La posizione giuridica sostanziale e processuale del controinteressato…

La posizione giuridica sostanziale e processuale del controinteressato…

…nell’ambito del procedimento amministrativo e nei giudizi di primo grado, di appello, di opposizione di terzo e di ottemperanza, specie in caso di sopravvenienze, con particolare riguardo alle procedure di evidenza pubblica e alle controversie conseguenziali.

Il provvedimento amministrativo, accanto ai caratteri della tipicità, esecutività ed esecutorietà, presenta un’efficacia particolarmente ampia, in grado di incidere non solo sul diretto interessato dello stesso, ma anche su altri soggetti.

Ciò è tipico non solo dei provvedimenti normativi o degli atti amministrativi generali, in grado di produrre effetti erga omnes ovvero verso una collettività determinata, bensì anche dei provvedimenti amministrativi con contenuto puntuale e concreto, rivolti a uno specifico destinatario.

La produzione di tali effetti nei confronti di soggetti terzi può atteggiarsi diversamente a seconda delle conseguenze che essi producono sulla sfera giuridica di questi ultimi.

A tal proposito, dottrina e giurisprudenza distinguono la posizione giuridica del cointeressato da quella del controinteressato, fornendone distinte definizioni. Infatti, il cointeressato sarebbe individuato nel soggetto titolare di una posizione giuridica similare o analoga a quella del destinatario del provvedimento. Pertanto egli, pur non inciso direttamente dall’atto amministrativo, potrebbe comunque far valere il proprio interesse in sede processuale, intervenendo ad adiuvandum e sostenendo le ragioni del ricorrente principale.

Inoltre, il cointeressato potrebbe esercitare i propri diritti di partecipazione al procedimento amministrativo, in quanto portatore di interessi pubblici, privati o diffusi ex art. 9 l. 241/1990. In tal modo la partecipazione del cointeressato potrebbe impedire già a monte l’adozione del provvedimento lesivo, mediante presa visione degli atti del procedimento e presentazione di memorie scritte e documenti, obbligatoriamente valutabili dalla PA.

Appare, invece, totalmente contrapposta la posizione del controinteressato. Analogamente alla figura del cointeressato, la mancanza di una nozione legislativa di controinteressato ha reso necessario l’intervento interpretativo della dottrina e della giurisprudenza amministrativa.

Secondo l’impostazione ormai consolidata il controinteressato sarebbe individuabile sia nel soggetto portatore di un interesse opposto e contrario a quello del destinatario del provvedimento amministrativo, sia nel soggetto individuato e facilmente individuabile nel provvedimento stesso. Si sviluppa in tal modo una nozione unitaria di controinteressato caratterizzata tuttavia da una duplicità di aspetti: da un lato, l’elemento sostanziale del pregiudizio derivante  dal provvedimento e il conseguente interesse contrario a quello del destinatario dello stesso; dall’altro, l’elemento formale, risultante dall’individuazione del controinteressato nello stesso atto amministrativo.

Analogamente alla posizione giuridica del cointeressato, il legislatore ha individuato apposite forme di tutela procedimentale e processuale anche in favore del controinteressato.

Si ritiene, infatti, applicabile anche in tal caso l’art. 9 l. 241/1990, il quale consente ai titolari di interessi pubblici, privati o diffusi, di intervenire nel procedimento amministrativo, nonché l’art. 10 l. 241/1990, il quale attribuisce ai partecipanti il diritto di prendere visione degli atti procedimentali e di presentare memorie scritte e documenti.

Inoltre i controinteressati ricevono notizia dell’avvio del procedimento direttamente dalla PA, qualora si tratti di soggetti individuati o facilmente individuabili pregiudicati dal provvedimento e ove non sussistano particolari ragioni di impedimento derivanti da esigenze di celerità, come dispone espressamente l’art. 7 l. 241/1990.

In sede processuale, invece, i controinteressati risultano destinatari della notifica del ricorso da parte del ricorrente, a pena di decadenza. Infatti, l’art. 41 c. 2 c.p.a., riprendendo l’abrogato art. 21 c. 1 l. 1034/1971, impone al ricorrente che proponga azione di annullamento di notificare il ricorso alla PA e ad almeno uno dei controinteressati individuato nell’atto stesso.

Il legislatore dimostra in tal modo di condividere la nozione di controinteressato in senso formale e sostanziale, preoccupandosi inoltre di garantire l’integrità del contraddittorio in giudizio, ex art. 111 Cost., 2 e 39 c.p.a e 101 c.p.c.

Ciò risulta anche dalle norme in materia di intervento, sia volontario che iussu iudicis, ex artt. 50 e 51 c.p.a., nonché dall’art. 49 c.p.a., il quale disciplina l’ipotesi della presenza di più controinteressati ai quali non sia stato notificato il ricorso, ex art. 41 c. 2 c.p.a.

In tal caso, infatti, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati pretermessi, salvo che il ricorso sia inammissibile, irricevibile, improcedibile o infondato. In caso di mancata notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio nel termine fissato dal giudice, l’esito del processo sarà inevitabilmente una pronuncia di improcedibilità ex art. 35 c. 1 l. c) c.p.a.

L’integrazione del contraddittorio è, dunque, ammessa esclusivamente in favore dei controinteressati pretermessi e giammai nei confronti della PA che ha adottato l’atto, come risulta dall’art. 41 c. 2 c.p.a. e dagli abrogati artt. 15 e 16 R.D. 642/1907, i quali dispongono in tal caso l’irricevibilità del ricorso.

In presenza di numerosi controinteressati da chiamare in giudizio, tali da rendere particolarmente difficile la notifica del ricorso, il legislatore ammette la notifica per pubblici proclami, ex artt. 41 c. 4 e 49 c. 3 c.p.a.

Inoltre il legislatore del codice del processo dirime un intenso dibattito incentrato sull’ammissibilità della figura del controinteressato in presenza di un’azione di condanna e di un’azione avverso il silenzio-inadempimento della PA.

Nel primo caso, infatti, si riteneva non necessaria la notifica ad almeno un controinteressato, trattandosi unicamente di un’azione di condanna e pertanto non diretta all’eliminazione di un provvedimento amministrativo. Tuttavia l’art. 41 c. 2 ultimo periodo c.p.a. impone la notifica del ricorso altresì agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo, anche in presenza di un’azione di condanna proposta in via autonoma ex art. 30 c.p.a., disponendo inoltre l’applicabilità dell’art. 49 c.p.a.

Analoghe conclusioni sono emerse in sede di azione avverso il silenzio-inadempimento, ex artt. 31 e 117 c.p.a.

Infatti risulta ormai superato il tradizionale orientamento che escludeva la configurabilità di controinteressati nel rito avverso il silenzio, soprattutto a motivo della mancanza di un provvedimento formale e dell’assenza di un effettivo pregiudizio nella sfera giuridica dei terzi, in difetto di qualsiasi significato in termini di assenso o di diniego attribuibile a tale inerzia.

Il superamento di tale tesi si rinviene espressamente nell’art. 117 c.p.a., il quale richiede anche per il rito avverso il silenzio la notifica del ricorso all’amministrazione e ad almeno un controinteressato, riprendendo così la norma generale di cui all’art. 41 c. 2 c.p.a. In tal caso, infatti, il controinteressato risulta individuabile nel soggetto che subirebbe un pregiudizio dall’accoglimento del ricorso avverso il silenzio, ossia dalla pronuncia sulla fondatezza della pretesa in presenza delle condizioni di cui all’art. 31 c. 3 c.p.a.

Dalla notifica del ricorso principale i controinteressati possono proporre domande mediante ricorso incidentale, nel termine ordinario di 60 giorni. SI tratta di domande strettamente dipendenti dal ricorso principale, in quanto in mancanza di quest’ultimo il controinteressato non vanterebbe alcun interesse ad impugnare.

Ciò risulta confermato dell’art. 42 c. 1 c.p.a. e dal vecchio art. 37 R.D. 1054/1924, il quale sanciva espressamente l’inefficacia del ricorso incidentale in caso di rinuncia o inammissibilità del ricorso principale.

Sulla natura del ricorso incidentale la giurisprudenza ha avanzato differenti interpretazioni.

