La mozione veronese non può vietare l’aborto
La legge n. 194, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, è stata approvata 40 anni fa.
Oggi, una mozione del comune di Verona torna sul tema.
Durate la notte tra il 4 e il 5 ottobre 2018, il consiglio comunale di Verona ha approvato una mozione che ha sollevato numerose polemiche. Con 21 voti a favore e 6 voti contrari, Verona è stata dichiarata “città in favore della vita”.
La notizia si è diffusa rapidamente principalmente a causa di titoli che traevano in inganno perché lasciavano intendere che non fosse più possibile abortire in questa città.
In realtà, la legge è chiara e non verrà applicata diversamente nel territorio veronese.
La legge distingue due ipotesi.
La prima, disciplinata dagli articoli 4 e 5, riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento.
L’art. 4 recita “Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975, n. 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia”.
L’art. 5 comma 3 prevede che “Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza”.
Infine, l’art.5 comma 4 stabilisce che “Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate”.
Ciò significa che la decisione è sostanzialmente rimessa alla libera determinazione della madre, la quale – nel caso ritenga vi sia un pericolo per la sua salute fisica o psichica – può rivolgersi ad un consultorio pubblico, o a una struttura socio-sanitaria abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia. Nel caso in cui venga riscontrato il caso di urgenza, le viene rilasciato un certificato con cui le è concesso praticare l’interruzione. Qualora non venisse riscontrato il caso di urgenza, la donna è invitata a riflettere per 7 giorni, trascorsi i quali può in ogni caso ottenere l’interruzione volontaria di gravidanza.
La seconda ipotesi riguarda invece l’interruzione volontaria di gravidanza dopo i primi 90 giorni dal concepimento.
L’articolo 6 precisa che “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
È solo in questi due casi che l’interesse della donna prevale al diritto del nascituro. In tutti gli altri casi, non è possibile abortire.
La mozione di cui sopra non può apportare modifiche a tale regime. Il testo della stessa, infatti, prevede solo il finanziamento di associazioni e progetti operanti nel territorio aventi lo scopo di promuovere quello che viene definito come diritto alla vita. Nonostante ciò, è chiaro che un consenso sempre più diffuso potrebbe comportare, in casi estremi, una modifica della legge nel senso di limitare il diritto della donna a scegliere liberamente se interrompere la gravidanza o meno.
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Sara Todeschini
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