La natura “giustiziale” del ricorso straordinario al Capo dello Stato ed il principio di alternatività
Come previsto dall’art. 8 del d.P.R. n. 1199/71, contro gli atti amministrativi definitivi è ammesso ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per motivi di legittimità e da parte di chi vi ha interesse.
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nasce come rimedio amministrativo, ovvero come strumento di garanzia della legittimità dell’azione pubblica esperibile in sede amministrativa e non giurisdizionale.
Posto che la legittimità dell’atto amministrativo poteva essere valutata solo in sede amministrativa, ossia dalla stessa amministrazione in funzione di giudice di sé stessa, la c.d. tutela amministrativa era inizialmente l’unica forma di salvaguardia che l’ordinamento riconosceva nei confronti dei pubblici poteri, fatta eccezione per la giurisdizione del giudice penale in materia di delitti e per quella dei tribunali del contenzioso in materia di contravvenzioni.
E’ con l’emanazione della LAC (legge abolitiva del contenzioso amministrativo) che il legislatore implementa la tutela giurisdizionale avverso gli atti amministrativi illegittimi, prevedendo la competenza del giudice civile a conoscere delle lesioni concernenti i diritti civili e politici e abolendo i tribunali del contenzioso, affidando la competenza in materia di contravvenzioni al giudice penale.
Anche a seguito di tale intervento legislativo, tuttavia, la tutela amministrativa continua ad essere l’unico strumento predisposto dall’ordinamento a tutela degli interessi legittimi; è solo con l’emanazione della Legge Crispi, infatti, che viene istituita la sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato e ad essa attribuita una competenza generale a conoscere dell’illegittimità degli atti amministrativi.
Tanto premesso, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 69/09, la quale ha novellato parzialmente gli artt. 13 e 14 del d.P.R. n. 1199, dottrina e giurisprudenza hanno iniziato ad interrogarsi in ordine alla natura giuridica del ricorso straordinario.
Per una della dottrina e della giurisprudenza, ordinaria ed amministrativa, le novità legislative anzidette avrebbero determinato un passo chiaro e deciso verso la “giurisdizionalizzazione” del ricorso in parola.
A sostengo di tale conclusione si richiama, in primo luogo, la modifica concernente la natura del parere fornito dal Collegio, il quale, divenuto vincolante per il ministro, viene a costituire in sostanza la decisione del ricorso.
Eliminando per il Consiglio dei Ministri la possibilità di deliberare in dissenso dal parere del Consiglio di Stato, in pratica, sarebbe stato rimosso l’ostacolo principale che la giurisprudenza costituzionale aveva frapposto al riconoscimento, nella suddetta sede consultiva, della natura di autorità giurisdizionale al supremo organo di giustizia amministrativa.
Al contrario, tuttavia, si evidenzia come nell’ordinamento previgente alla l. n. 69, il potere di disattendere il parere del Consiglio di Stato era in realtà esercitabile in casi eccezionali, assumendo lo stesso carattere relativamente vincolante.
L’intento perseguito dal legislatore con la legge menzionata, pertanto, non sarebbe stato quello di trasformare il rimedio straordinario in senso giurisdizionale, bensì quello attribuire all’istituto carattere neutrale ed obiettivo, come tale insensibile all’indirizzo politico del Governo.
D’altra parte, a suffragio di tale tesi si richiama la possibilità per il Consiglio di Stato di esercitare in sede di parere una prerogativa ritenuta tipica degli organi giurisdizionali e dei procedimenti giudiziari, ovvero quella di sollevare una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata.
Per contro, però, si osserva come la possibilità di remissione della questione di legittimità costituzionale alla Corte non sia riservata agli organi giurisdizionali, essendo stata riconosciuta nel corso degli anni in capo a numerosi soggetti non appartenenti all’ordine giudiziario e aventi carattere amministrativo come, per esempio, i Commissari regionali per la liquidazione degli usi civici, la Commissione dei ricorsi in materia di brevetti e marchi e i Consigli di Prefettura.
Secondo autorevole dottrina, infatti, per aversi giudizio di legittimità costituzionale non occorre il concorso del requisito soggettivo (natura giurisdizionale dell’organo procedente) e di quello oggettivo (svolgimento di attività giudiziale), essendo sufficiente la presenza alternativa anche di uno solo di essi.
