La protezione del minore nato all’estero da maternità surrogata

La protezione del minore nato all’estero da maternità surrogata

L’ordinamento nazionale riconosce e tutela non solo la filiazione genetica la c.d. filiazione di sangue ma anche quella che risulti dalla scelta di chi, nell’ambito di un progetto genitoriale comune, se ne assume la responsabilità.

L’accertamento della filiazione prescinde, ormai, dalla rigida dicotomia filiazione biologica e filiazione adottiva, in quanto, il legislatore riconosce lo status giuridico di figlio anche al nato a seguito del ricorso alla procreazione medicalmente assistita (l. 40/2004).

Qualora, al fine di risolvere problemi di sterilità o infertilità patologica (art. 1 l. 40/2004), la coppia di maggiorenni di sesso diverso, coniugati o conviventi in età potenzialmente fertile (art. 5) intenda ricorrere all’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistista, anche eterologa[1] (art. 5 c. 1), ossia attraverso l’utilizzo di gameti di soggetti terzi, la volontà espressa dalla coppia equivale ad assunzione di responsabilità, con impossibilità di ripensamento e disconoscimento del nato (artt. 8 e 9).

Lo status giuridico di figlio si fonda, dunque, in questo caso, sul consenso liberamente manifestato dalla coppia.

Dalla disciplina della fecondazione assistita non può, tuttavia, desumersi alcun argomento a sostegno dell’idoneità del consenso a fondare lo stato di figlio anche al nato a seguito di maternità surrogata.

È quanto sostenuto dalla recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione del 30 dicembre 2022, n. 38162, secondo cui l’ordinamento interno disapprova qualunque forma di accordo con cui una donna presti il proprio utero in affitto, al fine di portare avanti una gravidanza per conto altrui, rinunciando preventivamente ai diritti sul nascituro.

Il divieto, sanzionato penalmente all’art. 12, comma 6, l. 40/2004, è espressione di un principio di ordine pubblico internazionale, volto a tutelare la dignità della donna, le relazioni umane e l’istituto dell’adozione.

Ciò, tuttavia, non argina le istanze di genitorialità.

Del resto, il panorama internazionale conosce ordinamenti che ammettono, entro certi limiti, la pratica di surrogazione di maternità, determinando così i cittadini italiani a un vero e proprio “turismo procreativo”.

In assenza di alcuna esplicita previsione normativa, il ricorso alla surrogazione di maternità all’estero pone, pertanto, il problema del diritto del nato al riconoscimento in Italia del proprio status di figlio anche del genitore intenzionale, ossia di colui che, pur non prestando il proprio patrimonio genetico, abbia con il genitore biologico concorso al medesimo progetto genitoriale comune.

La tematica impone il delicato equilibrio tra l’esigenza di tutelare la dignità della donna  che verrebbe frustata dal ricorso a una pratica che l’annichilisce fino a trasformarla in un mero “contenitore[2] di vita altrui e quella di garantire comunque all’ormai nato il diritto fondamentale a continuare il rapporto affettivo e di cura con il genitore intenzionale.

Le istanze general-preventive e dissuasive, desumibili dal divieto di surrogazione di maternità, non valgono a comprimere le istanze di tutela del nato, che non può subire indebite discriminazioni rispetto ad altri bambini solo per effetto di una scelta di chi lo ha fatto “assemblare e gestare a pagamento[3].

Occorre, pertanto, distinguere la fattispecie illecita dagli effetti che essa produce sul rapporto di filiazione.

Del resto, il codice civile ha sempre riconosciuto lo status di figlio indipendentemente dal disvalore della condotta dei genitori, come nel caso di incesto[4] e di alterazione o soppressione di stato[5].

Il diritto del nato da maternità surrogata ad ottenere il riconoscimento del proprio stato di figlio del genitore intenzionale è affermato anche dalla giurisprudenza sovranazionale, in quanto espressione del principio del rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU)[6]. È, però, convenzionalmente legittima la scelta dei singoli Stati membri di escludere che la tutela del nato passi necessariamente attraverso un riconoscimento automatico e ab origine mediante la trascrizione del provvedimento straniero, purché sia comunque offerta e assicurata al minore una soluzione effettiva e parimenti garantistica[7].

