La nuova dimensione delle forme di nullità degli atti tributari. Un’analisi comparatistica fra il diritto civile e il diritto amministrativo
La nuova dimensione delle forme di nullità degli atti tributari contenute nell’articolo 7 ter dello Statuto del contribuente, alla luce delle recenti modifiche volute dal D.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219. Spunti di riflessione comparatistica con il diritto civile e il diritto amministrativo.
Avv. Dott. Renzo Cavadi
Sommario: 1. Premessa introduttiva – 2. La coordinate identitarie dell’atto tributario e la disciplina generale della patologia degli atti emessi dall’amministrazione finanziaria pre-riforma – 3. Brevi cenni sulla nuova categoria dei vizi degli atti tributari nelle recenti modifiche all’articolo 7 dello Statuto del contribuente – 4. Le forme di nullità degli atti in materia tributaria: le novità previste nell’articolo 7 ter dello Statuto del contribuente – 5. Il regime giuridico degli atti tributari affetti da nullità: le novità in sede procedimentale e in materia processuale – 6. I potenziali effetti della riforma tributaria: prospettive e previsioni in chiave futura
1. Premessa introduttiva
Il presente scritto intende offrire senza pretesa di esaustività, alcune brevi riflessioni sulla disciplina relativa alle diverse forme di nullità concernenti gli atti emessi dall’amministrazione tributaria, prendendo spunto dalle novità apportate all’interno dello Statuto del contribuente nel solco dell’entrata in vigore del D.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219.
Come spesso accade, quando s’introducono modifiche di una certa rilevanza giuridica nei settori nevralgici dell’ordinamento, per ogni operatore del diritto è opportuno o quanto meno auspicabile, partire da un giusto punto di osservazione: tale operazione preliminare infatti, rende può semplificare l’approccio alla materia, ai fini dell’esatta comprensione della ratio che accompagna gli interventi normativi voluti dal legislatore.
Ciò posto, il filo conduttore che abbraccia l’analisi di tale elaborato, cercherà di concentrarsi su un possibile tentativo di ricerca finalizzato a individuare all’interno del mondo tributario, la corrispondente disciplina dell’insieme delle nullità esistenti in altri ambiti e precisamente nel diritto civile e in diritto amministrativo. Del resto a livello sistematico, ogni tipo di ricaduta sia a livello teorico che pratico della novella legislativa, può essere meglio compresa proprio alla luce di un esatto confronto con quei settori dell’ordinamento, ove le figure patologiche della nullità di riferimento, sono state da tempo pensate, elaborate e studiate.
2. La coordinate identitarie dell’atto tributario e la disciplina generale della patologia degli atti emessi dall’amministrazione finanziaria pre-riforma
Storicamente il provvedimento emesso dagli uffici tributari si qualifica come atto di natura autoritativa e non certo discrezionale[1].
Ciò ha una spiegazione intuitiva: nella relazione con l’Amministrazione finanziaria, il soggetto-contribuente ordinariamente si trova in una situazione giuridica di diritto soggettivo e non certo di interesse legittimo[2], sia in virtù della riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost.[3] che del principio di capacità contributiva[4] di cui all’art. 53 Cost[5]. Gli uffici finanziari quindi, pur esercitando un potere a trazione pubblicistica, sono di fatto vincolati all’applicazione della legge, la quale dal canto suo, prestabilisce rigidamente e in forma puntuale il presupposto del tributo oltre che naturalmente le proprie modalità di liquidazione e di riscossione[6].
Nondimeno, la tutela giurisdizionale si è sviluppata intorno all’applicazione rigidamente rispettosa dei termini decadenziali, del tutto simili a quelli previsti per la tutela degli interessi legittimi, [7] peraltro giustificati dall’avvertita esigenza di dare certezza ad un particolare rapporto giuridico e comunque tali da non rappresentare un ostacolo non giustificato, irragionevole e comunque sproporzionato all’esercizio dell’azione[8]. A conferma di tale assunto, il pensiero giurisprudenziale sottolinea come la giusta compresenza di questi elementi (la posizione di diritto soggettivo vantata dal privato nei confronti dell’amministrazione, la natura vincolata del provvedimento ed il termine perentorio dell’azione) ha plasmato il processo tributario secondo una tipologia o se vogliamo un modello schematico secondo una logica “impugnazione-merito”[9], in base al quale il giudice in sede processuale, è legittimato ex lege a decidere sul rapporto sottostante l’atto viziato, con una decisione sostitutiva di questo[10].
