La novatio come modalità estintiva dell’obligatio. Rapporti con solutio e datio in solutum.

La novatio come modalità estintiva dell’obligatio. Rapporti con solutio e datio in solutum.

La nozione classica di novatio, secondo la puntuale definizione di Ulpiano come transfusio atque translatio prioris debiti in aliam obligationem mediante stipulatio, riassume in sé tutti gli elementi giuridici oggettivi del fenomeno novatorio: l’atto novativo, l’idem debitum, l’obligatio novanda, la nova obligatio.

Occorre preliminarmente soffermarsi sulla natura giuridica della novazione. Scorrendo le Institutiones di Gaio, in tema di estinzione dell’obbligazione, sono contemplati via via la solutio eius quod debetur (Gai. 3.168), l’acceptilatio (Gai. 3.169-172), la solutio per aes et libram (Gai. 3.173-175), la novatio (Gai. 3. 176-179), la litis contestatio (Gai. 3.181).

La novatio è quindi posta tra i cinque modi quibus tollitur obligatio. È una delle modalità estintive dell’obbligazione.

Nel corrispondente elenco, riportato nelle Institutiones di Giustiniano (Inst. 3.29), scompare la solutio per aes et libram e appare il mutuus dissensus, mentre le altre voci restano confermate.
Tutte queste modalità estinguono ipso iure l’obbligazione e cioè come effetto del semplice fatto di essere poste in essere.

Ma non necessariamente all’estinzione dell’obbligazione consegue l’appagamento sostanziale del creditore (satisfactio). E così può ben accadere che venga meno il credito, senza che il debito sia adempiuto.
In particolare la solutio è il mezzo giuridico naturale per estinguere l’obligatio nel senso più pieno e satisfattivo, in quanto consiste nell’esatto adempimento del debito.

Un’ipotesi che accosti novatio e solutio può considerarsi accettabile soltanto nel senso che entrambe siano fatti estintivi dell’obbligazione e che operino ipso iure.

Salpius ipotizza una possibile equiparazione tra novatio e solutio solo nel caso in cui la stipulatio novativa abbia a oggetto il certam rem dare.

Infatti una differenza radicale le distingue. Mentre la solutio, in quanto esecuzione della prestazione dedotta nell’obbligazione, ha natura realizzativa e perciò satisfattiva del credito; la novatio, quale transfusio atque translatio prioris debiti in aliam obligationem, non ha natura satisfattiva del credito, ma solo liberatoria della prior obligatio che resta estinta.

Salpius, per contro, ricollega la novatio, produttiva di una nova obligatio valida e ineccepibile, al concetto di Satisfaktions-Wirkung, e cioè le riconosce un effetto anche satisfattorio.

L’accostamento tra i due istituti sembrerebbe trovare una maggiore base testuale nelle fonti. Ma in realtà i termini solutio e solvere, adoperati talvolta anche in tema di novatio, sono utilizzati per indicare in genere l’estinzione dell’obligatio quale sia il mezzo impiegato.

Del resto, questo doveva costituire il significato originario della parola solutio. Il Solazzi ci rammenta che “solutio, da solvere, ci avverte che qualche persona o qualche cosa è sciolta, è liberata. Solvere è l’antitesi di ligare […] Dalla liberazione della persona dalla prigionia, solutio è passata poi a significare la liberazione dal vincolo obbligatorio”. In tal senso, prima che assumesse l’accezione ristretta di adempimento, di “liberazione mediante esecuzione del contenuto dell’obbligazione”, il termine solutio ha significato “l’estinzione dell’obbligazione, senza riguardo al modo con cui essa si verifica”, presentandosi cosi come semplice “sinonimo di liberatio”.

