La progressiva erosione da parte della giurisprudenza costituzionale del divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata

La progressiva erosione da parte della giurisprudenza costituzionale del divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata

Sommario: 1. L’istituto della recidiva e la sua natura – 2. Gli interventi della Corte costituzionale sul co. 4 dell’art. 69 c.p.

 

1. L’istituto della recidiva e la sua natura

Come noto, la recidiva è la situazione personale di chi, dopo essere stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per un delitto non colposo, ne commette un altro.

Delle precedenti condanne si tiene conto anche se per esse sia intervenuta una causa di estinzione della punibilità (ed es. prescrizione della pena o indulto) ma non se sia intervenuta una causa estintiva di tutti gli effetti penali (ad es. riabilitazione).

In particolare, la recidiva è un indice della maggiore capacità a delinquere dell’agente, il quale dimostra una volontà persistente nel commettere reati.

Essa si configura, dunque, quale circostanza aggravante soggettiva (ad effetto speciale quando comporta un aumento di penale superiore ad un terzo) in quanto inerente alla persona del colpevole e sintomo della sua pericolosità sociale. L’art. 99 c.p. distingue quattro tipologie di recidiva: semplice, aggravata, pluriaggravata e reiterata.

La prima prevede un aumento di un terzo della pena da infliggere allorquando l’agente, dopo la condanna irrevocabile per un delitto non colposo, ne commette un altro.

La recidiva aggravata, invece, che può comportare un aumento di pena fino alla metà, ricorre nell’ipotesi in cui il nuovo delitto non colposo sia della stessa indole di quello precedente (c.d. recidiva specifica) o sia stato commesso nei cinque anni dalla pregressa condanna (c.d. recidiva infraquinquennale) o, ancora, sia stato posto in essere durante o dopo l’esecuzione della pena (c.d. recidiva vera) ovvero durante il tempo in cui il condannato si sia sottratto volontariamente all’esecuzione della pena (c.d. recidiva finta).

Nel caso in cui concorrano più circostanza fra quelle sopra menzionate si configura l’ipotesi pluriaggravata che può comportare un aumento di pena della metà.

Infine, la recidiva reiterata, prevista dall’art. 99 comma 4 c.p., riguarda il soggetto già recidivo che commette un altro delitto non colposo. In tal caso l’aumento di pena è della metà se la preesistente recidiva è semplice, di due terzi se è aggravata.

In particolare, l’applicazione della recidiva reiterata comporta conseguenze non solo in punto di determinazione della pena ma anche in riferimento agli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto di giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti di cui all’art. 69 co. 4 c.p., dal limite minimo di aumento di pena in caso di concorso formale o reato continuato di cui all’art. 81 ult. co. c.p., nonché dal divieto di patteggiamento allargato ex art. 444, co. 1 bis c.p. qualora la pena da irrogare sia superiore a 2 anni.

Come affermato da diverse pronunce giurisprudenziali sul punto, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ribadito, con la nota sentenza n. 35738/2010 (Calibè), che la recidiva, anche quella reiterata, conserva ancora – nonostante la nuova formulazione dell’art. 99 co. 4 c.p. conseguente alla l. 205/2005 – natura di circostanza aggravante facoltativa, con conseguente possibilità per il giudice di escluderla laddove la commissione del nuovo reato non appaia in concreto sintomatica di una maggiore riprovevolezza e pericolosità sociale dell’agente.

Peraltro, recentemente, la Corte costituzionale, avallando la suddetta interpretazione, è intervenuta con la sentenza n. 185 del 23/07/2015 con la quale ha dichiarato l’illegittimità del quinto comma dell’art. 99 c.p. nella parte in cui prevede l’aumento di pena come obbligatorio nelle ipotesi in cui il nuovo delitto non colposo rientri tra quelli indicati nell’art. 407 co. 2, lett. a) c.p.p. (tra i quali, ad esempio, associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, omicidio doloso, rapina aggravata, estorsione aggravata).