Secondo una prima tesi il ricorso incidentale avrebbe natura di eccezione in senso stretto, in quanto volto ad contrastare le domande e le dichiarazioni rese da controparte nel ricorso principale. Pertanto la funzione principale del ricorso incidentale sarebbe quella di opporre fatti e circostanze modificative, impeditive od estintive del diritto del ricorrente.

Secondo altra impostazione, invece, il ricorso incidentale assumerebbe natura di domanda, come risulterebbe dal tenore letterale dell’art. 42 c. 1 c.p.a. Infatti anche il controinteressato potrebbe introdurre in giudizio domande nuove, purché strettamente dipendenti e connesse alle questioni dedotte dal ricorrente principale.

Sulla natura del ricorso incidentale è intervenuto anche il Consiglio di Stato, il quale ha assunto una posizione intermedia, qualificando il ricorso incidentale come atto dalla natura mista, sia di eccezione, se finalizzato unicamente a contestare la domanda attorea, sia di azione, se diretto ad impugnare atti connessi e attinenti all’oggetto principale del giudizio.

Nel corso del giudizio il controinteressato può presentare memorie, fare istanze, produrre documenti e introdurre nuove argomentazioni o nuove domande mediante lo strumento dei motivi aggiunti, ex artt. 43 e 46 c.p.a., nonché ex artt. 21 e 22 l.Tar.

In caso di soccombenza in primo grado, il controinteressato può proporre appallo davanti al Consiglio di Stato, ex artt. 95 e 102 c.p.a. La prima disposizione distingue tra cause inscindibili e cause scindibili, prescrivendo soltanto per le prime la notifica a tutte le parti in causa, mentre per le seconde risulta sufficiente la notifica alle sole parti che hanno interesse a contraddire. In ogni caso, tuttavia, il rispetto del contraddittorio è garantito mediante l’intervento del giudice ex art. 95 c. 2 c.p.a.

L’art. 102 c.p.a., invece, specifica la composizione del contraddittorio nel giudizio di appello, limitandone la legittimazione alle sole parti fra le quali sia stata pronunciata sentenza di primo grado. In tal modo il legislatore del c.p.a. ha assunto una netta posizione in relazione al dibattito sull’ammissibilità del c.d. “appello del terzo”, sorto durante la vigenza della l.Tar e del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato. Infatti, al fine di garantire maggiori tutele al controinteressato pretermesso ed estraneo al giudizio di prime cure, una parte della giurisprudenza ammetteva l’esperibilità del rimedio dell’appello da parte di quest’ultimo, in evidente deroga al principio di relatività degli effetti della sentenza, ex art. 2909 c.c. Tale rimedio si affiancava a quello dell’intervento volontario ad opponendum ex artt. 22 l.Tar e 37 e ss. R.D. 642/1907 e alle garanzie partecipative procedimentali, finalizzate ad impedire a monte l’adozione dell’atto lesivo.

In particolare, il terzo legittimato a proporre appello risultava inquadrabile: nel controinteressato non facilmente individuabile né individuato dal provvedimento; nel controinteressato sopravvenuto a seguito dell’adozione di un nuovo provvedimento amministrativo, ovvero di una sentenza; nonché nel controinteressato individuabile ma tuttavia non individuato né citato nel giudizio di primo grado.

Pertanto, l’espressa delimitazione della legittimazione a proporre appello, riconosciuta soltanto in favore delle parti del primo grado, ha superato totalmente la tesi dell’appello del terzo, optando invece per il mantenimento dell’intervento del terzo e per l’introduzione di un rimedio ad hoc predisposto appositamente a tutela del terzo.

Si tratta, infatti, dell’opposizione di terzo, disciplinata dagli artt. 108 e 109 c.p.a. e ricalcante l’omologo rimedio previsto dagli artt. 404 e ss. c.p.c.

Il primo comma dell’art. 108 c.p.a. legittima il terzo pregiudicato da una sentenza inter alios a proporre opposizione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Tale disposizione si ispira all’art. 404 c. 1 c.p.c., disciplinante l’opposizione di terzo ordinaria e riguardante sentenze esecutive, ancorché passate in giudicato, pronunciate tra altri soggetti. Il termine per impugnare decorre dalla notifica della sentenza ex art. 92 c. 1 c.p.a., analogamente all’omologo istituto processual-civilistico, ai sensi dell’art. 326 c. 1 c.p.c.

