La PEC ed il rapporto Banca – Cliente in una logica di trasparenza ed efficacia del dialogo

La PEC ed il rapporto Banca – Cliente in una logica di trasparenza ed efficacia del dialogo

Gianluca Mazzarini

(*) L’articolo contiene personali riflessioni di commento frutto dell’interesse scientifico dell’Autore per la materia. Ogni opinione è dunque espressa dall’Autore esclusivamente a titolo personale.

Abstract

L’articolo prende in esame il possibile utilizzo della PEC nei rapporti bancari come strumento per accrescere il livello di trasparenza nella comunicazione con i clienti. Si esaminano le conseguenze di ordine probatorio e le modalità per procedere alla progressiva estensione del servizio a tutta la clientela. Si tratteggiano le problematiche organizzative. Viene effettuata una ricognizione delle principali tipologie di comunicazione e gli effetti connessi.

Una parte consistente dei problemi che si rivengono nel rapporto banca – cliente sono imputabili a carenze di vario tipo nelle tecniche di comunicazione utilizzate dal medesimo sistema bancario.

Di questi una quota parte è imputabile alla natura tecnica delle informazioni che richiedono l’utilizzo di un linguaggio non sempre immediatamente fruibile.

Sebbene su tale aspetto si registrino importanti progressi del sistema nel rendere maggiormente intellegibile il contenuto delle comunicazioni, a tutt’oggi permangano delle difficoltà, probabilmente non risolvibili, imputabili al tecnicismo insito in taluni concetti giuridici che non possono essere banalizzati, ponendo altrimenti a rischio la corretta interpretazione del contenuto delle singole comunicazioni.

Altra parte della complessiva problematica è da attribuire alle concrete modalità di trasmissione della documentazione bancaria, modalità che in diverse circostanze vengono messe in discussione in ordine alla possibilità di dimostrare l’effettiva ricezione dei documenti stessi.

Considerando che lo scenario all’interno del quale ci si muove è rappresentato da rapporti di massa pare evidente che il sistematico ricorso a strumenti come la Raccomandata A.R., il telegramma e similari scontino dei significativi costi di gestione che, ove acriticamente adottati, contribuirebbero ad un’ulteriore significativa lievitazione dei costi bancari.

Il ricorso alla raccomandata e similari è pertanto di norma riservato alle comunicazioni non standardizzate e di significativo impatto nell’ulteriore sviluppo della relazione d’affari.

Passando all’analisi della normativa di riferimento si deve evidenziare come le modalità di comunicazione tra banca e cliente risultano oggetto di una specifica disciplina portata dalle Disposizioni della Banca d’Italia in materia di Trasparenza e correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti.

La disciplina viene dettata con specifico riferimento alle comunicazioni periodiche che devono essere trasmesse dagli intermediari e riconoscono espressamente la possibilità di utilizzare lo strumento della posta elettronica certificata (PEC)[1] accanto agli ordinari strumenti di postalizzazione cartacea.

Le Disposizioni precisano ulteriormente che per i soggetti tenuti per legge a dotarsi di un indirizzo PEC[2], la banca può scegliere di utilizzare esclusivamente tale veicolo elettronico per inviare le prescritte comunicazioni alla propria clientela.

DISPOSIZIONI 03/08/2017  “Il contratto stabilisce le modalità di invio delle comunicazioni periodiche alla clientela e indica i costi connessi alle diverse tecniche utilizzate. Le modalità a disposizione della clientela includono sempre la forma cartacea e quella elettronica; esse consistono, in ogni caso, in supporti durevoli. In ogni momento del rapporto il cliente ha il diritto di cambiare la modalità di comunicazione utilizzata, salvo che ciò sia incompatibile con la natura dell’operazione o del servizio. L’offerta può prevedere la sola forma elettronica quando il contratto sia concluso con clienti obbligati per legge a dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica”.

Il presente lavoro intende analizzare la possibilità di ricorrere in maniera massificata allo strumento PEC, quantomeno per la clientela imprenditoriale obbligata alla relativa dotazione, valutandone i benefici non solo dal punto di vista economico ma soprattutto relazionale nella prospettiva di un corretto e continuo scambio di informazioni tra le controparti del rapporto bancario.

