La promessa del fatto del terzo e le obbligazioni da essa derivanti
Secondo quanto previsto dall’art. 1381 c.c., colui il quale promette il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare il promissario nel caso in cui il terzo non si obblighi ovvero non compia il fatto promesso.
L’istituto costituisce espressione del principio di relatività degli effetti del negozio giuridico, in base al quale l’atto non produce effetti se non per le parti che vi hanno partecipato; il terzo, infatti, non è tenuto ad adempiere la prestazione promessa e del suo inadempimento ne risponde solo il promittente.
Tanto premesso, non è chiaro però quali siano effettivamente le obbligazioni gravanti sul promittente e, in particolare, se esso debba o meno attivarsi affinché il terzo compia la prestazione promessa.
Secondo l’opinione tradizionale, dalla promessa del fatto del terzo deriverebbe certamente l’onere per il promittente di persuadere il terzo a compiere la prestazione che ne costituisce l’oggetto; diversamente, infatti, non si vedrebbe la ragione per la quale taluno dovrebbe promettere la prestazione da parte di un terzo.
Per tale concezione, in particolare, il promittente potrà essere considerato responsabile nei confronti del promissario solo nel caso in cui non sia riuscito nell’opera di persuasione e convincimento del terzo, mentre nessuno addebito potrà essergli mosso nel caso in cui, nonostante una condotta improntata alla diligenza del buon padre di famiglia, non sia riuscito a convincere il terzo ad adempiere la prestazione promessa.
In questo senso, dunque, l’obbligo di pagare l’indennizzo non sussisterebbe in tutte le ipotesi in cui il terzo non compia la prestazione promessa, ma sarebbe dovuto solo nel caso di inadempimento dell’obbligazione di fare in capo al promittente, andando così ad integrare una forma di risarcimento dei danni da questo conseguenti.
Tale impostazione non è invece condivisa dalla più recente giurisprudenza, la quale sottolinea la necessità di distinguere la promessa del fatto del terzo dalla vendita di cosa altrui: è infatti nella vendita di cosa altrui che il venditore si impegna a far acquistare al compratore la proprietà del bene, assumendo così l’onere di attivarsi affinché il terzo glielo trasferisca. Ciò a differenza di quanto avviene invece nella promessa del fatto del terzo, nella quale nessuno obbligo di fare sussiste in realtà in capo al promittente, il quale si limita semplicemente a garantire il pagamento dell’indennizzo nel caso in cui il terzo non compia la prestazione promessa.
Si contesta, d’altronde, la possibilità che l’indennizzo di cui all’art. 1381 c.c. possa essere considerato come una forma di risarcimento del danno: mentre il risarcimento, infatti, implica la totale riparazione dei pregiudizi subiti dal danneggiato, presupponendo la sussistenza di un comportamento illegittimo quale causa del danno; l’indennizzo, al contrario, costituisce una forma di responsabilità da atto lecito e, come tale, non comprende il ristoro di tutti i danni che siano eventualmente derivati dall’atto stesso, quanto una somma costituente l’equivalente monetario dell’interesse pregiudicato.
D’altra parte, si osserva, siffatta interpretazione si pone in contrasto con la lettera della legge, la quale subordina l’obbligo di indennizzo alla mancata esecuzione della prestazione da parte del terzo, senza attribuire invece alcuna rilevanza al comportamento del promittente, che di conseguenza dovrà ritenersi obbligato a prescindere dal fatto che l’inadempimento del terzo sia dovuto alla mancata opera di persuasione.
Da ultimo, adottando tale impostazione ci si chiede allora cosa accadrebbe nel caso in cui, sebbene il promittente non abbia adempiuto all’obbligazione di fare su di esso gravante, e quindi non si sia prodigato nell’opera di persuasione del terzo, questo compia comunque la prestazione promessa.
Sulla base di tali considerazioni, pertanto, secondo un altro orientamento si deve escludere che dalla promessa del fatto del terzo discenda un’obbligazione di fare in capo al promittente e che, di conseguenza, l’indennizzo di cui alla norma in esame possa costituire il risarcimento del danno patito dal promissario per l’inadempimento di tale obbligazione.
Dalla promessa del fatto del terzo, si osserva, conseguirebbe in capo al promittente solo una obbligazione di dare, ossia di garantire il promissario in caso di inadempimento del terzo.