Dal canto suo, le decisioni adottate dalla Cassazione[11], riconducevano la patologia del provvedimento ad un solo tipo vale a dire l’annullabilità, a differenza della nullità la quale invece (almeno per come intesa dal settore del diritto amministrativo[12]), era ritenuta del tutto illogica e strutturalmente incompatibile con la materia tributaria. L’idea della dottrina, era che il legislatore nella sua discrezionalità operativa, avesse delineato e configurato “una categoria unitaria d’invalidità-annullabilità[13]”, col correlato onere per il contribuente di impugnare l’atto viziato entro un breve termine decadenziale, pena il definitivo consolidarsi della pretesa[14].
Di conseguenza le ipotesi di nullità testuale pur presenti nel settore tributario, venivano equiparate anche dalla giurisprudenza totalmente alle cause d’illegittimità[15], determinando quale unico rimedio conosciuto dal diritto tributario, all’annullamento del provvedimento amministrativo[16] ed all’eventuale e successivo esame del merito della pretesa del ricorrente. Tale operazione di equiparazione inevitabilmente, ha determinato secondo la linea dettata dalla giurisprudenza civile[17], che le c.d. nullità di diritto tributario non fossero rilevabili d’ufficio in ogni fase e grado processuale, soggiogandosi ai termini ordinari di decadenza e in ogni caso alle preclusioni interne al processo[18], fatta eccezione i motivi aggiunti di cui all’art. 24 del D.lgs. n. 546 del 1992.
Rispetto ad un pensiero giurisprudenziale così rigido ed estremo, va detto che la dottrina aveva tentato una via meno decisa e più soft. Si era osservato che “la legge del processo tributario stabilisce come trattare le nullità in senso debole (o annullabilità), ma ignora le nullità in senso forte. L’interprete deve quindi trarre la soluzione dal sistema (come ha fatto la dottrina del diritto amministrativo). E, poiché non sono ammesse in diritto tributario, azioni meramente dichiarative (ma solo azioni costitutive di annullamento), occorre ritenere che il contribuente possa tutelarsi impugnando l’atto successivo a quello nullo e in quella sede, far valere la nullità, come accertamento pregiudiziale all’accertamento della invalidità (e all’annullamento) dell’atto successivo”[19].
Ciò posto, anticipando sin d’ora quello che verrà approfondito nel proseguo della trattazione, tra i motivi per cui si è deciso d’intervenire sulla legge n. 212 del 27 luglio 2000, vi è il fatto che il legislatore ha preso effettiva coscienza dell’oggettiva inapplicabilità del contenuto dalla legge n. 241/1990 (in particolare dello specifico divieto posto dal comma 2 dell’art. 13)[20]. A questa ragione ne segue un’altra di carattere forse più pratico evidenziata molto spesso dalla giurisprudenza (sempre inquadrabile nell’ottica di una prospettiva comparatistica), e cioè che assai diverse sono le strutture e i modelli che contraddistinguono tecnicamente sia l’atto che il processo tributario rispetto al settore del diritto amministrativo[21]. .
3. Brevi cenni sulla nuova categoria dei vizi degli atti tributari nelle recenti modifiche all’articolo 7 dello Statuto del contribuente
Le considerazioni svolte fino adesso, mettono in luce come l’ordinamento tributario a differenza dell’ordinamento civile e amministrativo non ha mai delineato fino al recente passato, un sistema organico delle invalidità[22], limitandosi solo in alcuni casi specifici a dettare le conseguenze delle difformità degli atti impositivi rispetto al paradigma legale e lasciando in tutte le altre ipotesi rimanenti, l’arduo compito di individuarle agli interpreti[23].
