La proponibilità del ricorso legge Pinto in pendenza di giudizio

La proponibilità del ricorso legge Pinto in pendenza di giudizio

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 88 del 2018 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.4 della legge 89/01, meglio nota come “Legge Pinto”, dal nome del suo estensore. Il disposto normativo attinto dalla declaratoria di incostituzionalità, così come sostituito dall’art. 55 comma 1 lett. d) del D.Lgs. 83/2012, convertito nella legge n. 134 del 7/8/12, prevedeva che “la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva”. Nella vigenza della primitiva normativa, in altri termini, occorreva attendere la definitività della statuizione conclusiva del giudizio, indi procedere, nel termine successivo di sei mesi, al deposito del ricorso per ottenere il ristoro dei danni subìti per l’irragionevole durata del procedimento. Vi era quindi una netta censura in merito al momento in cui poteva essere incardinata la domanda per l’equa riparazione per i danni subiti per l’irragionevole durata del processo; il ricorso Legge Pinto non poteva essere introdotto se la sentenza non era passata in giudicato. E ciò anche in base a quanto statuito con sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 2014; (Corte di cassazione, sesta sezione civile, sentenze 1° luglio 2016, n. 13556, 12 ottobre 2015, n. 20463, 2 settembre 2014, n. 18539; seconda sezione civile, sentenza 16 settembre 2014, n. 19479).

La portata innovativa della pronuncia in commento risiede quindi nella caduta del suindicato divieto.

Alla Corte Costituzionale sono state sottoposte n. 4 ordinanze, le cui trattazioni sono state effettuate congiuntamente, essendo di identico tenore. In particolare tutte le ordinanze di rimessione hanno preso spunto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 2014, riportandone ampi stralci. Seppur condividendo le argomentazioni sottese a siffatta pronuncia, tuttavia, i Giudici hanno dubitato della rispondenza dell’art.4 Legge Pinto ai canoni costituzionali, sulla base della seguente argomentazione: “Il rimettente evidenzia come già la sentenza n. 30 del 2014 di questa Corte, nello scrutinare analoga questione di legittimità costituzionale, abbia ravvisato nel differimento dell’esperibilità del rimedio un pregiudizio alla sua effettività, sollecitando l’intervento correttivo del legislatore. Il vulnus costituzionale riscontrato, tuttavia, non sarebbe stato ovviato dai rimedi preventivi frattanto introdotti dall’art. 1, comma 777, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», volti a prevenire l’irragionevole durata del processo ma non incidenti sull’effettività della tutela indennitaria una volta che essa sia maturata; pertanto, il monito allora impartito sarebbe rimasto inascoltato, perdurando l’illegittimità costituzionale del differimento aggravata dalla definitiva improponibilità della domanda di equa riparazione prematuramente avanzata”.

La pronuncia n. 30 del 2014, in primo luogo, effettuava una compiuta disamina della genesi che ha indotto il Legislatore ad introdurre il suindicato rimedio, ravvisandolo nella necessità di mantenere la connotazione sussidiaria dell’intervento della CEDU, quale organo deputato alla disamina della violazione della durata dei processi. Argomentava la Consulta: “Da detto principio di sussidiarietà deriva il dovere degli Stati che hanno ratificato la Convenzione di garantire agli individui la tutela dei diritti da essa riconosciuti in modo «effettivo» (ai sensi dell’art. 13 della CEDU), ossia tale da porre rimedio alla doglianza, senza la necessità di adire la Corte EDU”. Nel merito della questione di costituzionalità, in ogni caso, la pronuncia n. 30 del 2014 sottolineava il distinguo tra la vecchia formulazione dell’articolo 4 della Legge Pinto e la nuova formulazione, evidenziando che la preclusione alla proposizione della domanda in pendenza di giudizio poteva essere evinta da 2 fattori: in primo luogo dall’espunzione della locuzione “in pendenza di giudizio” ed in secondo luogo dalla lettura sistematica della legge novellata. Alla stregua di ciò, si interrogava sulla portata costituzionale dell’articolo 55 del del DL 83/12, che ha modificato l’impianto originario della legge Pinto. In particolare la formulazione di quest’ultima norma, et nella parte in cui scansiona i termini di ragionevole durate del processo, et nella parte esclude il risarcimento in pendenza di determinati presupposti, et infine nel riconoscimento del quantum dell’indennizzo, postulava la conclusione dell’iter procedimentale.

Sulla base di ciò la Consulta nella pronuncia 30 del 2014, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della suindicata norma, ma al contempo ha posto l’accento sull’inidoneità del rimedio interno prescelto per la risoluzione della problematica.

In virtù della sentenza precedente, quindi, la Consulta ha evidenziato la perduranza del “vulnus costituzionale” già presente, non obliterato dall’introduzione dei rimedi preventivi acceleratori del procedimento giudiziario, in quanto limitati ad una ristretta platea di procedimenti, per i quali alla data del 31/10/16 il termine di irragionevole durata era già irrimediabilmente spirato. Alla stregua di ciò, la Corte statuisce che: “se i parametri evocati presidiano l’interesse a veder definite in un tempo ragionevole le proprie istanze di giustizia, rinviare alla conclusione del procedimento presupposto l’attivazione dello strumento – l’unico disponibile, fino all’introduzione di quelli preventivi di cui s’è detto – volto a rimediare alla sua lesione, seppur a posteriori e per equivalente, significa inevitabilmente sovvertire la ratio per la quale è concepito, connotando di irragionevolezza la relativa disciplina. L’invocata pronuncia additiva non può essere impedita dalle peculiarità con cui la legge Pinto conforma il diritto all’equa riparazione, collegandolo, nell’an e nel quantum, all’esito del giudizio in cui l’eccessivo ritardo è maturato (sentenza n. 30 del 2014)”.


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