Inoltre, a parte eventuali possibili interpolazioni, non escluse da taluno, la maggior parte delle fonti in questione pare afferire alla delegatio. E cosi può forse ammettersi soltanto un labile nesso con la solutio in ordine all’effetto della delegazione sul rapporto tra debitore (delegante) e creditore (delegatario). Il Biondi, sul punto, afferma che la presenza di un nesso tra i due istituti è solo apparente, dato che la delegatio intanto può conseguire l’efficacia estintivo satisfattiva propria della solutio, se e in quanto comporti comunque un’effettiva solutio, quindi solo nella specifica ipotesi di delegatio solvendi.

Vi sarebbero, a parere del Bonifacio, solo tre passi nei Digesta nei quali “verrebbe richiamato a proposito della novazione il concetto di solutio”, ma lui stesso non li ritiene a tal punto rilevanti da giustificare la tesi della natura satisfattoria della novatio.

In particolare, nel passo contenuto in D. 33.1.21.3 si parla di somme “quae per numerationem vel novationem solutae sunt”. Ma qui risulta lampante che il verbo solvere è usato nell’accezione generica di scioglimento dall’obligatio, e quindi di estinzione.

Nel testo riportato in D. 39.5.19.4, si testimonia del caso in cui un servus cui sia stata mutuata una certa somma, una volta liberato, la prometta con stipulatio. Alla fine si legge: “non erit donatio, sed debiti solutio”. Tuttavia, a parte che forse nel teso in oggetto “non veniva esaminata una fattispecie di novazione”, il concetto essenziale è comunque nell’esclusione della donazione e non piuttosto nella presunta attribuzione del carattere di solutio alla novatio.

Nel brano tratto da D. 46.2.31.l, e cioè sotto la rubrica de novationibus et delegationibus, Venuleio cita il potere di ogni concreditore solidale di novare l’obligatio con efficacia liberatoria a beneficio del debitore anche verso gli altri concreditori. Ma in quest’altro caso, la novazione risulta equiparata alla solutio solo per quanto concerne l’aspetto funzionale dell’effetto estintivo dell’obligatio in solidum, e non quindi in ordine al profilo del carattere satisfattivo che resta proprio del solo adempimento.

D’altro canto, secondo una vecchia corrente dottrinaria citata dal Fadda, sarebbe possibile un accostamento tra novatio e datio in solutum, basato proprio sull’attribuzione del carattere satisfattorio anche alla prima.

Partendo dalla considerazione che l’adempimento dell’obbligazione può realizzarsi anche mediante una modalità diversa dall’esecuzione della prestazione cui è tenuto l’obligatus, sempreché consegua la soddisfazione dell’interesse del creditor, è ammessa una prestazione sostitutiva in luogo dell’adempimento (datio in solutum), ciò perché satisfactio pro solutione est. Gide in particolare ritiene che vi sia sempre nella novatio l’elemento satisfattivo, insito nella realizzazione dell’interesse al “transport de créances“.

In pratica non consisterebbe semplicemente nel pagamento di una cosa per un’altra (aliud pro alio solvere), ma nella promessa di adempiere lo stesso debito in forza di una nuova causa debendi, in luogo dell’adempimento effettivo, cioè come una sorta di scambio tra vecchio e nuovo credito, quale è in fondo una datio in solulum.

Salpius, in proposito, assente all’ipotesi che si può concepire la novatio come surrogato del pagamento, solo per il caso in cui “una nuova obbligazione efficace dia un equivalente di ciò che si perde“.

Tuttavia la pretesa vicinanza tra i due istituti, secondo il Fadda, certamente non può valere per la novatio, nella sua configurazione originaria, ove prevale l’elemento della forma. Infatti quest’ultima, come atto estintivo formale, può estinguere la prior obligatio anche contro la volontà delle parti e del creditore in particolare, non soddisfacendo in tal modo il suo diritto di credito. Risulta sufficiente una stipulatio formalmente valida – negozio verbale per eccellenza – per operare la novazione, anche solo estinguendo la prior senza costituire la nova obligatio.