A conferma di ciò, d’altronde, si osserva come tale facoltà di remissione sia stata attribuita anche ad organi che non esplicano neppure la funzione di dirimere controversie, come la Corte dei Conti nell’esercizio dell’attività di controllo di legittimità sugli atti del Governo.
Del resto, si evidenzia, se il rimedio straordinario è finalizzato a risolvere una vertenza tra privato e p.a., l’unico soggetto che può essere abilitato a sollevare la questione di legittimità costituzionale di una norma, la cui applicazione risulti necessaria a fini decisionali, non può che essere il Consiglio di Stato, il quale è l’organo deputato in sostanza alla decisione del ricorso.
Certamente, infatti, non può attribuirsi un simile potere al Ministro, il quale cura preventivamente l’istruttoria e successivamente la proposta del decreto in conformità al parere fornito dal Consiglio, o ancora al Capo dello Stato, che svolge un ruolo solo successivo di verifica ed approvazione del parere stesso.
Un ulteriore elemento sintomatico richiamato ai fini del preteso cambiamento della natura del rimedio è poi individuato nella previsione di un contributo unificato per il suo esercizio, peculiarità tipica degli strumenti giurisdizionali.
La “giurisdizionalizzazione” del ricorso straordinario, infine, risulterebbe altresì confermata dall’art. 7 comma 8 c.p.a., il quale prevede espressamente che il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.
Si evidenzia, infatti, come ciò finisca per distinguerlo nettamente dagli altri rimedi amministrativi, attraverso i quali è possibile tutelare qualsiasi posizione giuridica, sia essa un diritto soggettivo o un interesse legittimo.
Di contrario avviso è invece la più recente giurisprudenza, la quale più correttamente contesta la tesi della “giurisdizionalizzazione”, evidenziando le incongruenze che deriverebbero dal suo accoglimento in punto di giustificazione e legittimità costituzionale dell’istituto: considerare il ricorso straordinario come “giurisdizionale”, infatti, significherebbe interpretarlo come un inutile duplicato di un giudizio amministrativo o, ancora peggio, come un processo confliggente con i parametri costituzionali in materia di giusto processo.
L’istituto in commento, si dice, possiede la natura di rimedio amministrativo a carattere ‘’giustiziale’’: da un lato, infatti, esso conserva certamente alcune peculiarità tipiche dei rimedi amministrativi, che sono di ostacolo alla sua riconduzione nell’ambito degli strumenti giurisdizionali, quali la mancanza di alcune garanzie procedimentali proprie del c.d. “giusto processo”, la forma della decisione, il diritto di trasposizione ed il regime di impugnazione del provvedimento conclusivo, impugnabile per vizi di forma e/o procedimento dinanzi al giudice amministrativo; dall’altro, però, per effetto delle modifiche ad esso recentemente apportate, il ricorso straordinario assume una struttura “contenziosa”, che consente di distinguerlo dagli altri rimedi amministrativi, avvicinandolo agli istituti aventi carattere giurisdizionale.
Ciò, in particolare, consente di ricondurre il ricorso straordinario al Capo dello Stato alla categoria, costituente un “tertium genus”, dei rimedi amministrativi c.d. “giustiziali’’, ovvero quegli strumenti aventi carattere amministrativo ma struttura “contenziosa”.
Tale tesi sembra essere avvalorata anche dalla Corte Costituzionale, la quale ha rigettato le censure di incostituzionalità avanzate nei confronti dell’art. 7, comma 8, c.p.a., motivando la decisione sulla base del carattere “giustiziale” del ricorso.
Secondo la Consulta, in particolare, la l. n. 69/09, modificando la disciplina del ricorso straordinario ha fatto venir meno quel presupposto sul quale si fondava il regime di concorrenza tra tale rimedio amministrativo ed il ricorso all’autorità giurisdizionale ordinaria; nel nuovo testo, infatti, simile concorrenza si trasformerebbe in un’inammissibile sovrapposizione tra un rimedio giurisdizionale ordinario ed un rimedio giustiziale amministrativo.