Le diverse tipologie di comunicazione

In primo luogo occorre chiarire come la documentazione rendicontativa richiamata dal paragrafo delle Disposizioni della Banca d’Italia non esaurisce il ventaglio delle comunicazioni che l’intermediario trasmette alla clientela e dalle quali scaturiscono precise conseguenze.

Nella corrente operatività sono molteplici le situazioni che, in adempimento ad obblighi regolamentari o per specifiche esigenze di natura negoziale, impongono all’intermediario di intrattenere “a distanza” il proprio cliente tramite corrispondenza.

Basti pensare, a titolo esemplificativo, a tutte quelle comunicazioni, che possono concretizzare proposte commerciali, accettazione di richieste di anticipazione, proposte di modifica delle condizioni economiche o normative od altre generiche occasioni di interlocuzione tra la banca ed il cliente idonee a concretizzare atti preliminari o veri e propri negozi giuridici.

Tra queste una fattispecie particolare riconducibile al raggruppamento tratteggiato è rappresentata, a titolo di ulteriore ma attualissimo esempio, dalla trasmissione dell’estratto conto recante l’indicazione degli interessi corrispettivi maturati in corso d’anno e per i quali, solo a seguito della suddetta comunicazione, scaturisce la possibilità di procedere da parte della Banca all’addebito in conto del cliente che abbia fornito la relativa autorizzazione[3].

Ma ancora possono essere richiamate le ulteriori comunicazioni di carattere unilaterale – alle quali vengono normalmente attribuiti i caratteri della recettizietà – destinate a mutare un preciso status del cliente rispetto a specifiche operazioni o servizi bancari. Tali casistiche ricomprendono i preavvisi di revoca all’autorizzazione ad operare a mezzo assegni bancari rilevanti per la Centrale d’Allarme Interbancaria (CAI), le revoche degli affidamenti, le chiusure dei rapporti di conto corrente ecc…

Infine meritano la dovuta attenzione quelle ulteriori comunicazioni a carattere preventivo e connesse in primis all’utilizzo di Sistemi di Informazione Creditizia (SIC) rispetto ai quali sono dovuti specifici avvertimenti prima di procedere alla relativa trasmissione dei dati, in conseguenza del discredito commerciale derivante nelle relative banche dati.

La pur sommaria ricognizione delle categorie di comunicazione da inviare alla clientela evidenzia la numerosità delle occasioni di contatto e correlativamente lascia intuire le problematiche organizzative che scaturiscono dalla corretta gestione di tale mole di informazioni, particolarmente rilevante in tutte le circostanze nelle quali dalla ricezione del documento stesso iniziano a maturare termini per la produzione di un qualche evento.

Al riguardo la famigerata ricevuta di ritorno della raccomandata cartacea, sempre che per ragioni economiche l’intermediario abbia fatto la scelta di ricorrere a tale strumento  rispetto alle fattispecie sopra accennate (almeno alcune), diventa elemento discriminante per provare il corretto svolgimento della specifica sequenza procedimentale alla quale viene riferita, ma deve essere gestita con estrema cura ed attenzione, richiedendo specifici presidi organizzativi idonei ad assicurare termini di lavorazione diversificati rispetto alla massa di soggetti raggiunti.

Ecco allora che l’inciso apparentemente neutro utilizzato dalla Banca d’Italia in materia di utilizzo obbligatorio della PEC assume un preciso ed apprezzabile significato nel senso di attribuire una maggiore trasparenza – che nella maggior parte dei casi si declina come certezza – nella corretta gestione dei rapporti tra banca e clientela intermediata dall’utilizzo della posta elettronica certificata ed a prescindere dalla funzioni assolte dalla specifica comunicazione.

Lo strumento elettronico consente per certo una più agevole e corretta gestione al contempo delle masse (i lotti di spedizione) ma anche dei singoli rapporti, rispetto ai quali si è in grado di stabilire la conoscibilità della comunicazione.