La prestazione sostitutiva invece è ammissibile, in età classica – con l’emersione dell’efficacia dell’animus novandi – solo se volontaria, nel senso che è valida qualora il creditore presti il suo consenso (datio voluntaria in solutum) a “ricevere la cosa data in luogo dell’oggetto che gli è dovuto e ad estinzione del suo credito” (Solazzi), e se vi sia la corrispondente volontà del debitore (o di un terzo) di dare un aliud in luogo dell’adempimento per estinguere il debito. Cosi, solo quando la novatio assumerebbe il carattere di “atto liberatorio volontario”, l’elemento satisfattorio finirebbe per integrarsi con l’efficacia estintiva come nella datio in solutum.

L’assonanza non sarebbe nel senso che la novatio può definirsi come “alterius rei praestatio pro eo quod prius debebatur” o come particolare forma di datio in solutum attraverso cui si trasferisca nel patrimonio del creditor un nomen e non un oggetto corporale.

Infatti per criticare tale ultima ipotesi, una considerazione di ordine pratico sembra sufficiente al Fadda: “la sostituzione d’un oggetto corporale in luogo del precedente si presenta più naturale e più facile che non la sostituzione di un nomen; concetto questo, sottile, architettato, ingegnoso, che appartiene ad un’epoca in cui la coscienza giuridica ha preso uno svolgimento considerevole”.

Resta inoltre da superare un ostacolo reputato insormontabile (Salkowski): la disputa esistente fra le scuole, nel diritto classico, in ordine al quesito se la datio in solutum avesse efficacia ipso iure (opinione dei Sabiniani), o valesse solo per exceptionem (opinione dei Proculiani). In particolare, per i Sabiniani il debitor è liberato ipso iure, mentre secondo i Proculiani egli resta ipso iure obligalus, ma contro il creditor che richieda il pagamento nonostante aver ricevuto aliud pro alio, il debitor risulta tutelato dall’exceptio doli mali, perché è considerato in dolo il creditor che domandi l’adempimento benché abbia accettato un surrogato di esso. Resta certo che Giustiniano accoglie la tesi sabiniana (Inst. 3.29).

Infatti se davvero la novatio sia una specie di datio in solutum, come si concilierebbe la sua unanimemente riconosciuta efficacia sempre e necessariamente ipso iure con la detta disputa?

La risposta del Fadda è nel senso che la corrispondenza sostanziale tra i due istituti non sarebbe stata notata dai giuristi romani, contribuendo così al diverso regime di efficacia. E conclude che la novatio classica è comunque essenzialmente una datio in solutum.

Lo Schulz tende a confermare tale ipotesi dal punto di vista funzionale, affermando che “the classical novatio operated substantially like a datio in solutum, the creditor of the original obligation receiving satisfaction which was not owed to him”.

Ma resta il fatto che la novatio ha ben altra connotazione nelle fonti (transfusio atque translatio prioris debiti in aliam obligationem), e che ogni altra concezione è estranea alle fonti romane e “contraddice apertamente al concetto che la giurisprudenza romana ebbe a formulare e a tramandarci” (Bonifacio), facendo cosi apparire come una forzatura ogni altra tesi.

 

 

 

 

 

 


Bibliografia essenziale
Biondi, Appunti intorno agli effetti estintivi della delegazione in diritto romano, St.Paoli, Firenze (1956)
Bonifacio, La novazione nel diritto romano, Jovene, Napoli (1959)
Fadda, Sulla dottrina della novazione, Cagliari (1880)
Gide, Études sur la novation et le transport de créances en droit romain, Paris (1879)
Salkowski, Zur Lehre von der Novation nach römischem Recht, Leipzig (1866)
Salpius, Novation und Delegation nach römischem Recht, Berlin (1864)
Schulz, Classical Roman Law, Oxford (1951)
Solazzi, L’estinzione dell’obbligazione nel diritto romano, Jovene, Napoli (1935)

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