La nullità delle clausole “cd. claims made” che rendono eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto dell’assicurato

La nullità delle clausole “cd. claims made” che rendono eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto dell’assicurato

La Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n°8894/2020, è tornata ad occuparsi del dibattuto tema delle cd. “claims made” poste all’interno dei contratti assicurativi.

Una pronuncia di rilevante interesse teorico e pratico, poiché i Giudici Ermellini, confermato quanto statuito dalla precedenti sentenze delle SS.UU. nn° 9140/2016 e 22437/2018, chiariscono un ulteriore aspetto intorno al quale si era sviluppato un significativo dibattito ermeneutico.

Ciò detto, il fatto scaturigine della querelle ad oggetto vedeva l’Ospedale convenuto in giudizio dai genitori di un bambino per vederlo condannare al risarcimento dei danni subiti da quest’ultimo nel corso di un ricovero.

La struttura sanitaria, fin dalla costituzione in primo grado, aveva richiesto di essere manlevata dalla Generali S.p.a, con la quale aveva stipulato una polizza assicurativa per la responsabilità civile, la quale, tuttavia, eccepiva che il contratto contenesse una clausola claims made che imponesse, ai fini della manleva, di denunciare il sinistro oggetto di richiesta risarcitoria entro 12 mesi dalla cessazione di efficacia dello stesso.

Termine, a parere della Compagnia, inutilmente decorso.

Tanto il giudice di I che di II grado, recependo tale eccezione, condannavano l’Ospedale al risarcimento del danno, ritenendo tale clausola claims made non vessatoria e meritevole di tutela.

Un verdetto, come si spiegherà nel prosieguo della nota, ribaltato, dalla sentenza della Corte di Cassazione ivi analizzata.

Procedendo con ordine, è d’uopo segnalare la ricognizione che la Suprema Corte a Sezione Semplice fa dei principi ermeneutici selle SS.UU. precedentemente intervenute, rappresentando essi un faro orientativo dal quale l’interprete che si confronti con tale istituto non può prescindere.

Nello specifico, le SS.UU. n° 9140/2016 hanno statuito il diktat secondo cui <<la claims made non è di per sé vessatoria, ma può diventare non meritevole di tutela quando comporti un significativo squilibrio tra le parti ai danni di una di esse, e questo accertamento è rimesso in concreto alla discrezionalità del giudice di merito>>;

Ad abundantiam, le SS.UU. n°22437/2018 hanno chiarito che <<l’inserimento in un contratto assicurativo di una clausola claims made non stravolge il tipo contrattuale, comportandone l’atipicità, e dunque non si applica l’art. 1322, comma 2, c.c., che quanto ai contratti atipici richiede che ne sia valutata la meritevolezza. Piuttosto, l’inserimento nel contratto di assicurazione di una tale clausola mantiene inalterato il tipo negoziale, ampliandone semmai il contenuto e comportandone un adattamento agli interessi delle parti, così che non si tratterà di valutarne la meritevolezza funzionale, bensì se la determinazione del contenuto contrattuale è avvenuta nei limiti di legge (art. 1322, comma1, c.c.).>>.

Parafrasando tali principi, la Suprema Corte chiarisce che il contratto assicurativo corredato da clausole cd. claims made mantiene la propria tipicità, poiché essa non svilisce tale carattere che, in particolare, consiste nell’obbligazione di tenere indenne l’assicurato posta a carico dell’assicuratore e subordinata ad un evento futuro ed incerto.

Al più, con l’inserimento di tale clausola si assiste alla variazione delle modalità mediante le quali tale obbligazione va perfezionandosi.

Ferma restando la non vessatorietà delle clausole claims made (quantomeno in astratto), la tipicità del contratto assicurativo giustifica, nell’analisi della meritevolezza della causa, il ricorso all’art. 1322, comma 1 (piuttosto che comma 2), del codice civile.

Tale norma prevede che l’autonomia delle parti, quando si esercita all’interno del tipo negoziale senza alterarne la tipicità, devi mantenersi nei limiti imposti dalla legge.

Vi è il bisogno, quindi, di esaminare la liceità e validità dalla clausola in concreto, ma, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., valutando se questa sia tout court confinata nei limiti consentiti dalla legge.

Tutto ciò evidenziato, la clausola, nel caso de quo, poneva una decadenza temporale a carico dell’assicurato non dipendente da una sua condotta.

L’assicurato, infatti, avrebbe potuto ottenere la manleva dal sinistro prodotto solo se entro 12 mesi dalla cessazione del contratto di assicurazione avesse fatto apposita richiesta alla compagnia assicuratrice.

Condizione che, tuttavia, presupponeva (a monte) che la richiesta risarcitoria del danneggiato nei confronti del soggetto assicurato intervenisse nello medesimo lasso temporale.

Orbene, a parere della S.C., una clausola di questo tenore è in contrasto con l’art. 1341 c.c. che vieta, se non sottoscritte, le clausole vessatorie e che tra esse annovera quelle che impongono decadenze, ma anche con l’art. 2965 c.c. che commina la nullità di atti che impongono decadenze, al di là dell’aspetto temporale, che rendono oggettivamente difficoltoso l’esercizio del diritto di una delle parti.

Ed invero, il termine di decadenza di 12 mesi per denunciare il sinistro di per sè non è vessatorio, essendo uno spazio temporale sufficiente ad esperire l’azione di manleva.

Il problema si pone poiché esso è condizionato alla condotta del soggetto terzo danneggiato sulla quale, certo, nonostante la propria diligenza, non può influire il soggetto assicurato.

E’ in questa logia che, quindi, va rintracciata, ai sensi dell’art. 2965 c.c., la illiceità e, quindi, nullità di una tale clausola claims made.

Per concludere, quindi, la Corte di Cassazione, a completamento dei reticolo di principi che affasciano l’istituto giuridico in esame, statuisce che le clausole che rendono difficoltoso l’esercizio del diritto sono tutte quelle che prescindono dalla diligenza della parte assicurata e che fanno dipendere l’esercizio del diritto da condotte imprevedibili ed incalcolabili di terzi.

In tal senso esse vanno considerate non meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 1, del codice civile e, quindi, considerate nulle e prive di efficacia.

Una statuizione che, ancora una volta, conferma il raggiungimento del sapiente punto di equilibrio tra gli interessi in gioco delle parti coinvolte mediante una lettura in concreto della vicenda giuridica analizzata.


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