Inoltre, se può considerarsi assodato che la PEC attribuisce certezza in ordine alla data di spedizione e ricezione della comunicazione, non bisogna sottacere la circostanza che al ricorrere di determinate condizioni lo strumento PEC consente anche di appurare la non intervenuta alterazione del contenuto degli allegati alla comunicazione medesima (ottenibile, ad esempio, attraverso l’apposizione della firma digitale sui documenti spediti od il ricorso alla verifica sul c.d. hash[4] dell’intera spedizione).

Tale complessivo risultato non può che essere apprezzato poiché consente di sgombrare definitivamente il campo dalle sempre più numerose contestazioni scaturenti da eventuali o presunti disguidi nelle attività di postalizzazione realizzate senza il ricorso allo strumento della raccomandata A.R. – oneroso soprattutto per il cliente –  o pure volte a disconoscere il contenuto della comunicazione inserita in busta chiusa pure veicolata con raccomandata A.R..

Ma il vantaggio risulta ancora più evidente laddove si tenga presente che per espressa previsione normativa, ripresa dalle medesime Disposizioni di Vigilanza citate, le comunicazioni realizzate con strumenti elettronici non registrano l’aggravio di costi ulteriori a carico della clientela (art. 127 bis D.Lgs. 385/93).

In tale prospettiva la PEC concretizza uno strumento di trasparenza effettiva e di contenimento dei costi di gestione che non può essere ignorato, pure al netto di tutta un serie di problemi applicativi che devono essere risolti in sede di switch on.

Breve digressione di sostanza – il regime della prova connesso alla PEC

Senza entrare nelle specifiche questioni tecniche, occorre comunque gettare un rapido sguardo sui principi che governano il regime della prova nel contesto della Posta Elettronica Certificata.

I principali riferimenti al riguardo sono contenuti nel DPR 11 febbraio 2005 n.68 e successive modifiche, nonché dal Codice per l’Amministrazione Digitale (CAD) portato dal D.Lgs 7 marzo 2005, n. 82, anche questo modificato a più riprese.

In via preliminare si ribadisce che la PEC è accomunabile alla lettera cartacea raccomandata: infatti, come quest’ultima consente di rendere opponibile a terzi l’invio del messaggio e la sua data (Art. 4 comma 1 DPR 68/2005).

La trasmissione e ricezione del messaggio di PEC è attestata, rispettivamente, dalla ricevuta di accettazione e dalla ricevuta di consegna (art. 4, co. 6, DPR n. 68). La ricevuta di accettazione fornisce al mittente la prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di PEC (art. 6, co. 1, del DPR n. 68), mentre la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente la prova che ad una determinata data e ora il suo messaggio di PEC è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico del destinatario (art. 6, co. 3, del DPR n. 68 e art. 37, co. 4, lett. c, DPCM 30 marzo 2009, relativo quest’ultimo alla validazione temporale dei documenti informatici, sostituito dall’art. 41, co.4 lett. c del DPCM. del 22/02/2013).

Sia la ricevuta di accettazione che la ricevuta di avvenuta consegna rappresentano prove legali, ossia il giudice deve valutarle in conformità a quanto previsto dalla legge senza alcun margine di discrezionalità.

Fondamentale risulta pertanto la necessità di conservare tali ricevute (anche detti log) per poter essere prodotti al momento opportuno con efficacia vincolante. I log dei messaggi inviati in conservazione devono essere conservati per almeno trenta mesi dal provider, ai sensi dell’art. 11, comma 2 del DPR 11 febbraio 2005 n. 68. Sul punto si tornerà in seguito.

Sotto un profilo sostanziale la PEC si discosta in melius dalla raccomandata in quanto consente anche di certificare il contenuto dei messaggi trasmessi (art. 6, co. 4, DPR n. 68). Infatti, mentre la raccomandata fornisce unicamente la prova dell’invio di una comunicazione, ma non del suo contenuto (si v. Corte di Cassazione[5], sez. III, n. 10021/2005), la PEC consente, in alcuni casi, di provare anche il contenuto del messaggio.

In questo senso, lo strumento della PEC può rilevare anche ai fini della prova della data di una scrittura privata nei confronti dei terzi, secondo quanto previsto dalla vigente disciplina in materia di prove documentali (art. 2704 c.c.). Infatti, l’invio tramite PEC di un documento che per legge deve avere “data certa” rappresenta una delle modalità idonee a stabilire l’anteriorità della formazione di quel documento e, quindi, a fornire la prova della sua data certa.

La PEC, inoltre, appare uno strumento di comunicazione idoneo a fondare la presunzione di conoscenza dei negozi unilaterali recettizi, ex art. 1335 c.c. In base a tale disposizione, le dichiarazioni dirette a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, a meno che quest’ultimo non provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia. Al pari della lettera raccomandata, la PEC fornisce la prova certa che una determinata dichiarazione è stata spedita all’indirizzo (elettronico) del destinatario. Da tale prova discende, come detto, anche la presunzione (relativa) di conoscenza da parte di quest’ultimo del messaggio spedito dal mittente.

Per specifica connessione con il tema si ritiene opportuno rammentare che in numerose circostanze ABF ha affermato l’efficacia delle comunicazioni con sistemi postali cartacei privati, che prevedano comunque la certificazione della consegna al destinatario. Al riguardo, secondo ABF, anche in tali situazioni vige la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza dello stesso ex art. 1335 cod. civ. “fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale” (ex. multis ABF Collegio di Milano, dec. n. 9150/16 del 14 ottobre 2016).

Pur condividendo le conclusioni alle quali è giunto ABF, pare di tutta evidenza la circostanza che il ricorso allo strumento della PEC consenta – in ragione del regime di prova legale del quale si è brevemente accennato – di escludere qualunque dubbio in ordine alla ricezione ed alla conoscibilità (se non conoscenza) della comunicazione, ponendosi su di un superiore livello di efficacia di qualunque servizio postale tradizionale, prescindendo peraltro dalle valutazioni, comunque caratterizzate da un certo gradiente di elasticità interpretativa del singolo organo decidente.

I problemi – L’esercizio dello Ius variandi per il passaggio alla PEC

Il mutamento dalla prospettiva cartacea a quella digitale nelle comunicazioni bancarie – tenendo pure presente i vantaggi probatori accennati, pone tutta una serie di problemi.

Il primo è sicuramente rappresentato dalla necessità di concordare specificatamente con il cliente l’utilizzo delle modalità elettroniche, laddove tale utilizzo non sia insito nell’instaurazione di una rapporto commerciale ex novo e l’interlocutore della banca non risulti assoggettato all’obbligo di dotazione della PEC.

Per tutta la clientela non nuova il tradizionale strumento di comunicazione cartacea deve infatti essere sostituito con l’elettronico, dietro apposito consenso di entrambe le controparti.

Nulla questio ovviamente se la scelta viene formalizzata in un documento tempestivamente siglato dal cliente.

Qualche ulteriore riflessione si impone per la gestione di tutti quei casi in cui non vi sia una tempestiva occasione di contatto fisico con il cliente e si intenda cionondimeno procedere ad un mutamento della struttura organizzativa dell’intermediario.

Al riguardo ci si interroga in merito alla possibilità di procedere ad una modifica unilaterale del contratto invocando l’art. 118 del D.Lgs. 385/93 (Testo Unico Bancario) e ponendo a fondamento della scelta dell’intermediario il giustificato motivo rappresentato dalla necessità di procedere ad una revisione della struttura organizzativa funzionale ad una gestione nel rapporto banca – cliente conforme alla normativa ed improntata a criteri di efficacia, efficienza e contenimento dei costi superiore rispetto al tradizionale canale cartaceo.

A ben vedere nel caso in esame non sembrano rintracciarsi gli elementi di alterazione dell’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni normalmente invocati a legittimo presupposto dello ius variandi, ma pare altrimenti innegabile che una variazione, pure, si è realizzata ed è rappresentata dall’evoluzione della tecnologia che consente di fornire migliori servizi.