La Suprema Corte a Sezioni Unite n. 12193/2019[8] ha, così, affermato che è contraria all’ordine pubblico la trascrizione del provvedimento straniero che all’estero abbia riconosciuto il rapporto di filiazione tra il nato da maternità surrogata e il genitore intenzionale, in quanto ciò è in contrasto con il divieto sancito dall’art. 12, comma 6, l. 40/2004 e, dunque, è lesivo della dignità della donna e dell’istituto dell’adozione. Secondo le Sezioni unite, infatti, la tutela del minore non può realizzarsi attraverso l’automatica trascrizione dei provvedimenti stranieri, ma esclusivamente mediante il ricorso del genitore intenzionale all’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma 1, lett. d), della l.184/1983.

Similmente[9], in tema di procreazione medicalmente assistita, la giurisprudenza ha costantemente riconosciuto legittima la preclusione alle coppie omoaffettive del ricorso in Italia a tale pratica, giacché l’infertilità fisiologica non rientra tra le finalità della legge[10].

Evidentemente, ciò non impedisce alla coppia omosessuale di rivolgersi all’estero per praticare la fecondazione eterologa, in quei paesi in cui la stessa è consentita. Sorge, dunque, a questo punto, il medesimo problema poc’anzi evidenziato in tema di maternità surrogata, ossia la possibilità di riconoscere lo status giuridico di figlio nato all’estero da pratica di fecondazione eterologa anche nei confronti del c.d. genitore intenzionale.

Ebbene, la giurisprudenza esclude che, in tal caso, il genitore intenzionale del nato all’estero da fecondazione eterologa possa ottenere la trascrizione all’anagrafe anche della propria genitorialità[11].

È pur vero che la genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita è legata anche al “consenso” prestato e alla “responsabilità” conseguentemente assunta da entrambi i soggetti, tuttavia, occorre pur sempre che quelle coinvolte nel progetto di genitorialità siano coppie «di sesso diverso».

La scelta legislativa di escludere l’applicabilità della suddetta disciplina alle coppie dello stesso sesso non è né arbitraria né irrazionale, in quanto non esiste alcun diritto costituzionalmente garantito alla genitorialità né tantomeno l’art. 30 Cost. «pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli» e «la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori (…) non implica che (…) possa esplicarsi senza limiti»[12], in quanto deve pur sempre essere bilanciata con altri interessi costituzionalmente protetti.

Dunque, una diversa tutela del miglior interesse del minore e del suo rapporto con il genitore intenzionale è ben possibile, ma le forme per attuarla attengono al piano delle opzioni rimesse alla discrezionalità del legislatore.

La Corte Costituzionale 230/2020 ha, pertanto, ritenuto in un primo momento applicabile l’adozione c.d. non legittimante in base a un’interpretazione estensiva dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore.

Tuttavia, è risultato ben presto evidente che i nati a seguito di fecondazione eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale della coppia coinvolta nel progetto genitoriale. Pertanto, la compromissione della tutela dei loro preminenti interessi impone l’urgenza di una «diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la “madre intenzionale”, che ne attenui il divario tra realtà fattuale e realtà legale» e, conseguentemente, un intervento mirato del legislatore[13].

Analogamente, in tema di maternità surrogata, la Corte Costituzionale n. 33/2021 ha sottolineato, in un primo momento, che l’adozione in casi particolari “costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali rammentati”, in quanto non legittima lo status di figlio al pari dell’adozione ordinaria, non instaura rapporti con la famiglia dell’adottante (artt. 55 l. 184/1983 e 300 c.c.) e richiede pur sempre l’assenso del genitore biologico, che potrebbe mancare in caso di sopravvenuta crisi di coppia (art. 46 l. 184/1983).

All’indomani della pronuncia di inammissibilità-monito della Corte Costituzionale che ha rilevato l’insufficienza del rimedio dell’adozione in casi particolari e in assenza dell’auspicato intervento legislativo volto ad adeguare la normativa ai principi costituzionali e sovranazionali, la giurisprudenza di legittimità ha paventato il rischio di un vuoto normativo nelle istanze di tutela del nato da maternità surrogata[14].

Parte della giurisprudenza ha, pertanto, auspicato una rimeditazione dei principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite n. 12913/2019 e una rimodulazione del concetto stesso di ordine pubblico.

Questa tesi propone di effettuare un bilanciamento tra i diritti del nato e la dignità umana non già in astratto, ma in concreto, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. L’orientamento in esame ritiene che la maternità surrogata non sia un fenomeno unitario e riconosce, dunque, il rimedio della delibazione della sentenza straniera, qualora, tenendo conto della natura e dello scopo dell’accordo di surrogazione di maternità, la scelta della donna uterina sia libera, consapevole, revocabile fino al momento della nascita, e non presenti una contropartita di natura economica.

