La motivazione postuma del provvedimento amministrativo

La motivazione postuma del provvedimento amministrativo

La legge n. 241/90 dedica un’intera sezione alla partecipazione procedimentale,  riconoscendo in capo a determinati soggetti il potere di intervenire nel procedimento amministrativo. 

La finalità perseguita  dagli istituti dedicati alla partecipazione procedimentale è senz’altro quella di assicurare una piena partecipazione dei soggetti privati nell’azione amministrativa, in ossequio al principio del contraddittorio e di buona amministrazione ex art. 97 Cost.

Alla stessa logica risponde l’art. 3 della legge 241/90, rubricato “motivazione del provvedimento amministrativo”.

Prima dell’introduzione della legge sul procedimento amministrativo non esisteva, nel nostro ordinamento giuridico, un vero e proprio obbligo, in capo all’Amministrazione, di motivare il provvedimento amministrativo. Ciononostante, un onere motivazionale era stato previsto dalla giurisprudenza, la quale riteneva che laddove, sulla base di una indagine interpretativa, si ritenesse di dover motivare il provvedimento amministrativo, la mancata indicazione delle ragioni a fondamento dell’atto fosse espressione di un errato esercizio del potere amministrativo.  In tale ipotesi, si poteva dunque agire in giudizio per ottenere l’annullamento del provvedimento, in quanto viziato da eccesso di potere. Su queste basi, la giurisprudenza ha elaborato una serie di figure sintomatiche dell’eccesso di potere legate alla motivazione: illogicità, irragionevolezza e incongruità della motivazione. 

Solo con la legge 241/90 si è giunti, infine,  a positivizzare detto obbligo motivazionale. 

L’avvenuto riconoscimento di un dovere motivazione in capo alla Pubblica Amministrazione risponde pienamente  all’esigenza di assicurare una effettiva tutela del soggetto privato, in ottemperanza ai principi di cui all’ art. 24 e 113 della Costituzione, i quali riconoscono a chiunque il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. 

Si può dunque affermare che l’obbligo di motivazione sancito dall’art. 3, legge n. 241/90,  si colloca in una logica defensionale. Non solo. L’introduzione di questo istituto si pone, altresì’, come espressione di un mutamento della cultura dell’azione amministrativa, caratterizzata da un maggiore coinvolgimento dei soggetti privati. 

Da ciò consegue che l’art. 3, legge 241/90 non risponde più solamente ad una logica defensionale, ma si  pone altresì quale espressione del principio di democraticizzazione dell’azione amministrativa.

Detta disposizione prescrive che ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato.

La norma prevede, dunque, un obbligo generalizzato di motivazione che sussiste per tutti i provvedimenti amministrativi, ad eccezione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale.  A ben vedere, la ragione di questa deroga può essere individuata nella circostanza che tanto gli atti normativi, quanto quelli a contenuto generale, si caratterizzano per la inidoneità a ledere una situazione giuridica soggettiva qualificata . 

Se  da un lato il dato normativo esclude un dovere motivazionale con riferimento agli atti di cui sopra, dall’altro lato va detto che la giurisprudenza amministrativa ha individuato talune ipotesi nelle quali la motivazione è comunque necessaria. Si tratta, nello specifico, delle varianti al piano regolatore generale le quali soggiacciono all’obbligo di motivazione allorquando apportano una modifica in peius dell’assetto degli interessi precedentemente delineato, incidendo sull’affidamento riposto dal soggetto privato. 

All’obbligo di motivazione fissato dall’art. 3 della legge sul procedimento amministrativo soggiacciono anche gli atti di alta amministrazione. A ben vedere, tuttavia, con riferimento a quest’ultimi, si attua la c.d. polverizzazione della motivazione. In altri termini, stante l’inidoneità di detti atti ad incidere sulle situazione giuridiche soggettive, si ritiene sufficiente una motivazione più blanda, meno esaustiva. Ciononodimeno,  detto obbligo motivazionale si riespande allorquando vengono in gioco le procedure di selezione del personale di vertice dell’organizzazione amministrativa, attesa, di converso, l’idoneità di questi atti ad incidere sulle situazioni giuridiche qualificate. 

Altre deroghe all’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo sono state elaborate dalla giurisprudenza. 

La prima deroga  è rappresentata dall’art. 20 della legge n. 241/90 che disciplina il silenzio assenso. Ciò in quanto, in tale ipotesi, il silenzio dell’amministrazione si sostituisce al provvedimento amministrativo e, pertanto, non sussistendo alcun provvedimento, non trova applicazione l’obbligo di cui all’art. 3, l. n. 241/90.

Allo stesso modo, l’obbligo di motivazione viene meno nel caso di provvedimenti favorevoli, posta l’insussistenza di un interesse ad agire in giudizio avverso un provvedimento ampliativo della sfera soggettiva del privato. 

Da ultimo, l’obbligo di motivazione non si rinviene nel caso di provvedimenti vincolati i quali, come noto, si contrappongono ai provvedimenti discrezionali. Rispetto a questi ultimi, per adottare i quali la Pubblica amministrazione compie una scelta di opportunità, i primi vengono emanati dall’amministrazione allorquando quest’ultima abbia accertato la sussistenza dei presupposti richiesti e tassativamente individuati dalla legge. 

