La “Nuova” domiciliazione presso il Difensore e le cattive prassi applicative

La “Nuova” domiciliazione presso il Difensore e le cattive prassi applicative

Il contributo in narrativa, prendendo le mosse dal superamento del modello contumaciale e dall’avvento del processo c.d. in assenza come introdotto dalla Legge n. 67 del 2014, in attuazione delle indicazioni provenienti dalla Giurisprudenza della C.E.D.U., passando attraverso la recente riforma introdotta dalla Legge n. 103 del 2017, art. 1 comma 24, sul punto dell’elezione di domicilio ex art. 162 comma 4 bis c.p.p., si propone di spendere talune riflessioni su delle vicissitudini patologiche riscontrabili nella prassi giudiziaria contemporanea, capaci d’influenzare le sorti dell’intero procedimento penale, che se incardinato in violazione delle norme poste a presidio della conoscenza effettiva del “trial” e dell’accusa mossa, le quali devono, altresì, garantire quantomeno la conoscibilità di dettagliati riferimenti circa la data ed il luogo del processo, non potrà che rischiare di capitolare, nelle migliori delle evenienze, col noto rimedio restitutorio di cui all’art. 175 c.p.p..

Come noto, l’intervento legislativo poc’anzi rammentato in tema di elezione di domicilio della persona soggetta a procedimento penale, già prima della promulgazione della norma e nelle more dell’entrata in vigore della stessa, era stata sottoposta all’attenzione dei Giudici delle Leggi con diverse Ordinanze di remissione che evidenziavano nitidamente quanto del resto il legislatore ha recepito, seppur in parte, nella fattispecie legislativa in commento.

Si trattava, de iure condendo e antecedentemente all’intervento del legislatore, di rintracciare ove possibile un’interpretazione sistematica e dialettica delle disposizioni di cui all’art. 161 c.p.p. sull’elezione di domicilio, segnatamente presso il difensore d’ufficio, con quella di cui all’art. 420 bis c.p.p., ove come noto il legislatore consente al Giudice dell’Udienza Preliminare di dedurre la conoscibilità del processo da parte dell’imputato proprio dall’elezione di domicilio di quest’ultimo presso il difensore, senza specificare se questi fosse designato d’ufficio o di fiducia, a scapito, per lo meno in prospettiva ante riforma, di una effettiva conoscenza o conoscibilità dello stesso.

E di qui l’Ordinanza numero 22 del 2015, tra le altre, rimessa dal Giudice del Tribunale di Asti ex art. 23 Lege n. 87/1953 alla Corte Costituzionale, secondo la quale i parametri di cui agli articoli 3, 21, 24, 111, 117 Cost., 14 Patto Internazionale sui diritti civili e politici, 6 CEDU, privavano di legittimità costituzionale gli articoli 161 comma 1 e 163 c.p.p., nella parte in cui non prevedono la notifica personale dell’atto introduttivo del giudizio penale, quantomeno nell’ipotesi di elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio.

Più recentemente, poi, come anticipato, partendo anche da siffatti assunti ed ancora prima la Consulta si pronunciasse sul tema, la consapevolezza del legislatore si è tradotta con il comma 4 bis dell’art. 162 c.p.p. nella parte in cui sancisce che “l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario”, pur se, tuttavia, come si avrà cura di annotare di qui a breve, la prassi giudiziaria abbia dimostrato e dimostri a tutt’oggi numerose riserve e non meno difficoltà nell’applicare e nel rispettare uno dei principi cardine posti a fondamento del nostro ordinamento giuridico, sugellato dall’art. 111 comma 3° della Carta Costituzionale, cedendo sin troppo di frequente a facili escamotage, che si menzioneranno, tanto illegittimi quanto testimonianza di una cultura giudiziaria ancora legata a retaggi di un passato frammisto di porzioni inquisitorie.