Limitare le prerogative di un’offerta di prodotti di massa che come si è cercato di sostenere risulta effettivamente funzionale alle esigenze degli utenti non pare, quantomeno a parere di chi scrive, condizionabile dalla presunta esigenza di evitare comportamenti di approfittamento o contrari a canoni generali di correttezza e buona fede da parte dell’intermediario.

In altri termini non si riescono a rintracciare nemmeno a livello ipotetico motivi di particolare censura per la modifica del canale di comunicazione.

Considerazione questa rafforzata dalla circostanza che almeno i clienti non consumer sono già obbligati alla dotazione (e si presume all’utilizzo) della PEC e che il decreto anticrisi (art. 16, co. 9 DL n. 185/2008 convertito in legge n. 2/2009) ha previsto la possibilità per le imprese costituite in forma societaria di comunicare tramite PEC con altre società o con professionisti senza che sia necessaria una manifestazione di volontà da parte del destinatario.

Parrebbe pertanto maggiormente pertinente parlare di interessi convergenti dei diversi interlocutori che hanno tutto l’interesse a tenersi efficacemente e costantemente in contatto.

Maggiormente complicata invece la progressiva estensione dello strumento ai clienti consumatori, per i quali difficilmente si potrà prescindere dalla realizzazione di uno specifico accordo tra le parti, associato, se del caso, al rilascio da parte della banca stessa, di un indirizzo PEC attribuito al cliente privo di tale strumento.

La forte diffusione degli strumenti digitali presso i millennials favorirà naturalmente la progressiva e totale sostituzione del canale cartaceo per quello digitale ma, sino a tale momento, dovranno essere previste procedure organizzative volte a salvaguardare anche il tradizionale invio cartaceo.

I problemi – la conservazione e la disponibilità della documentazione spedita via PEC

Una volta conseguita l’autorizzazione (per modifica unilaterale o consenso espresso) ed iniziata l’attività relativa alla spedizione via PEC della varia documentazione, occorre organizzare in maniera estremamente puntuale il processo lavorativo per recuperare le comunicazioni recettizie ogni qual volta vi sia la necessità di dimostrare che la relativa documentazione risulta effettivamente spedita e ricevuta.

Al riguardo sono due gli aspetti che assumono rilievo, l’uno relativo alle modalità e l’altro inerente la tempistica di conservazione che, pur risultando concettualmente diversi, finiscono con il coincidere quanto a soluzione pratica.

Ed infatti deve innanzitutto essere smontata ogni velleità di conservazione della documentazione su semplici supporti magnetici, senza alcuna ulteriore accortezza che possa attribuire alla PEC e per il periodo di tempo ritenuto funzionale alle esigenze probatorie della banca i crismi di una prova piena, parificabile a quella di una raccomandata cartacea secondo quanto prima detto.

Tantomeno si deve pensare come possibile la produzione della stampa cartacea dei predetti log.

Considerando che prendendo a riferimento[6] l’art. 119 del D.Lgs. 385/93 il periodo di conservazione della documentazione è quantomeno decennale, l’esigenza di dover dimostrare, ad esempio, di aver inviato l’e/c propedeutico all’addebito degli interessi, richiede la disponibilità del messaggio inviato, degli allegati e dei relativi rapporti di ricezione, per un periodo di tempo corrispondente e con modalità tali da risultare perfettamente opponibili a controparte e terzi.

Non si tratta pertanto di produrre un semplice file recante messaggio ed allegati, ma al contrario di produrre i suddetti elementi con le modalità alle quali l’ordinamento attribuisce l’efficacia probatoria parificabile alla raccomandata.

Tale effetto può essere conseguito solo ponendo la mole dei documenti spediti in “conservazione a norma”, che consente di certificare la non alterazione dei contenuti e delle varie ricevute di spedizione e ricezione e mantenere pertanto il valore di prova legale della relativa documentazione (art. 43 D.Lgs 7 marzo 2005, n. 82)[7] per tutto il tempo ritenuto necessario.

Tratto contraddistintivo della conservazione è inoltre rappresentato dalla marca temporale.

La marcatura temporale di un documento informatico consiste nella generazione, da parte di una terza parte “fidata” (un soggetto terzo “certificatore”), di una firma elettronica del documento (anche aggiuntiva rispetto a quella del sottoscrittore) cui è associata l’informazione relativa ad una data e ad un’ora certa. La marcatura temporale consente quindi di stabilire l’esistenza di un documento informatico a partire da un certo istante temporale e di opporlo a terzi.

Un file marcato temporalmente contiene il documento del quale si è chiesta la validazione temporale e la marca emessa dall’ente certificatore.

L’articolo 53 del DPCM. del 22/02/2013 (sostituisce art. 49 DPCM 30/03/2009) stabilisce che tutte le marche temporali emesse da un sistema di validazione sono conservate in un apposito archivio non modificabile per un periodo non inferiore a venti anni ovvero, su richiesta dell’interessato, per un periodo maggiore, alle condizioni previste dal certificatore.

I vantaggi rispetto alla tipologia delle singole comunicazioni

L’utilizzo dello strumento, come ripetutamente accennato, produce evidenti vantaggi da apprezzare in particolar modo nella prospettiva del corretto svolgimento della relazione d’affari tra la banca ed il cliente.

I vantaggi si concretizzano nel fugare ogni dubbio in merito alla certa conoscenza (o conoscibilità) da parte del cliente dei mutamenti apportati ai prodotti o servizi bancari in ragione di scelte organizzative, mutamento delle condizioni economiche o precise conseguenze derivanti dall’applicazione di norme di legge.

Possiamo provare ad effettuare una rapida ricognizioni dei principali documenti.

Estratto conto (capitale e scalare).

La veicolazione a mezze Pec consente di avere certezza in ordine alla data di ricezione, dal quale scaturisce il termine dei 60 giorni previsti dall’art. 119, comma 3 del D.Lgs. 385/93 in ordine alla contestazione delle singole scritturazioni.

Al contempo l’estratto conto annuale, ai sensi dell’art. 4, comma 4 del Decreto 343 firmato quale Presidente del CICR dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, ricevuto dal cliente almeno 30 giorni prima del 1 Marzo di ogni anno, consente di procedere all’addebito degli interessi corrispettivi maturati nell’anno precedente durante il fisiologico svolgimento del rapporto di affidamento in conto corrente.

La firma in calce a tale documentazione, secondo la prevalente opinione, può essere apposta a mezzo stampigliatura meccanizzata, ragion per cui non si vedono ostacoli particolari a veicolare l’estratto conto con il medesimo layout ad oggi utilizzato per la produzione cartacea, anche a prescindere da una firma digitale[8] apposta sul singolo documento.

Ovviamente laddove la struttura organizzativa lo consenta, pur prescindendo dall’effettiva ed incontrovertibile necessità  risulterà comunque possibile associare, oltre alla firma digitale apposta sul messaggio Pec da parte del provider, anche l’ulteriore firma digitale apposta direttamente dalla banca sul singolo documento allegato.

Le predette considerazioni possono essere estese anche alla ulteriore documentazione di seguito analizzata.

Proposte di modifica unilaterale delle condizioni economiche e normative

Anche le Proposte di Modifica Unilaterale delle condizioni (PMU economiche e normative) contemplate dagli artt. 118 e 126 sexies del D.Lgs. 385/93 possono giovarsi proficuamente dello strumento Pec.

La normativa succintamente richiamata prevede infatti che al cliente venga riconosciuta la possibilità di recedere dal rapporto, laddove non ritenga giustificate le predette modifiche, entro 60 giorni dalla ricezione della proposta.

Il vantaggio della soluzione Pec nel caso di specie è da rintracciare oltre che nella data “certa” per l’esercizio del diritto di recesso, anche nella possibilità di veicolare con la medesima certezza documenti particolarmente complessi conseguenti, ad esempio, alla modifica delle condizioni normative (quindi le clausole e non solo le condizioni economiche).

Questo consentirebbe al cliente di avere sempre a disposizione testi aggiornati di tutti gli articolati contrattuali, con evidente vantaggio per la gestione trasparente della relazione d’affari durante tutto il corso dello svolgimento del rapporto.