La versione originaria dell’art. 108 c.p.a. prevedeva tuttavia l’ulteriore requisito della titolarità in capo al terzo di una posizione autonoma e incompatibile, sulla cui portata sono emerse non poche perplessità. Il correttivo al codice, ai sensi dell’art. 1 d.lgs. 195/2011, ha abrogato tale specificazione, contribuendo così a collegare il rimedio dell’opposizione di terzo con quello dell’intervento in appello ex art. 102 c. 2 c.p.a. Pertanto, la titolarità di una posizione giuridica autonoma rileva unicamente in sede di intervento in appello e non più come condizione necessaria al fine di una valida opposizione di terzo.

Inoltre, accanto al rimedio ordinario l’art. 108 c. 2 c.p.a. disciplina l’opposizione di terzo revocatoria, allineandosi così all’art. 404 c. 2 c.p.c. Si tratta del medesimo mezzo di impugnazione posto tuttavia a tutela dei soli aventi causa e creditori di una delle parti.

In tal caso il termine per proporre impugnazione decorrerà dalla scoperta del dolo o della collusione a danno dei ricorrenti, come dispone espressamente l’art. 92 c. 2 c.p.a.

Inoltre, la radicale preclusione del terzo a proporre appello si evince dall’art. 109 c. 2 c.p.a., il quale dispone la prevalenza del giudizio di appello in caso di proposizione contestuale del giudizio di secondo grado e del giudizio di opposizione di terzo. Pertanto quest’ultimo non proseguirà autonomamente, potendo il terzo far valere i propri interessi in sede di appello, entro il termine fissato dal giudice.

L’attenzione del legislatore del c.p.a. nei confronti del terzo riappare anche in sede di ottemperanza, ex artt. 112 e ss. c.p.a. Si tratta di un rimedio misto, di natura cognitiva ed esecutiva, finalizzato principalmente ad ottenere l’esecuzione delle sentenze, esecutive o passate in giudicato, adottate dal g.a., ovvero soltanto passate in giudicato se adottate da altri plessi giurisdizionali.

In primo luogo la presenza del controinteressato può emergere in caso di adozione di nuovi atti amministrativi da parte della PA, in attuazione del giudicato o della sentenza esecutiva del g.a.

Secondo una prima tesi, qualora tali atti risultino violativi o elusivi del giudicato, il terzo sarebbe legittimato a proporre il giudizio di ottemperanza, al fine di far dichiarare nulli tali atti, ex art. 114 c. 4 l. b) c.p.a.

Secondo la tesi maggioritaria, invece, tali atti sarebbero impugnabili dal terzo esclusivamente con ricorso ordinario ex art. 29 c.p.a., spettando l’azione ex art. 114 c. 4 l. b) c.p.a. unicamente alle parti del giudicato.

Tale problematica appare invece risolta più pacificamente per le parti tra le quali è stata emessa sentenza, in quanto in tal caso si ritiene necessario distinguere tra riedizione del potere e nuovo esercizio dello stesso, nonché tra attività vincolata e attività discrezionale.

Infatti la declaratoria di nullità ex art. 114 c. 4 l. b) c.p.a. sarebbe limitata ai soli atti già oggetto di giudicato, integranti un’attività vincolata per la PA, mentre in presenza di aspetti non toccati dal giudicato vi sarebbe discrezionalità amministrativa e nuovo esercizio del potere, sindacabile ex art. 29 c.p.a.

Inoltre, la tutela del terzo viene in rilievo in presenza di atti adottati dal commissario ad acta, nell’esercizio del potere surrogatorio nei confronti della PA rimasta inadempiente. Tale ipotesi appare oggi disciplinata dall’art. 114 c. 6 ultimo periodo, introdotto dall’art. 1 d.lgs. 195/2011, consentendo al terzo estraneo al giudicato di impugnare gli atti a lui pregiudizievoli adottati dal commissario ad acta mediante ricorso ordinario ex art. 29 c.p.a.