Il D. Lgs. n. 219/2023 ed è questo un punto di svolta, cambia direzione e tira dritto, nel voler riformare le norme sulla validità e i vizi degli atti tributari[24], plasmando finalmente una disciplina orientata e compiuta delle categorie di illegittimità dell’atto tributario. Il risultato prodotto è la creazione di una sorta di sistema “binario-duale” delle c.d. invalidità[25] tributarie, articolato nei regimi generali: a) della “nullità” in senso proprio (art. 7-ter); b) della “annullabilità” (art. 7-bis)[26].
A questo si affianca un’ipotesi di “irregolarità” (art. 7-quater) che come tale, non rientra nei regimi di “invalidità” propriamente detti. Questa nuova categoria riguarda violazioni formali di minore rilievo, che non incidono tanto sulla validità dell’atto ma possono avere effetti procedurali, come ad esempio il differimento dei termini di impugnazione.
Infine la novella legislativa ha previsto una disciplina specifica del vizi dell’attività istruttoria (art. 7-quinquies) [27].
4. Le forme di nullità degli atti in materia tributaria: le novità previste nell’articolo 7 ter dello Statuto del contribuente
La disciplina concernente le specifiche forme di nullità degli atti in materia tributaria, introdotta nel nuovo art. 7 ter della legge n. 212 del 27 luglio 2000 dal recente D.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, si presenta per larghi tratti tendenzialmente innovativa nelle intenzioni del legislatore.
Il neo articolo 7 ter dello Statuto del contribuente rubricato “Nullità degli atti dell’amministrazione finanziaria” così dispone “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono nulli se viziati per difetto assoluto di attribuzione, adottati in violazione o elusione di giudicato, ovvero se affetti da altri vizi di nullità qualificati espressamente come tali da disposizioni entrate in vigore successivamente al presente decreto”. Già dal nomen utilizzato per la rubricazione, si coglie il senso del cambiamento che accompagna la riforma del legislatore: l’individuazione delle forme di nullità a livello generale degli atti emessi dall’amministrazione finanziaria, viene finalmente esplicitata in tutta la loro dimensione unitaria e non frammentaria[28].
Scandagliando poi le singole ipotesi di nullità individuate al comma 1 dell’articolo 7 ter, il primo vizio che trova contenuto nella novella concerne la nullità per difetto assoluto di attribuzione : trattasi di figura giuridica storicamente conosciuta[29] e peraltro, di difficile verificazione in campo tributario se non in rari casi, tra cui l’atto emesso da ufficio funzionalmente incompetente[30], oppure in caso di avviso di accertamento in cui è del tutto assente la parte motivazionale, dovendosi riscontrare un’evidente carenza in astratto di potere.
Considerazioni che viaggiano sulla stessa linea di analisi, si potrebbero fare per quelle fattispecie in cui la nullità è legata a violazione ed elusione del giudicato, tema assai noto nel mondo del diritto[31]. Va detto che nella prassi del settore tributario si riteneva che tale forma patologica dell’esercizio del potere pubblico, non potesse toccare la giurisdizione delle Commissioni tributarie[32]: per tutta risposta si può evidenziare come tale vizio, non sarebbe così tanto impossibile da configurare, specialmente nei casi in cui l’amministrazione finanziaria e dunque l’ufficio di riferimento, intenda ribadire e rafforzare una determinata pretesa impositiva (magari in forma diversa oppure giustificando ex lege l’esercizio del potere di autotutela[33]), possibilmente come inevitabile conseguenza di una decisione giurisdizionale che già a monte, aveva determinato l’annullamento di un precedente atto espressivo della medesima pretesa tributaria sostanziale[34].
Ciò posto, la nostra attenzione tenderà a concentrarsi su quella parte chiaramente innovativa e rappresentativa del primo comma dell’articolo 7 ter, rappresentato dall’inciso finale (“ovvero se affetti da altri vizi di nullità qualificati espressamente come tali”), dedicata alle c.d. ipotesi di nullità testuale.
A tal proposito, non si può omettere come nella prassi interpretativa tributaria che si è susseguita sino alla riforma del 2023, si era ritenuto che le frequenti previsioni normative espresse di nullità esistenti, dovessero essere intese “in senso debole”[35]. Secondo tale prospettiva, era come se il legislatore avesse voluto utilizzare il termine impropriamente per alludere in realtà al regime che rientra nel novero dell’annullabilità, con tutto ciò che ne conseguiva in termini di regolamentazione (basti pensare alle questioni collegate dell’efficacia dell’atto sino al suo eventuale annullamento e del termine decadenziale di sessanta giorni per impugnarlo, non rilevabilità d’ufficio del vizio) [36].
Di fatto ex lege, le uniche ipotesi previste e/o riconosciute affette da inefficacia c.d. automatica, ruotavano intorno a fattispecie singolari come nel caso della notifica dell’atto tributario a soggetto possibilmente inesistente cioè ad una persona defunta[37] o ad una società estinta.
La nuova previsione normativa sopra citata invece, ha introdotto per la prima volta anche nel diritto tributario la figura della vera nullità testuale o in senso proprio. Tale figura giuridica, peraltro nota da tempo al diritto amministrativo e ancor prima al diritto civile, si concretizza giuridicamente in quelle fattispecie in presenza delle quali l’atto emesso dall’amministrazione, ab origine non produce materialmente alcun tipo di effetto nei confronti del destinatario: succede allora che la relativa pronuncia del giudice in sede processuale, tende a colorarsi di tinte a carattere ricognitivo.
Proprio per questa ragione la riforma voluta dal nostro legislatore, ha inteso correttamente precisare nello stesso articolo 7 ter che tale innovativo regime troverà concreta applicazione (oltre che ai casi di difetto attribuzione e di violazione/elusione del giudicato (unici casi di nullità virtuale tributaria) alle sole ipotesi di nullità testuale introdotte dopo la novella (“qualificati espressamente come tali da disposizioni entrate in vigore successivamente al presente decreto”), in modo che la riforma possa tenere effettivamente conto in chiave prudenziale, delle ben più dirompenti e inevitabili conseguenze di tale scelta normativa sul sistema tributario.
5. Il regime giuridico degli atti tributari affetti da nullità: le novità in sede procedimentale e in materia processuale
A completamento dell’analisi fin qui svolta, di particolare interesse al riguardo, è il secondo comma del nuovo art. 7 ter dello Statuto del contribuente, che delineando il regime giuridico dell’atto nullo, così dispone “I vizi di nullità di cui al presente articolo possono essere eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria, sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e danno diritto alla ripetizione di quanto versato, fatta salva la prescrizione del credito”.
Si tratta della novità certamente più evidente introdotta dalla nuova disciplina sulle invalidità negoziali: già dalla semplice lettura della norma infatti, si comprende come la riforma avvicina e spinge il baricentro dei casi di nullità tributaria più alla disciplina sul versante civilistico che sulla sponda del diritto amministrativo.
Non è superfluo infatti tenere a mente che l’atto amministrativo affetto da nullità ex lege deve essere impugnato dal soggetto che si ritiene leso entro il termine di centottanta giorni dalla sua conoscenza[38], per cui la rilevabilità d’ufficio del vizio dedotto si muove sempre, all’interno di questa cornice temporale alquanto limitativa.
Il motivo è presto detto: il giudice amministrativo in tali casi, non può venire incontro al soggetto leso che abbia proposto il ricorso in via tardiva o fuori termine: il diretto interessato infatti, non può far valere direttamente la nullità in sede amministrativa senza prima avere impugnato l’atto nullo. Volendo precisare poi un passaggio da tenere a mente, val la pena evidenziare che nella prassi giurisprudenziale il potere di rilievo ufficioso del vizio di nullità, è molto spesso utilizzato in sede processuale non a favore ma semmai contro lo stesso ricorrente, delineandosi un meccanismo che consente al giudice nei giudizi amministrativi di respingere la domanda fondata proprio sull’atto nullo[39].