Del tutto peculiare è il rapporto tra l’obbligo di motivazione e gli atti espressione di discrezionalità tecnica. Quest’ultima ricorre allorquando l’Amministrazione è chiamata ad accertare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, mediante l’applicazione di regole tecniche e specialistiche che conducono ad un risultato opinabile. La questione si è posta in particolare con riferimento alle procedure concorsuali, laddove ci si è chiesti se la mera indicazione di un punteggio matematico fosse idonea ad assolvere l’onere motivazionale imposto dalla legge sul procedimento amministrativo. Sul punto, si sono contrapposti due differenti orientamenti giurisprudenziali. A fronte di una prima corrente di pensiero che riteneva necessaria l’indicazione delle ragioni giustificative del punteggio, un diverso  e prevalente orientamento giurisprudenziale, facendo leva sull’esigenza di semplificare ed accelerare l’azione amministrativa, riteneva sufficiente la mera indicazione del punteggio matematico. 

Il terzo comma dell’art. 3, legge n. 241/90 riconosce all’amministrazione il potere di ricorrere alla motivazione c.d. per relationem. In tal senso, qualora le ragioni della decisione risultino da un atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione, deve essere indicato e reso disponibile anche l’atto cui essa si richiama. La giurisprudenza si è interrogata in ordine al corretto signfiicato della locuzione “ reso disponibile”. In tal senso, secondo un primo orientamento giurisprudenziale la disponibilità dell’atto deve intendersi in termini di accessibilità concreta dello stesso. Tuttavia, posto che, accogliendo questo primo orientamento si finirebbe per affermare la violazione dell’art. 3, comma 3, nel caso di informative prefettizie antimafia negative, attesa la natura meramente certificativa delle stesse, si è ritenuto prevalente un diverso orientamento giurisprudenziale che intendeva la locuzione di cui sopra come accessibilità in astratto. 

Tutto ciò premesso, una questione a lungo dibattuta è stata quella relativa alla possibilità per l’Amministrazione di integrare la motivazione del provvedimento amministrativo nel corso del giudizio volto a far valere la violazione dell’obbligo di motivazione. 

Sul punto occorre preliminarmente distinguere l’integrazione della motivazione in corso di causa dai meri chiarimenti forniti dalla difesa della parte pubblica, atteso che questi ultimi sono sempre stati ritenuti ammissibili dalla giurisprudenza prevalente. 

Con riferimento invece all’integrazione ex post della motivazione del provvedimento amministrativo, si sono contrapposte due differenti correnti di pensiero. 

Più in particolare, l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente ha a lungo escluso la possibilità di sanare ex post il difetto di motivazione.

In primo luogo si è evidenziata la natura demolitoria del giudizio amministrativo, configurato, tradizionalmente come giudizio sull’atto. Da ciò consegue che il Giudice amministrativo, chiamato a valutare la legittimità del provvedimento,  deve esclusivamente accertare la sussistenza del vizio dedotto in giudizio, non potendo estendere l’oggetto della sua indagine ad elementi che siano sopravvenuti all’emanazione del provvedimento stesso.

Sotto altro profilo, si è sostenuto che ammettendo la sanatoria ex post del provvedimento amministrativo si finirebbe inevitabilmente per incidere sul principio della parità delle armi tra privato e Pubblica amministrazione, atteso che il primo rimarrebbe esposto sine die al pericolo di soccombenza in giudizio. 

In terzo luogo,  se si consentisse una integrazione postuma della motivazione si delineerebbe una proliferazione dei giudizi amministrativi, i quali si porrebbero quale utile strumento a disposizione del privato per imporre all’Amministrazione di motivare i propri provvedimenti. 

Contrapposta a questo primo orientamento è quella corrente di pensiero favorevole ad ammettere la sanatoria ex post della motivazione del provvedimento amministrativo.  Le principali argomentazioni  a sostegno di questa tesi muovono dalle criticità rilevate nel primo orientamento illustrato. 

In primo luogo, si sostiene che compito del Giudice amministrativo non è più solo quello di sindacare la legittimità dell’atto, quanto piuttosto quello di verificare la fondatezza della pretesa azionata in giudizio. 

in secondo luogo, contrariamente a quanto affermato in precedenza, la motivazione postuma costituirebbe un vantaggio per il soggetto privato, il quale si troverebbe nella condizione di contestare i rilievi avversari nel medesimo giudizio già istaurato, senza dover esperire ulteriori contenziosi per demolire un secondo provvedimento eventualmente emanato. 

Questa seconda corrente di pensiero sembra aver trovato nuovo vigore a seguito dell’introduzione dell’art. 21-octies, legge n. 241/90 che, al secondo comma, esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Alla luce delle sopra esposte argomentazioni, l’orientamento giurisprudenziale più recente, pur continuando ad affermare, in linea generale, l’inammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione effettuata in sede processuale, ritiene legittima la sanatoria ex post della motivazione allorquando si sia in presenza di provvedimenti vincolati e sempre allorché la suddetta integrazione non sia tale da ledere i diritti di difesa del ricorrente. 


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti