La misura di self cleaning adottata dalla società colpita da interdittiva antimafia

La misura di self cleaning adottata dalla società colpita da interdittiva antimafia

Il Consiglio di Stato con la recente sentenza n. 3945 del 19 giugno 2020 ha ritenuto elusiva del provvedimento di interdittiva antimafia, adottato dal Prefetto nei confronti di una società il cui consulente esterno risultava vicino agli ambienti della malavita organizzata, la misura di self cleaning posta in essere dalla predetta a seguito dell’emanazione del provvedimento prefettizio e consistente nella revoca dell’incarico per giusta causa.

Più specificatamente, il giudizio in appello aveva ad oggetto la conferma, disposta dalla Prefettura di Caserta, dell’informazione antimafia interdittiva, che era stata adottata nei confronti di una Associazione per essere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa nella vita economica della stessa Associazione.

La conferma era stata annullata dal Tar Napoli, sul rilievo che seppure sia da ritenere plausibile che le misure adottate dalla ricorrente rispondano allo scopo di eliminare l’interdittiva, tale finalità non è da sola sufficiente a ravvisare il carattere elusivo delle misure stesse atteso che ciò che occorre verificare nel caso di adozione di misure di self cleaning non è lo scopo soggettivamente perseguito dall’ente attinto dall’informativa e dai suoi esponenti, bensì l’effettiva idoneità delle misure stesse a recidere quei collegamenti e cointeressenze con le associazioni criminali che hanno fondato l’adozione della precedente informazione antimafia.

Il Supremo Consesso ha confermato quanto già espresso nella sentenza di primo grado, affermando che ciò che occorre verificare, nel caso di adozione di misure di self cleaning, non è lo scopo soggettivamente perseguito dall’ente attinto dall’informativa e dai suoi esponenti, bensì l’effettiva idoneità delle misure stesse a recidere quei collegamenti e cointeressenze con le associazioni criminali che hanno fondato l’adozione della precedente informazione antimafia; contrariamente a quanto sancito dal Giudice di prime cure ritiene però che nella fattispecie siano stati individuati gli elementi in base ai quali dovesse ritenersi persistente il condizionamento.

Sul punto, si richiama il consolidato indirizzo interpretativo dello stesso Consiglio di Stato, secondo cui alcune operazioni societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con il passato continuando a subire, consapevolmente o non, i tentativi di ingerenza (Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707; 7 marzo 2013, n. 1386).

Come noto, d’altronde, l’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.

A ciò aggiungasi che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia l’esistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

I Giudici di Palazzo Spada hanno, in ultimo, evidenziato che la legge nazionale, nell’ancorare l’adozione del provvedimento interdittivo antimafia alla sussistenza di “tentativi” di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non può considerarsi una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quelli previsti dall’art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), d.lgs. n. 159 del 2011), ma su elementi riscontrati in concreto mediante gli accertamenti disposti.


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