La prospettiva cambia radicalmente invece nel settore tributario: qui invece la disciplina del nuovo art. 7 ter dello Statuto del contribuente, non fa altro che avvicinare rectius ad allineare il regime dell’atto tributario affetto da nullità a quello del negozio civilistico formalmente nullo, non prevedendo alla base alcun termine di impugnazione. La conseguenza di tale previsione normativa voluta dal legislatore è quella che si consente all’interessato-contribuente di far valere processualmente il vizio di nullità, direttamente in appello o in alterativa direttamente in sede procedimentale, ponendo la nullità a fondamento di una richiesta di ritiro in autotutela dell’atto ovvero di una richiesta di rimborso delle somme erogate in esecuzione dello stesso[40]
6. I potenziali effetti della riforma tributaria: prospettive e previsioni in chiave futura
All’esito di questo breve ricostruzione di natura comparativa, occorre evidenziare come la distinzione della categoria dell’annullabilità da quella della nullità (contestualmente all’inserimento della categoria generale della nullità c.d. testuale), avrà un impatto certamente non indifferente sui diritti e se vogliamo sulle strategie difensive dei contribuenti.
Gli effetti della riforma produrranno inevitabilmente due prevedibili conseguenze e cioè:
1) Maggior trasparenza e chiarezza a livello normativo dei vizi di natura tributaria: la separazione tra le diverse tipologie di vizi consente ai contribuenti (e ai loro consulenti) di comprendere o decifrare con maggiore chiarezza e trasparenza, le conseguenze giuridiche di un vizio dell’atto emesso dall’amministrazione finanziaria e di pianificare le azioni legali in modo più efficace.
2) Ampliamento rafforzato dei sistemi di tutela contro i possibili errori e gli abusi dell’amministrazione finanziaria: il nuovo regime sulla nullità degli atti tributari, ha sensibilmente alzato il livello di tutela assicurato al contribuente, avendo pensato bene d’inserire all’interno del procedimento tributario (e dell’eventuale processo), alcuni canoni già da tempo affermati nel settore amministrativistico e per buona parte in campo civilistico. Gli atti afflitti da nullità non producono effetti e possono essere oggi contestati in qualsiasi momento, senza limiti di decadenza, garantendo maggiore equilibrio tra il contribuente e gli uffici, e certamente una protezione più forte contro le azioni illegittime dell’Amministrazione finanziaria.
In prospettiva futura, resta da capire anche con una certa curiosità, quale sarà la reazione progressiva della giurisprudenza in relazione agli spazi interpretativi lasciati dalla riforma legislativa. Le oscillazioni precedenti, legate a una normativa fluida e con pochi margini di chiarezza, avevano determinato in passato non poche decisioni creative e ortopediche delle norme sull’invalidità del sistema tributario, le quali finivano per sopperire inevitabilmente alle lacune della disciplina di riferimento.
Infine, un altro aspetto da tenere in considerazione, è provare a ipotizzare quale sarà la capacità delle amministrazioni finanziarie di dare corretta applicazione alla nuova disciplina introdotta dalla novella: la questione non è di secondaria importanza, se è vero che occorre sempre evitare nei limiti del possibile, di scalfire o pregiudicare l’efficacia e la tempestività dell’azione degli uffici finanziari, in nome del principio evergreen del buon andamento della Pubblica Amministrazione.
[1] Secondo A. VIOTTO, P. MASTELLONE, L’invalidità degli atti tributari: i vizi istruttori e delle notifiche, in Adempimento collaborativo, accertamento e contenzioso (a cura di) di G. Ferranti, 7/2024, 6, Milano, “Gli atti impositivi emessi dall’Amministrazione finanziaria hanno natura unilaterale, autoritativa e foriera di effetti sostanziali nei confronti del destinatario”.
[2] In vero anche nel diritto amministrativo esistono atti di natura discrezionale, cui si contrappongono posizioni di interesse. Per approfondimenti si legga l’analisi condotta da N. DURANTE, Scampoli di giurisdizione amministrativa nei rapporti tributari, in Il fisco, 2004, I, 12,4136 e ss.
[3] L’articolo 23 Cost. così dispone: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Sul tema si veda R. LUPI, Diritto tributario, parte speciale, IV, Milano, 1996, 80 e ss.