Come specificatamente osservato, si tratterebbe di una garanzia simile a quella assunta dall’assicuratore per i danni subiti dall’assicurato, ovvero avente carattere atipico: al promittente che ha effettuato il pagamento, infatti, è preclusa la possibilità di rivalersi nei confronti del terzo.
Il promittente, pertanto, dovrà essere considerato responsabile nel caso in cui il terzo non compia la prestazione promessa, indipendentemente dal fatto di aver agito o meno al fine di convincere il terzo ad adempiere.
Diversamente da quanto sostenuto da alcuni, secondo i quali cosi ragionando si finirebbe per ammettere una responsabilità per fatto altrui, per tale impostazione l’obbligo di pagare l’indennizzo deriva in realtà dal comportamento del promittente, il quale, ingenerando nel promissario un affidamento incolpevole circa la realizzazione della prestazione, è obbligato a risarcire il danno da questo patito per aver confidato senza colpa nell’esecuzione della prestazione promessa.
Non si tratterebbe, dunque, di una forma di responsabilità per fatto altrui, ma di una responsabilità per fatto proprio, derivante appunto dalla violazione del legittimo affidamento ingenerato nella controparte.
Anche contro tale orientamento si pone però un’importante obiezione: posto che l’interesse prioritario del promissario non può individuarsi in quello di ottenere il pagamento dell’indennizzo, identificandosi piuttosto con quello di ricevere la prestazione promessa, non è concepibile una promessa del fatto del terzo dalla quale non discenda per il promittente l’onere di attivarsi affinché il terzo compia la prestazione promessa.
Secondo l’opinione ad oggi dominante, pertanto, dalla promessa del fatto del terzo discenderebbero in realtà due distinte obbligazioni: una di fare, avente carattere principale, e l’altra di dare, avente natura accessoria. Il promittente, quindi, sarebbe tenuto ad attivarsi al fine di convincere il terzo a compiere la prestazione promessa e, in secondo luogo, a corrispondere l’indennizzo di cui all’art. 1381 c.c. nell’eventualità in cui tale prestazione rimanga inadempiuta.
L’obbligazione di fare, in particolare, non dovrebbe intendersi come un’obbligazione di mezzi, quanto piuttosto di risultato: il suo assolvimento, pertanto, presuppone il conseguimento da parte del promissario della prestazione promessa, in mancanza del quale sarà onere del promittente adempiere l’obbligazione accessoria, ossia corrispondere l’indennizzo.
Ammessa la sussistenza, quale conseguenza della promessa, di due distinte obbligazioni in capo al promittente, si tratta di stabilire quale sia il rapporto tra di esse intercorrente.
In primo luogo, deve certamente escludersi che in tale ipotesi si realizzi una sostituzione dell’oggetto dell’obbligazione, e in particolare una datio in solutum o una novazione oggettiva.
Al contrario di quanto avviene nella datio in solutum, infatti, dove le parti si accordano per la sostituzione della prestazione che costituisce oggetto dell’obbligazione in virtù di un accordo successivo alla nascita della stessa, nella promessa del fatto del terzo le due prestazioni sono già presenti fin dall’origine e la scelta è riservata al promittente.
A differenza di quanto avviene nella novazione, invece, la quale è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso all’adempimento, nella promessa del fatto del terzo non si verifica alcun effetto estintivo.
Detto questo, come osservato da attenta dottrina, gli obblighi a cui è tenuto il promittente non costituirebbero in realtà due distinte obbligazioni, bensì due diverse prestazioni oggetto della medesima obbligazione: alla diversità della prestazioni, infatti, corrisponde l’identità di tutti gli altri elementi del rapporto obbligatorio, ossia i soggetti coinvolti e la fonte.
In tale ipotesi, dunque, si dovrebbe ritenere integrata un’unica obbligazione oggettivamente complessa, in quanto caratterizzata dall’aver ad oggetto due distinte prestazioni.
Ammessa la sussistenza di un’unica obbligazione, si deve escludere che nell’ipotesi in esame sussista una obbligazione cumulativa, in quanto l’adempimento di una prestazione esclude la necessità dell’altra e i due obblighi, pertanto, non possono che porsi in via alternativa in capo al promittente.
