La nullità degli atti di trasferimento dei diritti reali immobiliari e la nozione di irregolarità urbanistica

La nullità degli atti di trasferimento dei diritti reali immobiliari e la nozione di irregolarità urbanistica

Con l’ordinanza interlocutoria n. 20061 del 31/07/2018, la Seconda Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite, in merito, da un lato, alla risoluzione del contrasto sorto sulla natura formale o sostanziale della nullità degli atti di trasferimento di diritti reali su immobili, ex art. 46, comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001, e, dall’altro, sulla necessità di ottenere una più accurata definizione della nozione di irregolarità urbanistica.

Inizialmente, con la legge n. 10/1977, cosiddetta legge Bucalossi, il legislatore comminava la sanzione della nullità per tutti gli atti giuridici aventi ad oggetto costruzioni abusive. La sanzione della nullità veniva applicata solo se da tali atti non risultava che l’acquirente avesse avuto conoscenza dell’assenza della concessione. Di conseguenza era evidente l’intento che si voleva perseguire: garantire una maggiore protezione all’acquirente a scapito di un incondizionato contrasto al fenomeno dell’abusivismo. E tale intento veniva ulteriormente perseguito grazie al riconoscimento, da parte della giurisprudenza, della natura relativa della nullità in questione (cfr. Cass. n. 8685/1999).

Nel corso del tempo però il contrasto all’abusivismo si è intensificato. Il legislatore, infatti, è intervenuto sulla materia con la legge n. 47 del 1985, e successivamente con il d.P.R. 380/2001, il cui art. 46 stabilisce che: “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.”

Si è venuta pertanto ad affermare una nuova concezione della natura della nullità urbanistica: non più relativa, ma assoluta; e si è altresì cercato di tutelare maggiormente l’interesse pubblico, rendendo ininfluente la mancata conoscenza che l’acquirente dell’immobile avesse potuto avere dell’assenza della concessione edilizia.

Tuttavia, è necessario riconoscere che la lotta al fenomeno dell’abusivismo non può essere assoluta, dovendo essa trovare un limite nell’esigenza di garantire comunque un certo margine di commercialità degli immobili. Per tale ragione, il legislatore ha deciso di adottare specifiche misure, da un lato, finalizzate a limitare il novero degli atti giuridici che possono essere dichiarati nulli per la mancata previsione degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, escludendo da esso gli atti mortis causa e gli atti relativi al trasferimento di diritti reali di garanzia e di servitù; e, dall’altro lato, dirette a sanare la mancanza  nell’atto giuridico degli estremi del permesso di costruire, con un atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, sempre che il titolo abilitativo non fosse insussistente al tempo in cui gli atti furono stipulati, così come stabilito dall’ art. 46, comma 4, del d.p.r. 380/2001.

Il collegio della Seconda Sezione della Cassazione, con l’ordinanza in questione, ha ricordato un orientamento che, adottando un’interpretazione letterale degli artt. 17 e 40 della l. 47/1985 (oggi art. 46 del d.p.r. 380/2001), ne deduce l’assenza di un’ipotesi di irregolarità di carattere sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico. Ossia, detto in altri termini, secondo tale orientamento la conformità concreta del bene compravenduto al profilo urbanistico rivelerebbe solo sul piano dell’adempimento del venditore, ma non su quello concernente la validità dell’atto. La Cassazione ha abbracciato tale impostazione con le pronunce nn. 23591/13 e 28194/13, con le quali affermava che, nelle norme prese in esame, convivrebbero due nullità: una di carattere sostanziale, e l’altra formale. Ad avviso dei giudici della Seconda Sezione della Cassazione, però, questa concezione merita un’ulteriore riflessione, poiché potrebbe condurre l’interprete a considerare la natura della nullità in questione come virtuale, anziché testuale; e ciò condurrebbe a pregiudicare gli interessi dell’acquirente di un immobile, il quale, confidando incolpevolmente sulla validità dell’atto, una volta accertata la nullità, sarebbe sia privato dell’immobile, sia costretto a recuperare il prezzo corrisposto.

Merita, al rigurado, ricordare che secondo parte della dottrina è vano interrogarsi sul problema inerente la duplice natura della nullità urbanistica, dato che il rispetto del requisito sostanziale è comunque un presupposto necessario per la valutazione del rispetto del requisito formale. I due requisiti pertanto non devono concepirsi su un piano orizzontale, bensì su un piano verticale, alla cui base non può che situarsi il requisito sostanziale.

I giudici della Seconda Sezione, invece, al fine di scongiurare la tesi della nullità urbanistica come virtuale che sembra profilarsi con l’orientamento inaugurato dalle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13, hanno richiesto alle Sezioni Unite un chiarimento in merito alla nozione di irregolarità urbanistica. Del resto, infatti, nell’alveo della nozione di irregolarità urbanistica possono essere ricondotte molteplici ipotesi, che vanno dall’immobile edificato in assenza di concessione o in totale difformità da essa, fino a ricomprendere l’immobile che presenta una variazione essenziale, o addirittura in parziale difformità rispetto alla concessione. Data questa varietà di fattispecie, è essenziale indicare accuratamente il limite oltre il quale l’irregolarità è da considerarsi grave.

Ebbene, ad avviso della dottrina maggioritaria deve ritenersi incommerciabile l’immobile privo del titolo abilitativo oppure l’immobile costruito in totale difformità da esso. E la giurisprudenza sembra aver riconosciuto la validità di tale impostazione, allorché afferma, in tema di esecuzione specifica ex art. 2943 c.c., che non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva per l’immobile, munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati né revocati, che abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo (Cass. 12/03/2012 n. 3892; Cass. 18/9/2009 n. 20258;successivamente, v. anche Cass. 7/1/2010 n. 52).

In definitiva, per valutare la commerciabilità di un fabbricato, oltre a considerare il periodo di costruzione o di realizzazione di una ristrutturazione c.d. “pesante”, così come definita dall’art. 10, comma 1, lett. c) del DPR 380/01, dovrà pertanto aversi riguardo, qualora esistente, anche alla gravità dell’abuso realizzato. E quindi non sarà commerciabile l’immobile affetto da un abuso maggiore, il quale si configurerà ogniqualvolta la costruzione o la ristrutturazione cd. pesante sia avvenuta in assenza di un titolo edilizio oppure in totale difformità da esso.

Alla luce di quanto esposto è pertanto opportuno e pienamente condivisibile una pronuncia delle Sezioni Unite che fornisca chiarimenti, in primo luogo, sulla corretta definizione da attribuire alla nozione di irregolarità urbanistica; ed in secondo luogo, sulla natura da attribuire alla nullità urbanistica, se sostanziale o formale.


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