[4] In giur cfr. Corte cost. 28 luglio 1976, n. 200, la quale richiama con decisione “il diritto del contribuente ad essere chiamato a concorrere alle pubbliche spese, solo in quanto in possesso di effettiva capacità contributiva e di idoneità effettiva e quindi, al pagamento delle imposte, così come è richiesto appunto dall’art. 53 della Costituzione”.
[5] L’articolo 53 al comma 1 afferma che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Il comma 2 così dispone: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
[6] Così N. DURANTE, I vizi del provvedimento tributario dopo la riforma dello Statuto del contribuente, in Innovazione e diritto, 1,2024, 62. L’Autore sul punto richiama le osservazioni di G.A. MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1987, 107 ss., secondo il quale “la potestà impositiva è, di regola, vincolata dalla legge e non presenta che delle ristrette aree di discrezionalità. Questo si spiega non tanto in relazione al disposto dell’art. 23 Cost., quanto piuttosto con riferimento al ricordato carattere strumentale o addirittura procedimentale delle norme tributarie, nonché all’interesse pubblico tutelato dalle norme stesse”.
[7] L’art. 21 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in materia di processo tributario, prevede che “il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato”. Similmente, l’art. 29 del Codice del processo amministrativo prevede che “l’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di sessanta giorni.
[8] Sul punto si veda Corte Cost., 19 ottobre 2000, n. 430. In particolare la Consulta ha ritenuto infondata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nella parte in cui sottopone ad un termine decadenziale di diciotto mesi (poi elevato a quarantotto mesi) la richiesta di rimborso di ritenute alla fonte illegittime, sancendone la decorrenza dalla data del versamento eseguito dal sostituto d’imposta, argomentando che il diritto di difesa non risulta menomato, stante la congruità del termine in armonia col sistema tributario.
[9] Cass. civ., Sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21759.
[10] N. DURANTE, op.cit.,63 il quale aggiunge che “Al contrario, se potere il potere fosse discrezionale, un tale sindacato devolutivo sarebbe precluso al giudice tributario (come a qualunque altro giudice8), rappresentando un inammissibile sconfinamento sul merito della scelta, riservato in via esclusiva al potere esecutivo”.
[11] Cass. civ., Sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 407.
[12] Si ricorda che in base all’art. 21-septies della Legge n. 241 del 1990, “è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.
[13] In tema si veda il pensiero di F. TESAURO, Le nullità dei provvedimenti tributari, in Innovazione e diritto, 2015, 31, il quale opportunamente precisa come “Si può dire, perciò, che la nullità degli atti tributari corrisponde, più che all’annullabilità dei contratti, all’annullabilità del diritto amministrativo”.
[14] Così N. DURANTE, op.cit., 64. A conferma sul punto in giur si veda ex multis Cass. civ., Sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18448.
[15] Cass. civ., Sez. trib., 13 novembre 2013, n. 25508.
[16] Esemplificando in tema di IRPEF ed IVA è stato riqualificata come vizio di annullabilità la «nullità» dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione ex artt. 42 e 43 del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché ex artt. 56 e 57 del D.P.R. n. 633 del 1972.
[17] Cass. civ., Sez. trib., 22 settembre 2011, n. 19337.
[18] Cfr. in particolare Cass. civ., Sez. trib., 5 maggio 2010, n. 10802.
[19] F. TESAURO, op.cit., 37 e ss.
[20] S’intende fare riferimento alle disposizioni del Capo III della legge 241/1990 sulla partecipazione al procedimento amministrativo, le quali per volontà legislativa “non si applicano altresì ai procedimenti tributari, per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano”. Si aggiunga che, secondo il comma 1 dell’art. 24, “il diritto di accesso è escluso dalla lett. b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano”. In dottrina, sulle ricadute delle invalidità di cui alla legge n. 241 del 1990 in tema di vizi dell’atto tributario si veda G. LIVRIERI, Il regime di invalidità dell’atto tributario dopo le modifiche alla legge n. 241/1990: riflessi sull’obbligo di motivazione”, in Il fisco, 2007, 27, 3990 e ss.