Sulla base di quanto affermato dall’art. 1286 c.c., secondo il quale nelle obbligazioni oggettivamente complesse la scelta spetta al debitore, se non è attribuita al creditore o ad un terzo, anche nella promessa del fatto del terzo è riservata al promittente la facoltà di scegliere se effettuare l’una o l’altra prestazione, ovvero se attivarsi al fine di far conseguire al terzo la prestazione promessa oppure se corrispondere direttamente l’indennizzo.
Parte della dottrina, d’altra parte, riconosce al promittente la facoltà di compiere personalmente la prestazione a cui era tenuto il terzo, quando la stessa abbia ad oggetto un obbligo fungibile, ossia realizzabile anche da un soggetto diverso da quello obbligato. Ai sensi dell’art. 1180 c.c., infatti, in assenza di un interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione, non può riconoscersi al creditore alcuna facoltà di rifiuto della prestazione del terzo.
Detto questo, tra i due obblighi gravanti sul promittente non sussiste assoluta equivalenza: si deve ritenere, infatti, che colui il quale accetta la promessa del fatto di un terzo abbia prevalentemente interesse ad ottenere l’esecuzione della prestazione che ne costituisce l’oggetto, e non quello di ottenere il versamento di una somma di denaro in luogo della sua esecuzione.
Stante la preminenza di tale interesse, si dovrebbe escludere di essere in presenza di una obbligazione alternativa, la quale presuppone l’indifferenza per il creditore in ordine al ricevimento dell’una o dell’altra prestazione.
Dalla promessa del fatto del terzo, dunque, discenderebbe a carico del promittente un’obbligazione oggettivamente complessa di natura facoltativa: la prestazione dedotta in obbligazione è infatti unica, e consiste nel far conseguire al terzo la prestazione promessa ma, ciò nonostante, è consentito al debitore, ossia al promittente, di liberarsi eseguendo un’altra prestazione, ovvero versando l’indennizzo.
La differenza tra obbligazioni alternative ed obbligazioni facoltative si manifesta in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile ad alcuna delle parti.
Nell’obbligazione alternativa, infatti, considerata la pluralità delle prestazioni dedotte, l’impossibilità sopravvenuta determina un’ipotesi di concentrazione legale, trasformando l’obbligazione in semplice; nell’obbligazione facoltativa, invece, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione determina necessariamente l’estinzione dell’obbligazione, essendo unica la prestazione dedotta in obbligazione.
Come chiarito dalla giurisprudenza, tuttavia, nella promessa del fatto del terzo il promittente non si può liberare adducendo l’impossibilità sopravvenuta della prestazione promessa per causa ad esso non imputabile, ossia dimostrando che, nonostante l’essersi adoperato con diligenza affinché il terzo compisse il fatto promesso, quest’ultimo abbia omesso di realizzare la prestazione, in quanto il terzo non è obbligato ad agire e, di conseguenza, la scelta di non adempiere costituisce espressione di una facoltà ad egli espressamente riconosciuta, non potendo certo integrare una causa di impossibilità sopravvenuta.
Ne deriva, pertanto, che quando il terzo ometta di compiere la prestazione oggetto della promessa, nonostante il promittente abbia fatto il possibile affinché ciò avvenga, questi sarà comunque tenuto a garantire il promissario versandogli l’indennizzo, non potendo ritenersi liberato per effetto dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa ad esso non imputabile.
In mancanza del fatto del terzo, qualora il promittente non si adoperi per il pagamento dell’indennizzo, parte della giurisprudenza riconosce al promissario il diritto di esperire le azioni previste in tema di inadempimento contrattuale, chiedendo l’adempimento della promessa o la risoluzione, salvo l’eventuale risarcimento dei danni.
Si esclude invece che il promissario possa proporre domanda giudiziale per l’esecuzione in forma specifica dell’obbligazione di persuasione gravante sul promittente, in quanto essa consiste in una condotta strettamente personale, come tale infungibile.
Nel caso in cui sia tenuto ad una controprestazione nei confronti del promittente, ovvero nell’ipotesi in cui la promessa sia funzionalmente collegata ad un altro negozio giuridico, al promissario è inoltre riconosciuta la possibilità di usufruire dell’ordinario rimedio dell’eccezione di inadempimento.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo.
L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile.
Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale.
Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori.
Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.
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