a percorsi di legalità.

Al termine della misura, stabilita in due anni per i reati per i quali è prevista una pena detentiva ed in un anno per i reati puniti con pena pecuniaria, l’UEPE redige, con il confronto dell’equipe multiprofessionale, una relazione conclusiva. Se l’esito della prova viene ritenuto positivo dal giudice, quest’ultimo ne dichiara con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato. In caso di esito negativo, il giudice dispone con ordinanza che il giudizio riprenda il suo corso.

4. Considerazioni conclusive

L’analisi della messa alla prova, anche alla luce dei punti di divergenza e di convergenza tra la disciplina per minori e quella per adulti, determinati, nel primo caso, dalla prevalente attenzione alle dinamiche di sviluppo psicofisico, nel secondo caso, al maggior peso ascritto al valore della prova, ci offre spunti conclusivi sull’istituto.

Il sempre più ampio ricorso al probation è, innanzitutto, motivato dalla sua indiscussa capacità di decongestionare la macchina processuale, con finalità deflativa del numero di ingressi in carcere e conseguente risparmio anche della spesa pubblica.

Ma gli aspetti qualificanti l’istituto della messa alla prova restano, senza dubbio, quelli risocializzanti e di avvio di un processo di autocritica verso le condotte devianti, in grado di offrire al reo un’importante chance di cambiamento ed al contempo di restituire alla comunità civile un individuo rieducato ai valori della socialità e della legalità, in modo coerente rispondente al mandato costituzionale del finalismo rieducativo, faro del nostro ordinamento giuridico penale.


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Domenica Di Rocco

Laureata con lode in giurisprudenza, abilitata all'esercizio della professione forense, dipendente del Ministero della Cultura, tante passioni: legalità e diritti civili, psicologia e arte, innovazione e bellezza in tutte le sue espressioni.

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