Preavvisi di registrazione nei SIC

Come per la documentazione precedentemente passata in rassegna anche i preavvisi di registrazione nei Sistemi di Informazione Creditizia possono essere efficacemente gestiti con lo strumento della Pec.

Al riguardo il recente provvedimento del Garante della Privacy del 26 ottobre 2017 richiama espressamente lo strumento elettronico come modalità alternativa alla raccomandata A.R. per preavvertire il cliente dell’imminente registrazione dei propri dati riferiti a ritardi nei pagamenti nell’ambito di una banca dati consultabile dagli operatori del settore.

Il Provvedimento dell’Autority per la prima volta qualifica espressamente come atto recettizio il preavviso di registrazione (ex. art. 1334 e 1335 c.c.), intendendo con il parere risolvere le numerose diatribe in argomento portate all’attenzione della magistratura e dell’Arbitro Bancario e Finanziario.

L’autority precisa che “In alternativa all’invio delle comunicazioni a mezzo posta di uso tradizionale (quali la raccomandata con ricevuta di ritorno e il telegramma, strumenti espressamente previsti dall’art. 9-bis della legge 12 dicembre 1990, n. 386 per il preavviso di iscrizione nella Centrale di Allarme Interbancaria-CAI in caso di emissione di assegni in mancanza di provvista), gli operatori si potranno avvalere dei mezzi considerati legalmente equivalenti, come la posta elettronica certificata. Ovviamente saranno anche considerati correttamente ricevuti i preavvisi che risulteranno noti all’interessato in virtù di successivi comportamenti significativi di quest’ultimo”.

Preavvisi di registrazione e revoca di sistema ai fini della Centrale d’Allarme Interbancaria

Come visto tale tipologia di documenti (preavvisi CAI) viene utilizzata dal Garante come paradigma della documentazione da trasmettere a mezzo raccomandata A.R. o telegramma, in quanto strumenti previsti dall’art. 9-bis della legge 12 dicembre 1990, n. 386, ai quali vengono parificati gli strumenti legalmente equivalenti rappresentati dalla Pec.

Pochi dubbi possono pertanto permanere riguardo all’utilizzo dello strumento elettronico considerata l’espressa presa di posizione dell’Autority.

In tale ambito, al contrario, dovrà prestarsi la massima attenzione alla circostanza che una parte consistente dei soggetti operanti con assegni non ha la qualifica di imprenditore tenuto a dotarsi di indirizzi Pec.

Pertanto nei confronti di clientela consumer il ricorso alla Pec risulterà possibile solo dietro specifica manifestazione di volontà formata dal cliente il quale si è volontariamente dotato di indirizzo Pec, magari opportunamente stimolato al riguardo dalla stessa banca.

Revoche di varia natura (ad ex. affidamenti) ed altre comunicazioni aventi natura negoziale.

L’elemento discriminante da ricercare in questa categoria di comunicazione è da correlare alla natura più propriamente negoziale delle stesse, in quanto direttamente destinata ad andare ad incidere sulle caratteristiche del rapporto in virtù di precise manifestazioni di volontà dei contraenti, piuttosto che frutto di automatiche conseguenze a situazioni pre-disciplinate dalle diverse normative.

In tali circostanze assume pertanto una maggiore rilevanza la possibilità di riferire con certezza la manifestazione di volontà ad un soggetto ben individuabile e determinato, dotato delle relative prerogative e senza possibilità di ripudiare la manifestazione di volontà espressa.

In tali situazioni si appalesa come maggiormente rispettoso della normativa la possibilità di associare al documento trasmesso tramite Pec anche l’apposizione della firma digitale sul documento allegato, dal quale scaturiscono precise conseguenze imputabili alla manifestazione di volontà dell’autore della comunicazione medesima.

Conclusioni

L’informatica ha da sempre giocato un ruolo di grande importanza nell’ambito dei processi organizzativi del sistema bancario. Oggi diviene rilevante anche all’interno del più tradizionale mondo giuridico al quale si riconnettono gli effetti delle singole comunicazioni dovute dagli intermediari.