Le Sezioni Unite n. 38162/2022[15] hanno, tuttavia, recentemente ritenuto di non poter avallare tale ricostruzione ermeneutica.

L’ordinamento interno vieta in senso assoluto qualunque forma di surrogazione di maternità, in quanto lesiva della dignità oggettiva della donna, indipendentemente dal concreto accertamento delle modalità della condotta e dello scopo dell’accordo.

La dignità umana ha valenza non solo soggettiva ma anche oggettiva, rappresentando un nucleo incomprimibile e irrinunciabile del singolo individuo.

L’art. 12, comma 6, l. 40/2004 è espressione di un principio di ordine pubblico internazionale, comprensivo in sé non solo dei valori costituzionali e sovranazionali ma anche delle norme di legislazione ordinaria che testimonino l’essenza di un ordinamento in un dato momento storico. “L’apertura all’altro non è perdita del sé. E il sé di un ordinamento – la sua identità, appunto – è quanto risulta tanto dalla Costituzione quanto dalle fondamentali e consolidate opzioni che tracciano le grandi linee della legislazione”.

La compatibilità con l’ordine pubblico va, dunque, valutata non solo alla stregua dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati a livello sovranazionali, ma anche del modo in cui detti principi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria.

L’interesse del minore, se pur non costituisce un diritto tiranno, cionondimeno assume preminente rilievo e va a connotare di significato la nozione stessa di ordine pubblico internazionale[16].

L’ordine pubblico non ha più valenza esclusivamente dissuasiva ma anche positiva e propulsiva, volta a favorire l’ingresso di nuove relazioni genitoriali.

Tuttavia, la Suprema Corte ripudia qualunque automatismo, evidenziando che l’acquisto della genitorialità non può fondarsi sul mero consenso ab origine prestato, richiedendosi, viceversa, un accertamento concreto dell’interesse del nato da maternità surrogata a veder riconosciuto giuridicamente il proprio stato di figlio del genitore intenzionale.

In questi termini, l’ordine pubblico impedisce l’automatica trascrizione del provvedimento straniero che abbia accertato all’estero il rapporto di filiazione tra il nato da maternità surrogata e il genitore intenzionale, in assenza di un presunto diritto alla genitorialità.

Lo strumento più adatto per tutelare l’interesse del minore è rappresentato, ancora una volta, dall’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, co. 1, lett. d) della l. 184/1983.

La pronuncia di inammissibilità-monito della Corte Costituzionale n. 33/2021 non ha determinato alcun vuoto normativo, limitandosi a suggerire un intervento legislativo volto ad adeguare il rimedio alle esigenze di maggior speditezza, parificandone gli effetti all’adozione legittimante e ripudiando il requisito dell’assenso condizionante del genitore biologico.

Quanto al primo profilo, la Corte Costituzionale n. 79/2022 ha recentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 l. 184/1983 nella parte in cui, tramite il rinvio all’art. 300, comma 2, c.c. in tema di adozione dei maggiorenni, prevede che l’adozione in casi particolari non induca alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante.

L’intervento costituzionale ha determinato la rimozione dell’ostacolo alla piena equiparazione tra adozione legittimante e adozione in casi particolari che era stata in precedenza considerata dalla stessa Corte Costituzionale n. 33/2021 come una delle ragioni di inadeguatezza del rimedio alla tutela del best interest del minore.

Quanto al dissenso del genitore biologico all’adozione, la Cassazione evidenzia come esso non sia espressione di un diritto potestativo ma vada rapportato pur sempre all’interesse del minore.

La lettura combinata degli artt. 46 e 57 l. 184/1983 consente, infatti, al giudice di ritenere legittimo il dissenso solo se questo risponda al concreto interesse del minore, ossia nel caso in cui non si riscontri l’attualità del progetto genitoriale comune.

L’effetto ostativo del dissenso dell’unico genitore biologico all’adozione del genitore sociale, allora, può e deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all’interesse del minore, secondo il modello del dissenso al riconoscimento”. Il dissenso all’adozione da parte del genitore biologico in tanto è idoneo ad impedire la costituzione del legame di filiazione, “in quanto passi attraverso la negazione in radice del progetto genitoriale o di quel rapporto costante di affetto e di cura del minore che rappresenta il requisito per richiedere l’adozione in casi particolari, anche nell’ipotesi in cui vi sia stata separazione”.