Val la pena, prima di introdurre alcune di queste prassi poc’anzi citate, di rammentare che il concetto di “effettiva conoscenza” del procedimento o del provvedimento deve essere inteso, secondo i noti parametri legislativi interni, internazionali e comunitari già citati, quale sicura consapevolezza della pendenza del processo e precisa cognizione degli estremi del provvedimento (autorità, data, oggetto), collegata alla comunicazione di un atto formale, che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si sia verificata (Così in Cass., Sez. 1, 11 aprile 2006, ric. Zaki Aziz, alias Joudar Khalil, cit; Cass., Sez. 1, 9 maggio 2006, n. 20036, ric. El Aidoudi, Rv. 233864; Cass., Sez. 1, 9 febbraio 2006, n. 14272, ric. Coppola; Cass., Sez. 2, 14 febbraio 2006 ric. Ahmed ed altri, n. 15903).
Proprio nel solco dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, come ha già più volte precisato la Corte di legittimità, la “conoscenza effettiva” del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel “merito” (Cass., Sez. 1, 21 febbraio 2006, Dioum B., Rv. 233514).

A tal proposito, merita, altresì, riportare l’orientamento della costante giurisprudenza della Corte Europea, ove si puntualizza che “avvisare qualcuno delle azioni penali rivoltegli costituisce un atto giuridico di tale importanza da dover corrispondere a condizioni di forma e di sostanza idonee a garantire l’esercizio effettivo dei diritti dell’accusato”, non essendo sufficiente “una conoscenza vaga e non ufficiale” (sent. Corte eur. dir, uomo, 12 ottobre 1992, T. c. Italia; sent. Corte eur. dir. uomo 18 maggio 2004, Somogyi; sent. Corte eur. dir. uomo 9 giugno 2005, R.R. c. Italia).

Gli interventi giurisprudenziali premessi, evidentemente hanno inciso, come detto, in maniera significativa sulla mutazione dell’assetto dell’ordinamento nazionale sul punto, sino a condurre all’estinzione di qualsiasi forma di fictio iuris capace di garantire processi ad ogni costo a carico di ignari individui ai quali all’ombra d’una difesa d’ufficio, fortunatamente non più così spesso, poco attrezzata, rischiavano di smarrire ogni facoltà defensionale garantita al massimo livello dalle fonti normative interne ed extranazionali, a partire dalla scelta dei riti premiali, passando per l’affidamento in prova ex art. 162 bis c.p. di recente introduzione ed attraverso una innumerevole serie di altri diritti di difesa tecnica la cui lista della spesa sarebbe fuori luogo in questa sede.

Giungendo, pertanto, alle cattive prassi giudiziarie dell’ultima ora, che nel caso specifico sarebbe più corretto qualificare come pregiudiziarie, il primo posto meritocraticamente assegnato spetta indubitabilmente a quella, sorta all’alba dell’entrata in vigore del comma 4 bis dell’art. 162 c.p.p. sopra trascritto e più volte citato, secondo cui gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria intervenuti per l’accertamento di un fatto di rilevanza penale posto a carico di una persona sprovvista di domicilio e di difensore di fiducia, nel dovere necessariamente contattare il difensore designato d’ufficio attraverso la procedura automatizzata prevista e comunicata dal Call Center facente capo al Consiglio Nazionale Forense, al fine di richiedere il consenso per l’elezione di domicilio presso di se, alla eventuale risposta negativa del designando difensore, arbitrariamente, illegalmente e non meno impunemente, dichiarando il falso al medesimo Call Center di lì a poco ri-contattato deducendo l’irreperibilità del difensore al recapito professionale ricevuto, ne chiedevano la sostituzione, evidentemente auspicando d’incontrare nel successivo chiamato più miti velleità difensive.

Tale prassi, prontamente denunciata dai difensori iscritti alle più rappresentative associazioni di categoria, ha recentemente portato anche ad un intervento del Procuratore Capo presso il Tribunale di Roma, Dott. PIGNATONE, datato 2 agosto 2017, il quale nella missiva inviata a tutti i presidi di Polizia Giudiziaria ed al Questore, perentoriamente stabilisce che “ … nel caso in cui la persona sottoposta ad indagini, in occasione degli adempimenti di cui all’art. 349 comma 3 c.p.p., abbia eletto domicilio presso il difensore di ufficio, gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria vorranno procedere ad interpellare immediatamente il difensore, utilizzando i recapiti telefonici forniti dal call-center al momento della nomina. Dall’esito dell’interpello daranno conto mediante apposito verbale redatto secondo il modello allegato, che trasmetteranno unitamente al verbale di elezione di domicilio. Nel caso in cui il legale non prestasse l’assenso alla domiciliazione, chiederanno alla persona sottoposta alle indagini di indicare un diverso domicilio … ” (N. 2736/17 Prot. Gab. DISP.P.G. 4), rendendo in tal modo, per un verso perseguibile penalmente ai sensi dell’art. 479 c.p., il Pubblico Ufficiale che dovesse verbalizzare false dichiarazioni, garantendo per altro effettività alla norma in commento, introdotta proprio al fine, come diverse pronunce di legittimità hanno chiarito, che non venga trasferita in capo al difensore d’ufficio dello sconosciuto assistito, l’effettiva conoscenza del futuro e meramente eventuale processo penale.

