La possibilità di mentire nel procedimento penale
Durante il dibattimento (art. 503 c.p.p.) o nel caso d’incidente probatorio (art. 392 c.p.p.) può essere disposto l’esame delle parti che ne abbiano fatto richiesta o che vi abbiano consentito.
Tale esame, in quanto mezzo di prova, attiene alle dichiarazioni rese in qualità di parte processuale (imputato, parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) e, a differenza di quanto avviene per la testimonianza, esso deve essere contemperato in maniera più pregnante dalle esigenze di difesa previste dall’art. 24 della Costituzione.
Nel nostro ordinamento è infatti riconosciuto il diritto della parte esaminata di mentire, in quanto non sussistono sulla stessa gli obblighi presenti in capo al testimone. Essa dunque non ha l’obbligo di dire la verità o l’obbligo di rispondere, né l’obbligo di presentarsi davanti al giudice.
Il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., secondo un’interpretazione sistematica che tiene conto delle correnti dottrinali e della prassi, si traduce nella facoltà dell’imputato di difendersi nei modi e nelle modalità che ritiene più opportuni e convenienti.
Non sarà considerato responsabile penalmente anche laddove renda una ricostruzione della sua condotta o dei fatti difforme al vero, in quanto in tale circostanza non sussiste un obbligo giuridicamente rilevante in capo alla parte.
Non viene difatti richiamato il dettato di cui all’art. 497, comma 2, c.p.p., il quale stabilisce che prima che l’esame del testimone abbia inizio, vi debba essere l’avvertimento del Presidente dell’obbligo di dire la verità, il quale preceda il giuramento da parte del teste.
L’imputato non viene avvertito di tale obbligo né delle responsabilità ad esso conseguenti per chi deponga il falso, sia reticente o non presti giuramento.
In ordine invece all’imputato in un procedimento connesso e all’imputato in un procedimento collegato, nel caso in cui rendano dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui, assumeranno la qualità di testimone, perdendo di conseguenza il diritto al silenzio e la possibilità di rendere dichiarazioni non veritiere.
Orbene, è possibile dunque individuare un aspetto attivo nella possibilità di mentire nel procedimento penale, nel quale l’imputato si presti all’esame senza un’obbligo di verità, e un aspetto passivo quando eserciti il diritto al silenzio come strategia difensiva.
Gli unici limiti all’esercizio del diritto di mentire risiedono nei reati di calunnia (art. 368 c.p.), commesso da chi incolpa di un reato una persona pur sapendo che è innocente, e di simulazione di reato (art. 367 c.p.), commesso da chi affermi che sia avvenuto un reato che nessuno ha commesso.
In particolare, la “falsa testimonianza” è un reato proprio di chi riveste la qualifica di testimone, peraltro incompatibile con la qualifica di parte processuale.
Inoltre, l’imputato che renda false dichiarazioni al fine di commettere altri reati, beneficia altresì della causa di non punibilità in favore di chi agisce per salvarsi o salvare un prossimo congiunto da un grave e inevitabile pericolo nella libertà o nell’onore, come nel caso di autocalunnia (art. 384, comma 1, c.p.).
Ne consegue che l’applicabilità del principio secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, sancisce che, laddove la legge non abbia previsto un obbligo di dire la verità, l’ordinamento concede all’imputato e alle parti private la possibilità di mentire.
L’imputato avrà quindi la facoltà di non rispondere, di rispondere a singole domande, di mentire o tacere.
Tali facoltà tuttavia prevedono ugualmente che ne venga fatta menzione nel verbale di udienza e che quindi il comportamento dell’imputato o della parte privata sarà considerato argomento di prova in merito alla credibilità dei medesimi.
Al riguardo, occorre precisare che, in tale caso, non sussistono paradigmi assiologici e che il silenzio difensivo non può essere interpretato quale confessione tacita di colpevolezza.
Il diritto al silenzio o al tacere circostanze specifiche, rientrano infatti nella garanzia contro l’autoincriminazione.
In tal senso, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che l’esercizio di un diritto processuale non può legittimamente considerarsi come comportamento processuale negativo (Cass. Pen., sez. I, sentenza 9 settembre 2002, n. 30286) e ciò facendo capo anche alla presunzione di innocenza di cui all’art. 27 della Costituzione.
Anche la stessa Corte Costituzionale infatti, con la sentenza. n. 179 del 1994, ha affermato che “l’imputato non solo gode della facoltà di non rispondere, ma non ha nemmeno l’obbligo di dire la verità”.
E’ evidente dunque che l’applicazione del principio nemo tenetur se detegere, si traduca con l’impossibilità giuridica di obbligare taluno ad affermare la propria responsabilità penale.
L’atteggiamento del difensore dell’imputato che, nel caso concreto, decida di fornire la sua ricostruzione dei fatti, richiederà quindi la necessità di tener conto da una parte del divieto per il difensore di introdurre prove che sa essere false nel processo (sanzionato dall’art. 14 del codice deontologico forense), dall’altra dell’art. 380 c.p., il quale punisce la condotta del patrocinatore laddove sia infedele ai suoi doveri professionali, arrecando nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi l’autorità giudiziaria.
Il difensore è infatti obbligato a tutelare gli interessi del proprio assistito nel rispetto del codice deontologico e, laddove ciò produca una “vittoria processuale”, ciò dovrà attenere all’assunto sillogistico secondo il quale l’accusa non sia stata provata al di là di ogni ragionevole dubbio, affinché l’imputato venisse condannato.
In tal caso infatti, nulla toglie che l’imputato abbia fornito una ricostruzione dei fatti non corrispondente al vero, ma che non abbia commesso il fatto, tanto che l’accusa non sia stata in grado di reggere in giudizio.
In conclusione, l’imputato non è vincolato dall’obbligo di rispondere o di rispondere secondo verità, in quanto non sussiste un obbligo giuridicamente rilevante, ma può rendere dichiarazioni mendaci senza incorrere in sanzioni penali.
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