[21] In giur si veda Cass. civ., S.U, 18 settembre 2014, n. 19667.
[22] Sul paradigma delle invalidità nel diritto tributario cfr. F. FARRI, Forme ed efficacia nella teoria degli atti dell’Amministrazione finanziaria, Padova, 2015; F. PEPE, Basi concettuali e metodologiche per lo sviluppo di una teoria generale (e plurale) dell’invalidità nel settore tributario”, in Rivista di Dottrina Fiscale, vol. 1 1/2022, 107 ss. Per un’analisi approfondita di come i concetti di “nullità” ed “annullabilità” venivano utilizzati in precedenza nel settore tributario, si veda tra gli altri L. DEL FEDERICO, “La rilevanza della legge generale sull’azione amministrativa in materia di invalidità degli atti impositivi”, in Riv. dir. trib., 20, 6/2010, I, 729 ss; E. MARELLO, Per una teoria unitaria dell’invalidità nel diritto tributario”, in Riv. dir. trib. 11, 3/2001, 379 ss.
[23] Secondo A. VIOTTO, P. MASTELLONE, op.cit., 4, “Ad accrescere il disorientamento, si aggiunge il fatto che le norme tributarie che individuano espressamente le conseguenze invalidanti in caso di violazione non sempre si contraddistinguono per chiarezza quanto alla terminologia utilizzata”.
[24] Sulle nuove figure positivizzate dei vizi degli atti tributari all’interno dello Statuto, si vedano: A. CARINCI, Revisione dello Statuto del contribuente tra ambizioni e criticità, in Il fisco, vol. 47, 37/2023, 3467 ss; G. MELIS, Una visione d’insieme delle modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente: i principi del procedimento tributario, In Il fisco, vol. 48, 3/2024, 221 ss.
[25] Sull’importanza delle categorie giuridiche che distinguono tra nullità e annullabilità, si veda l’analisi condotta da M. GUICCIARDI, I regimi di invalidità degli atti della amministrazione finanziaria, in Riv trim. Questione Giustizia, n. 3/2024.
[26] Il vizio dell’annullabilità si applica a vizi meno gravi che, pur non invalidando automaticamente l’atto, ne consentono la contestazione entro termini specifici, a pena di decadenza. Questo implica che il contribuente deve agire attivamente per far valere l’invalidità dell’atto”.
[27] Su cui si rimanda ampiamente alle considerazioni di A. PLAISANT, I vizi di invalidità degli atti. Analisi comparata tra diritto civile, diritto amministrativo e diritto tributario in www.giustizia-amministrativa.it, 2024.
[28] A conferma dell’importanza della riforma in materia di riconoscimento delle forme di nullità, occorre ricordare come parallelamente il D. lgs 30 dicembre 2023, n. 220, innovando i requisiti essenziali della sentenza tributaria così come previsto dall’art. 36, comma 1, del D.lgs. n. 546 del 1992, ha inserito nella lett. d) il riferimento “alle questioni attinenti ai vizi di nullità dell’atto”.
[29] Sul punto si riportano le osservazioni di F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo. Parte generale e parte speciale, Roma, 2022, 79 il quale ricorda che con “particolare riguardo al provvedimento amministrativo viziato da “difetto assoluto di attribuzione”, la giurisprudenza ha distinto tra carenza in astratto di potere – riguardante i casi in cui manca assolutamente la norma attributiva del potere 21 dalla carenza in concreto di potere – che, invece, abbraccia tutti quei casi “in cui venga in rilievo un difetto relativo del potere, nel senso che la norma esiste ma sono violate le regole e le condizioni stabilite dalla norma in relazione all’esercizio del potere stesso”. In giurisprudenza, v. ex pluribus Cons. Stato, Sez. IV, 11 maggio 2007, n. 2273; Cons. Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4281; Cons. Stato, Sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5228.
[30] Come risaputo il c.d. difetto di attribuzione affligge l’atto che sia stato adottato da un organo non appartenente al settore amministrativo di riferimento cui la legge attribuisce il relativo potere (ad esempio, un atto di accertamento ICI che emesso per errore da altro soggetto come l’Agenzia delle Entrate).