In conclusione, le Sezioni Unite n. 38162/2022, confermano come  alla luce del recente intervento della Corte Costituzionale n. 79/2022 e dell’evoluzione ermeneutica innanzi esposta l’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, co. 1, lett. d) l. 184/1983 si riveli uno strumento adeguato alla tutela del minore, assicurando un riconoscimento ex post della genitorialità, che non sia fondato sul semplice consenso ab origine manifestato, qualora in concreto siano ravvisati l’attualità del progetto genitoriale comune e il rapporto di cura effettivo del minore.

«L’adozione in casi particolari non dà rilevanza al solo consenso e non asseconda attraverso automatismi il mero desiderio di genitorialità; dimostra, piuttosto, una precisa vocazione a tutelare l’interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto anche con colui che, insieme al padre biologico, ha condiviso e attuato il progetto del suo concepimento e, assumendosi la responsabilità della cura e dell’educazione, ha altresì concorso in fatto a instaurare quella organizzazione di vita comune diretta alla crescita e allo sviluppo della personalità che è la famiglia».

Il riconoscimento dello status giuridico del nato da maternità surrogata come figlio anche del genitore intenzionale implica, dunque, che siano accertate in concreto l’attualità del progetto genitoriale e la costante cura in via di fatto del minore.

 

 

 

 

 


[1] Con la nota sentenza n. 162/2014 la Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa, previsto dall’art. 4 comma 3 della L. 40/2004.
[2] Si vedano le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione del 30 dicembre 2022, n. 38162.
[3] Sul punto, Caringella F., Buffoni L., Manuale di diritto Civile, XII Ed., Dike, 2022, 1913 ss. La Corte Costituzionale 272/2017 ha respinto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 del D.P.R. 369/2000 nella parte in cui non consente la formazione in Italia di un atto di nascita indicante due genitori dello stesso sesso di un minore concepito mediante maternità surrogata, in quanto «per attribuire la filiazione di un bimbo nato da un utero in affitto bisogna innanzitutto considerare la grande contrarietà della pratica al nostro corpus giuridico. Se fosse per ciò solo, dunque, il piccolo non potrebbe essere ritenuto figlio di chi l’ha fatto “assemblare” e “gestare” a pagamento».
[4] Corte Costituzionale, sentenza n. 494 del 2002.
[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 102 del 2020.
[6] Il parere consultivo della Grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, reso su richiesta della Corte di cassazione francese il 10 aprile 2019.
[7] Cfr. anche Corte costituzionale, sentenza 33/2021.
[8] Cassazione SS.UU. 8 maggio 2019, n. 12193.
[9] Si veda, sul punto, Caringella F., Buffoni L., Manuale di diritto Civile, XII Ed., Dike, 2022, 1910 ss.
[10] Cfr. Corte Costituzionale 221/2019, secondo cui «La possibilità – dischiusa dai progressi scientifici e tecnologici – di una scissione tra atto sessuale e procreazione, mediata dall’intervento del medico, pone, in effetti, un interrogativo di fondo: se sia configurabile – e in quali limiti – un “diritto a procreare” (o “alla genitorialità”, che dir si voglia), comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo, e dunque declinabile anche come diritto a procreare con metodi diversi da quello naturale. Più in particolare, si tratta di stabilire se il desiderio di avere un figlio tramite l’uso delle tecnologie meriti di essere soddisfatto sempre e comunque sia, o se sia invece giustificabile la previsione di specifiche condizioni di accesso alle pratiche considerate: e ciò particolarmente in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del futuro nato. Le soluzioni adottate, in proposito, dalla legge n. 40 del 2004 sono, come è noto, di segno restrittivo. Esse riflettono – quanto ai profili che qui vengono in rilievo – due idee di base. La prima attiene alla funzione delle tecniche considerate. La legge configura, infatti, in apicibus, queste ultime come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile: escludendo chiaramente, con ciò, che la PMA possa rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati (…)».
[11] Cfr. Corte Costituzionale 230/2020, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 e dell’art. 29, comma 2, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui escludono che la madre intenzionale possa essere riconosciuta come genitore del bambino nato in Italia a seguito di un progetto di fecondazione assistita perfezionato all’estero, nell’ambito di una coppia omogenitoriale femminile unita civilmente.
[12] Corte Costituzionale n. 162/2014.
[13] Cfr. Corte Costituzionale 32/2021.
[14] Cfr. Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria del 21 gennaio 2022, n. 1842.
[15] Cass. SS.UU. del 30 dicembre 2022, n. 38162.
[16] «È un principio, questo, riconducibile agli artt. 2, 30 e 31 Cost. e proclamato da molteplici fonti internazionali ed europee, a cominciare dall’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con la l. n. 176 del 1991, ai cui sensi “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”, nonché dall’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007».

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