Proprio per tale ragione, osserva il giudice delle leggi, l’art. 7 c.p.a. ha limitato l’ammissibilità del rimedio in parola alle sole controversie devolute alla giurisdizione amministrativa, naturale conseguenza della logica traslazione del suddetto ricorso all’area dei rimedi amministrativi a quella dei rimedi giustiziali.
Tanto premesso, caratteristica essenziale dell’istituto è che esso non è proponibile in via concorrente rispetto alla tutela giurisdizionale, assumendo rispetto ad essa carattere alternativo: ai sensi degli artt. 8 e 10 d.P.R. n. 1199/71, infatti, la proposizione del ricorso straordinario non consente di avanzare quello giurisdizionale e viceversa.
La scelta tra le due forme di tutela, tuttavia, in ragione delle maggiori garanzie che il ricorso giurisdizionale è sicuramente in grado di offrire, è riconosciuta anche al controinteressato, il quale non è in tal modo costretto a subire passivamente l’opzione altrui; a favore di quest’ultimi, infatti, è prevista la possibilità di ottenere la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale entro il termine di 60 giorni dalla sua notificazione.
Se, dunque, impugnato l’atto con il ricorso straordinario il ricorrente non può più ricorrere in sede giurisdizionale, i controinteressati ai quali è stato notificato il ricorso possono invece ancora scegliere se aderire alla scelta del ricorrente oppure chiedere, con opposizione entro il termine indicato, che la controversia sia decisa in sede giurisdizionale.
L’assoggettamento alla regola dell’alternatività in sede straordinaria, però, vale solo per i controinteressati che, con la notifica del ricorso, sono stati posti effettivamente nella condizione di poter invocare la tutela giurisdizionale in sede di opposizione; in caso contrario, al controinteressato non intimato deve essere certamente garantita tale facoltà anche una volta decorso il termine legale per l’opposizione.
La richiesta di trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, poi, in virtù della dichiarazione di parziale incostituzionalità dell’art. 10 citato, può provenire anche dall’amministrazione che ha emanato l’atto impugnato.
Nel caso di avvenuta trasposizione, qualora intenda insistere nell’esercizio dell’azione, il ricorrente ha 60 giorni per depositare presso il giudice competente l’atto di costituzione in giudizio, notificandolo ai controinteressati e alla p.a., pena l’estinzione del giudizio. Nel caso in cui il ricorso sia dichiarato inammissibile dal giudice amministrativo, tuttavia, al fine di non privare il ricorrente di qualsiasi tutela, il rimedio straordinario riprenderà il suo corso in sede amministrativa (art. 10 d.P.R. n. 1199/71).
Detto questo, di recente la giurisprudenza amministrativa è intervenuta chiarendo la portata applicativa del principio di alternatività nell’eventualità in cui le due forme di tutela siano poste in essere nei confronti di atti differenti ma in rapporto di presupposizione.
Si è ritenuto, in particolare, che in tale ipotesi non operi la regola dell’alternatività e sia pertanto consentito al ricorrente impugnare gli atti, quello presupposto e quello consequenziale, utilizzando rimedi differenti, da una parte la tutela amministrativa e dall’altra quella giurisdizionale.
Come precisato dalla giurisprudenza, in presenza di un previo ricorso al P.d.R. avverso un atto presupposto è possibile impugnare l’atto consequenziale innanzi al giudice amministrativo anche riproponendo i motivi già dedotti avverso il primo atto, salvo l’obbligo del giudice amministrativo di sospendere il giudizio in attesa della definizione del ricorso straordinario, non potendo, in ogni caso, in applicazione del principio di alternatività, decidere sui suddetti motivi.
Le censure ritualmente proposte avverso l’atto presupposto innanzi al primo giudice vanno dunque solo da questo decise, anche se sono riproposte in sede di impugnazione dell’atto consequenziale, atteso che, in conformità con il principio in parola, non vi può essere spostamento dei poteri decisori, sicché solo il giudice ritualmente adito per primo può decidere sui vizi lamentati avverso l’atto presupposto, pur se riproposti con il secondo ricorso presentato in sede giurisdizionale.
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo.
L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile.
Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale.
Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori.
Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.
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