[31] A. VIOTTO, P. MASTELLONE, op.cit., 10 ricordano che “La giurisprudenza amministrativa è pressoché concorde nel ritenere che il vizio di “elusione del giudicato” sia configurabile quando l’atto amministrativo non tiene conto di una sentenza passata in giudicato, e, quindi, non più opponibile con i mezzi di impugnazione ordinari”. In tal senso tra le altre, si veda la sentenza del Cons. Stato, Sez. IV, 15 luglio 2013, n. 3863. I giudici di Palazzo Spada evidenziano che “ per ravvisare il vizio di violazione o elusione del giudicato non è sufficiente che la nuova attività posta in essere dall’Amministrazione dopo la formazione del giudicato alteri l’assetto degli interessi definito dalla pronuncia passata in giudicato, essendo necessario che l’Amministrazione medesima eserciti nuovamente la medesima potestà pubblica, già illegittimamente esercitata, in contrasto con il puntuale contenuto precettivo del giudicato amministrativo, oppure cerchi di realizzare il medesimo risultato con un’azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l’esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo giustificano”.
[32] Così F. TESAURO, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in F. Fichera – M.C. Fregni – N. Sartori (a cura di), F. Tesauro. Scritti scelti di diritto tributario. Vol. I, Torino, 2022, 155.
[33] Tra le pronunzie in materia si veda in particolare Cass. civ., Sez. VI, 13 marzo 2013, n. 6329, secondo cui “Il potere di autotutela tributaria ha come autonomo presupposto temporale, da un lato, la mancata formazione del giudicato sull’accertamento emesso dall’amministrazione e, da un altro, la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’esercizio del potere di accertamento tributario dalle singole leggi d’imposta; l’esercizio dell’autotutela può inoltre aver luogo soltanto entro il termine previsto per il compimento dell’atto, non può tradursi nell’elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sull’atto viziato e dev’essere preceduto dall’annullamento di quest’ultimo, a tutela del diritto di difesa del contribuente ed in ossequio al divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto”.
[34] In tali termini A. PLAISANT, I vizi di invalidità degli atti. Analisi comparata tra diritto civile, diritto amministrativo e diritto tributario in www.giustizia-amministrativa.it, 2024.
[35] Come afferma F. TESAURO, op.cit., 31 “In tutti questi casi, il termine nullità è usato non per indicare che l’atto è privo di effetti (come il contratto nullo), ma che l’atto, anche se viziato, è efficace, e che, se impugnato, può essere annullato. La nullità degli atti tributari non è come la nullità dei contratti, ma è come l’illegittimità-annullabilità dei provvedimenti amministrativi. Le invalidità degli atti tributari non vanno guardate quindi, con gli occhiali del civilista”.
[36] Così ad esempio, per la previsione legale di nullità per carenza motivazionale sulle contestazioni di abuso del diritto e a quella per difformità tra l’atto impositivo e la risposta a un interpello.
[37] Cass civ. sez. trib., 5 settembre 2014, n. 18729.
[38] Art. 31, comma 4, del c.p.a. secondo cui: “La domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all’articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV”.
[39] A. PLAISANT, I vizi di invalidità degli atti. Analisi comparata tra diritto civile, diritto amministrativo e diritto tributario in www.giustizia-amministrativa.it, 2024.
[40] Così A. PLAISANT, I vizi di invalidità degli atti. Analisi comparata tra diritto civile, diritto amministrativo e diritto tributario in www.giustizia-amministrativa.it ,2024, il quale a proposito dell’eventuale autotutela, precisa che “ la previsione normativa espressa di tale opzione a favore del contribuente, leggibile all’art. 7 ter, comma 2, fa sorgere il dubbio che la richiesta di annullamento dell’atto formulata in sede amministrativa per nullità dello stesso renda la relativa autotutela obbligatoria, il che, tuttavia, non è pacifico, atteso che il successivo art. 10 quater non indica quella ora in esame tra le ipotesi di autotutela doverosa”.
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