Altra prassi distorta dell’ultim’ora, questa volta giudiziale a tutti gli effetti e pertanto causata dalla partecipazione necessaria dell’Autorità giudiziaria, si riscontra, non di rado, nella emissione e notificazione del Decreto Penale di Condanna a carico di soggetto, sovente straniero ed extracomunitario, il quale in un primo momento e prima dell’entrata in vigore del comma 4 bis dell’art. 162 c.p.p., eleggeva o veniva indirizzato ad eleggere sarebbe probabilmente meglio dire, domicilio presso il difensore d’ufficio, al quale, come se nulla fosse cambiato, nell’assetto normativo corrente dall’epoca dell’elezione di domicilio, viene notificato il Decreto Penale di Condanna, eventualmente da impugnare all’insaputa dell’imputato e nel dubbio assolutamente fondato ad opinione del redigente circa la validità dell’impugnazione spiegata ai sensi dell’art. 461 c.p.p. dal difensore d’ufficio non munito di procura, né, come previsto letteralmente dalla norma, di alcun apposito mandato dall’ignaro imputato.

Sarà evidente a chi sin qui legge, nonostante il principio noto del tempus regis actum per cui legalmente varrebbe ad oggi l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio formalizzata precedentemente l’entrata in vigore del comma 4 bis dell’art. 162 c.p.p., che tale modus operandi determina una palese violazione dei diritti di difesa dell’imputato, a partire da quello immanente a tutti gli altri e sin qui commentato, ergo di conoscere con effettività e certezza, non meramente fittizia o formale, del tipo di accusa mossa, pertanto dell’imputazione, dei mezzi per impugnarla e/o contestarla per difendersi provando, giusta la combinata lettura degli artt. 111 e 24 Cost., in ogni fase, stato e grado del giudizio.

Conclusivamente, evidenziate solo alcune e frammentarie patologie che a tutt’oggi insidiano ed affliggono la regolare celebrazione del processo penale e segnatamente della vocatio in iudicium dell’imputato, ad opinione di chi scrive, sarebbe inevitabile la declaratoria di nullità assoluta ed insanabile, vista la violazione degli artt. 177 e 178, comma 1, lett. c) c.p.p., della notificazione del Decreto Penale di Condanna all’indirizzo del difensore d’ufficio non prestante il consenso all’elezione di domicilio presso di sé ed anche se operata tale elezione ante riforma.

Così come sarebbe conseguentemente invalido l’atto d’opposizione eventualmente interposto al Decreto penale de quo dal difensore non munito di alcuna procura, né mandato da parte dell’imputato, essendo, tra l’altro, si ripete, necessaria idonea ratifica all’atto da parte del diretto interessato, come lapalissianamente si evince dall’art. 461 comma 1 c.p.p., nonostante quanto pronunciato dalla Sup. Corte di Cass. pen., sez. VI^, 01-12-2015, n. 48272, in Foro It., secondo la quale “ … Il difensore d’ufficio, pur se sprovvisto di procura speciale, è legittimato a proporre opposizione al decreto penale di condanna …”, che potrà valere, eventualmente e residualmente, nelle ipotesi in cui il destinatario del Decreto Penale di condanna sia al corrente della richiesta della Procura della Repubblica procedente e della decisione del Giudice per le indagini preliminari competente, in quanto, come qui interessa evidenziare, ha tempestivamente e ritualmente ricevuto la notificazione del provvedimento, ratificando pertanto nelle forme consentite l’opposizione proposta dal difensore d’ufficio, ma evidentemente non anche quando non sia mai stato messo al corrente dell’accusa con effettività e secondo i parametri legali e giurisprudenziali, nazionali, comunitari ed internazionali sin qui descritti, pena, come in premessa anticipato, la restituzione del temine ai sensi e per gli effetti dell’art. 175 c.p.p..

Articolo redatto ed elaborato dall’avv. Ivano Ragnacci


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Avv. Ivano Ragnacci

Avvocato Penalista del Foro di Roma

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