Le trasmissioni telematiche si basano su una tecnologia in grado di garantire aspetti che un tempo erano demandati esclusivamente ad epicentri di pubblica fede, come l’ufficiale giudiziario per il procedimento di notificazione oppure il servizio postale per le spedizioni raccomandate.

Peraltro, ad onor del vero e come acutamente osservato la normativa, nonostante gli sforzi degli ultimi anni del legislatore per rafforzare il processo di informatizzazione, non regoli ancora del tutto bene lo scenario italiano relativo alla Posta Elettronica Certificata: finora non si è data molta importanza al fatto che un utente abbia letto o meno un messaggio, al caso in cui trascorsi 30 mesi il gestore può cancellare i file di log e, se l’utente ha smarrito o erroneamente cancellato le ricevute, quest’ultimo non ha nessun mezzo che fornisca la prova dell’avvenuta comunicazione o ancora permangono dubbi circa la possibilità di poter veicolare la documentazione all’indirizzo Pec depositato al Registro imprese[9].

Sarà compito del legislatore, quindi, intervenire in tempi ragionevoli regolando anche questi aspetti della disciplina, ferma la possibilità di utilizzare soluzioni organizzative volte a marginalizzare detti rischi.

La speranza è che oltre al muoversi in ambito legislativo, in maniera consona e adeguata, ci sia anche un movimento parallelo da parte di chi dovrà poi utilizzare questi strumenti, per accelerare ulteriormente il processo.

Risulterebbe poco avveduto non profittare di tali possibilità.


[1] La posta elettronica certificata consente l’invio di messaggi la cui trasmissione e’ valida agli effetti di legge (Art. 4 comma 1 DPR 68/2005).

[2] La PEC è diventata un obbligo per tutte le imprese dopo la conversione del Decreto Legge 179/2012 nella Legge 221/2012 che si affianca alle indicazioni contenute nella Legge 2/2009.

[3] E’ il tema sensibile del c.d. anatocismo bancario rispetto al quale la formale comunicazione degli interessi corrispettivi maturati si caratterizza come l’elemento scatenante l’addebito, quasi a titolo di avveramento di una condizione  sospensiva apposta all’autorizzazione già rilasciata, ovvero come elemento propedeutico al rilascio ex novo dell’autorizzazione medesima.

[4] Si tratta, chiedendo scusa nell’approssimazione dei termini utilizzati, di una stringa binaria di dimensione fissa che mappa i dati di qualunque lunghezza contenuti nel complessivo messaggio PEC. Il processo di produzione è unidirezionale e quindi non invertibile, garantendo la non alterazione dei contenuti e quindi indirettamente la genuinità del messaggio.

[5] La dimostrazione che una raccomandata sia stata ricevuta dal destinatario non vale di per sè a dimostrare quale fosse il contenuto della lettera; pertanto, in caso di contestazione, è onere di chi pretende che da quella ricezione siano derivati effetti giuridici dimostrare il reale contenuto della lettera.

[6] Anche secondo l’art. 2220 del codice civile i documenti e le scritture contabili devono essere conservati per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione e, con particolare riferimento all’art. 2214 dello stesso codice, si impone di “conservare ordinatamente per ciascun affare” la corrispondenza ricevuta e spedita oltre alle fatture e alle scritture contabili.

[7] Art. 43 CAD “I documenti degli archivi, le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o documento di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, ove riprodotti su supporti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se la riproduzione e la conservazione nel tempo sono effettuate in modo da garantire la conformità dei documenti agli originali e la loro conservazione nel tempo, nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’ articolo 71

[8] Art. 1 CAD: s) firma digitale: un particolare tipo di firma qualificata basata su un [certificato qualificato e] su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrita’ di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici

[9] Cassol Mattero: “La posta elettronica certificata” Università degli studi di Padova.


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Gianluca Mazzarini

Capo area normativa della Federazione Marchigiana delle BCC con compiti di coordinamento delle funzioni Compliance, AML e Normativa finanziaria e diretta responsabilita' della Consulenza Legale e Societaria. Responsabile Ufficio Reclami. Formatore iscritto all'Albo Docenti di Accademia BCC. Componete del Collegio dei Probiviri di numerose BCC

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