I rimedi così delineati dal codice del processo amministrativo allo scopo di tutelare il terzo pregiudicato da provvedimenti giurisdizionali o amministrativi adottati inter alios, hanno assunto una particolare portata applicativa in materia di sopravvenienze nel procedimento di evidenza pubblica.

Le sopravvenienze, infatti, incidono in particolar modo sui rapporti di lunga durata, andando a modificare la situazione originaria che ha condotto all’adozione di una pronuncia giurisdizionale o di un provvedimento amministrativo. Esse possono presentarsi come sopravvenienze di fatto, come nel caso di nuova valutazione dell’interesse pubblico o mancanza improvvisa di fondi pubblici da destinare al finanziamento di appalti, ovvero di diritto, derivanti dall’introduzione di nuove norme nell’ordinamento, anche di origine comunitaria.

La giurisprudenza amministrativa ha differenziato le due tipologie di sopravvenienze quanto agli effetti da esse prodotti sul giudicato amministrativo. Infatti il contemperamento tra certezza del diritto e stabilità delle situazioni giuridiche soggettive da un lato, e la tutela dell’affidamento e della parità di trattamento all’altro, ha condotto ad ammettere la rilevanza delle sopravvenienze di diritto fino al momento della notifica della sentenza da eseguire.

Viceversa, esigenze di ragionevolezza e di inesigibilità della prestazione in caso di impossibilità ad adempiere hanno reso sempre e comunque rilevanti le sopravvenienze fattuali, nonostante il superamento del predetto limite temporale.

Pertanto, nonostante voci contrarie volte ad equiparare le due tipologie di sopravvenienze, permangono limitazioni temporali in merito all’efficacia delle sopravvenienze di diritto sul giudicato, mentre quelle di fatto si ritengono rilevanti senza alcuna limitazione.

Nel caso specifico dell’evidenza pubblica, il terzo controinteressato può tutelarsi avverso una sopravvenienza a lui pregiudizievole mediante ricorso incidentale “oppositivo” o “preclusivo”. In tal modo le censure contenute nel ricorso risultano finalizzate a escludere il ricorrente principale dalla partecipazione alla gara, contestando la legittimazione processuale di quest’ultimo.

Più complessa appare tuttavia l’ipotesi in cui anche il ricorrente principale censuri la legittimazione processuale del ricorrente incidentale, contestando la mancanza dei requisiti di partecipazione richiesti dal bando di gara.

In tale ipotesi, infatti, è sorto un dibattito circa la priorità del ricorso da esaminare: secondo alcune pronunce del Consiglio di Stato occorrerebbe esaminare per primo il ricorso incidentale, in quanto questione pregiudiziale prioritaria rispetto al merito del giudizio; secondo altre sentenze, invece, prioritario sarebbe il ricorso principale, in virtù del principio della domanda ex artt. 99 e ss. c.c.

La questione è stata oggetto anche di due interventi della Corte di Giustizia a breve distanza di tempo l’uno dall’altro.

Nella prima pronuncia la Corte EU ha sostenuto che la priorità dell’esame del ricorso incidentale non potrebbe di per sé precludere l’analisi del ricorso principale qualora si tratti di censure analoghe dedotte da due concorrenti in gara, nell’ambito del medesimo procedimento. Peraltro la pronuncia della Corte di Giustizia ha subito un evidente ridimensionamento della sua portata applicativa per effetto di un ulteriore intervento dell’Adunanza Plenaria.

Il Supremo Consesso, infatti, ribadendo l’esame prioritario del ricorso incidentale, ha ricondotto le ipotesi delineate dalla Corte UE a situazioni del tutto eccezionali, caratterizzate dall’identità del vizio censurato e dal medesimo procedimento in cui il primo si sarebbe verificato.

Inoltre l’Adunanza Plenaria ha individuato tre distinte fasi procedimentali ai fini dell’applicazione della pronuncia della Corte UE: integrità dei plichi e tempestività delle domande; possesso dei requisiti di partecipazione; possesso dei requisiti nell’offerta.

Nella seconda pronuncia, invece, la Corte UE ha precisato l’esatta portata dell’obbligo di esaminare entrambi i ricorsi, non limitandolo ai soli casi di gara svolta tra due soli partecipanti, ma estendendolo indipendentemente dal numero degli stessi.


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