Ad oggi, dunque, l’aumento di pena per la recidiva deve considerarsi sempre facoltativo e impone al giudice di accertare se il fatto commesso risulti in concreto espressione di una maggiore colpevolezza e pericolosità sociale del prevenuto.

2. Gli interventi della Corte costituzionale sul comma quarto dell’art. 69 c.p.

L’art. 69 c.p. è la norma di parte generale che regola il concorso di più circostanze di segno opposto in una medesima fattispecie concreta. Essa introduce il c.d. giudizio di bilanciamento delle circostanze, a mente del quale il giudice non applica alcuna circostanza se ritiene che vi sia equivalenza tra aggravanti e attenuanti, ovvero tiene conto degli aumenti o delle diminuzioni di pena quando nel caso concreto reputi prevalenti, rispettivamente, le aggravanti o le attenuanti.

Il comma quarto di tale norma esclude, tra gli altri, la prevalenza delle circostanze attenuanti con la recidiva reiterata ex art. 99 co. 4 c.p., con la conseguenza che, ove il giudice ritenga di applicare quest’ultima, le eventuali circostanze attenuanti dovranno essere ritenute necessariamente subvalenti o al più equivalenti rispetto alla recidiva.

Il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata è stato oggetto, a partire dal 2012, di una progressiva erosione da parte della giurisprudenza della Corte costituzionale che ne ha limitato fortemente la portata applicativa.

In particolare, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 c.p. nella parte in cui prevede:

– il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità in materia di produzione, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti di cui all’art. 73 co. 5 del D.P.R. 309/1990 sulla recidiva reiterata (Corte cost. n. 105 del 2012). Tale questione, tuttavia, ha perso rilevanza in seguito all’entrata in vigore del d.l. 146/2013 che nel sostituire il quinto comma dell’art. 73 ha introdotto una autonoma fattispecie di reato rispetto ai fatti di cui ai commi 1 e 1 bis, escludendo così la natura circostanziale dell’ipotesi meno grave;

– il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di ricettazione di particolare tenuità di cui all’art. 648 co. 2 c.p. sulla recidiva reiterata (Corte cost. n. 105/2014);

– il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di violenza sessuale di minore gravità ex 609 bis co. 4 c.p. sulla recidiva reiterata (Corte cost. 106/2014);

– il divieto di prevalenza della circostanza attenuante della collaborazione per i reati di narcotraffico di cui all’art. 73 co. 7 D.P.R. 309/1990 sulla recidiva reiterata (Corte cost. 74/2016);

– il divieto di prevalenza dell’attenuante del danno di particolare tenuità nei reati di bancarotta di cui all’art. 219 co. 3 l.Fall..

Alla luce di tale “metodo casistico” adottato dalla Corte costituzionale, il divieto di subvalenza della recidiva rimane ancora valido per ogni altra circostanza attenuante.

Tuttavia, la giurisprudenza costituzionale ha continuato anche negli ultimi anni l’opera di progressiva erosione del dettato di cui all’art. 69 co. 4 c.p..

In particolare, con la sentenza n. 73 del 24 aprile 2019, la Consulta ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p. sulla recidiva reiterata.

Infine, in seguito alla recentissima sentenza n. 55 del 9 marzo 2021 della Corte costituzionale, è possibile per il giudice dichiarare la prevalenza sulla recidiva reiterata della circostanza attenuante applicabile al correo in caso di concorso anomalo di cui all’art. 116 co. 2 c.p..

La giurisprudenza costituzionale, dunque, ha con il tempo eroso la preclusione introdotta dalla c.d. legge ex Cirielli (n. 251/2005) a proposito del trattamento sanzionatorio del soggetto recidivo ex art. 99 co. 4 c.p. in ossequio al principio costituzionale di determinazione di una pena proporzionata, che implica necessariamente l’applicazione di una sanzione commisurata non solo all’offensività del fatto, ma anche alla sua rimproverabilità soggettiva, valorizzando così il nesso tra proporzionalità e colpevolezza.


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