La prova del credito della banca nelle richieste di decreti ingiuntivi e nei giudizi di opposizione
Spesso accade che, a seguito della stipula di un mutuo o di un’altra operazione di finanziamento, non si riesca a far fronte alle rate dovute all’istituto bancario, il quale ricorrendo prontamente all’autorità competente, si munisce del tanto temuto decreto ingiuntivo, atto al recupero del credito residuo.
Non sempre però l’atto notificato al debitore è pienamente legittimo: cosa fare per capire quando il decreto ingiuntivo presenta dei vizi e come tutelarsi?
È opportuno chiarire in questa sede cosa s’intenda con il termine “decreto ingiuntivo”.
Il suddetto è quel provvedimento richiesto dal creditore ed emesso dal giudice competente attraverso il quale il primo pretende dal debitore la restituzione della somma di denaro dovutagli sulla base di un titolo.
Qualora il debitore ritenga che il decreto in esame sia infondato o presenti dei vizi, potrà far valere le proprie ragioni in giudizio mediante la formulazione della cd. opposizione al decreto ingiuntivo.
L’opposizione è un atto con il quale il debitore contesta le pretese del creditore dando avvio ad un vero e proprio processo ordinario nel corso del quale le richieste creditorie dovranno essere pienamente provate.
L’opposizione deve necessariamente essere proposta entro il termine perentorio di 40 giorni dal ricevimento (la cd. notifica) del decreto ingiuntivo, pena la perdita della possibilità di tutelare i propri diritti innanzi all’autorità giudiziaria competente.
Un aspetto particolarmente importante è quello inerente la prova del diritto di credito, difatti, allo scopo di dimostrare l’esistenza di un rapporto di credito il legislatore stabilisce la necessità della prova scritta: sostanzialmente, il creditore non può ricorrere ai testimoni per provare il proprio diritto, ma deve necessariamente produrre in giudizio documenti scritti (fatture, contratti) dai quali possa evincersi l’esistenza del credito.
Al fine di ottenere l’emissione del decreto ingiuntivo da parte dall’autorità giudiziaria adita, gli istituti bancari ricorrenti possono allegare, quale prova scritta del credito vantato, il cd. saldaconto in luogo dell’estratto conto richiesto espressamente dal “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza ormai prevalente, l’estratto di saldaconto non è sufficiente ad ottenere un legittimo decreto ingiuntivo, il quale sarà invalido in quanto fondato su di una prova scritta inidonea a documentare il diritto di credito.
L’art. 2697 c.c. assegna alla parte che domandi l’accertamento di un proprio diritto l’onere di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, così come pone a carico della parte che si difende dall’altrui domanda la prova dell’esistenza di eventuali fatti contrari.
In applicazione di tale norma, la banca – che domandi al giudice l’emissione del decreto ingiuntivo – è tenuta a dimostrare il credito vantato.
Corrispettivo onere è (o almeno dovrebbe essere) in capo al correntista che domandi l’accertamento di un proprio corrispondente credito nel giudizio di opposizione.
Il decreto ingiuntivo può essere richiesto ed ottenuto dalla banca in forza di un estratto conto, che sia stato certificato conforme alle scritture contabili della medesima banca.
L’art. 50 del T.U.B. prescrive difatti sul decreto ingiuntivo richiesto dalla banca: “La Banca d’Italia e le banche possono chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’art. 633 del codice di procedura civile anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido”.
In forza di un costante ed indiscusso indirizzo giurisprudenziale l’efficacia probatoria dell’estratto conto certificato ex art. 50 D. Lgs. 385/93 è limitata alla sola fase monitoria, in quanto soltanto essa è caratterizzata da uno speciale rito sommario nella valutazione delle prove sufficienti ad ottenere l’ingiunzione (Tribunale Bologna, sez. IV, sent. n. 868 del 21/03/2013; conf. ex multis: Tribunale Monza sez. III, sent. n. 2721 del 9/11/2015; Tribunale Salerno sez. II, sent. n. 5537 del 22/11/2014 ; Tribunale di Milano, sez. VI, sent. n. 12774 del 15/10/2013; Cassazione civile, sez. III, sent. n. 9695 del 3/5/2011).
L’efficacia probatoria del saldaconto degrada invece nel successivo ed eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, che è un giudizio a cognizione piena ed in cui le parti sono tenute a dimostrare compiutamente le proprie ragioni, in termini più rigorosi.
L’estratto conto certificato ex art. 50 T.U.B. non perde comunque interamente l’efficacia probatoria nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, mantenendo un valore indiziario la cui portata deve essere liberamente apprezzata dal giudice nel contesto di altri elementi ugualmente significativi.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la banca è pertanto onerata ad integrare la produzione documentale allegata al ricorso per decreto ingiuntivo, con la produzione degli estratti conto integrali di rapporto, al fine di dimostrare gli elementi costitutivi del proprio credito sin dall’origine del medesimo.
L’eventuale produzione parziale degli estratti conto, in difetto della produzione del saldo iniziale del conto corrente, può comportare tutte le problematiche discusse in precedenza, e cioè che “la domanda andrà respinta per il mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sulla banca che ha intrapreso il giudizio”. Questo avendo la Cassazione superato, con la sentenza n. 11543 del 2 maggio 2019 il precedente orientamento sull’applicabilità di un saldo iniziale a “zero”, ritenuta adesso conclusione non più percorribile.
In relazione all’onere della banca della produzione documentale nel giudizio di opposizione dei documenti già prodotti con il ricorso per decreto ingiuntivo si segnala una recente sentenza della Cassazione, che ha ritenuto che i documenti allegati al ricorso per ingiunzione, anche ove non siano stati prodotti dalla banca nella fase di opposizione (per dimenticanza o altro), potranno essere depositati anche eventualmente nel successivo giudizio di appello, senza alcuna preclusione, non costituendo documenti “nuovi”.
Il concetto ormai ampliamente accolto dalla giurisprudenza più autorevole, trova fondamento nella differenza intercorrente tra la definizione di saldaconto e quella di estratto conto, consistente nel fatto che mentre il primo è un registro nel quale la banca riporta il risultato riassuntivo dei rapporti tra l’istituto di credito ed il cliente, il secondo è quel documento contabile consistente in un prospetto nel quale sono indicate analiticamente le varie voci del rapporto creditizio: le operazioni effettuate, gli interessi, il saldo attivo e passivo.
L’estratto conto, quindi, indica in maniera alquanto dettagliata non solo la situazione finale del rapporto nel momento in cui esso giunge al suo termine, ma anche il risultato di tutte le operazioni intercorse tra le parti.
E’ chiaro che l’estratto conto, presentando maggiore trasparenza, costituisce uno strumento che realizza una tutela di grado più elevato per il cliente rispetto al saldaconto: di conseguenza il decreto ingiuntivo emesso sulla base del solo saldaconto sarà affetto da nullità, che è uno dei motivi che potranno essere indicati nell’atto di opposizione.
È bene ricordare che l’estratto conto se è sufficiente per ottenere il decreto ingiuntivo, tuttavia nel processo ordinario assume valore di prova meramente indiziaria e dunque nel corso della causa incardinata attraverso l’opposizione, l’istituto bancario dovrà provare il proprio diritto di credito con documenti ulteriori e diversi dall’estratto conto.
Al fine di ottenere un legittimo decreto ingiuntivo, la banca dovrà allegare al ricorso sia la prova dell’avvenuta ricezione dell’estratto conto da parte del cliente sia una copia del contratto di conto corrente redatto in forma scritta secondo quanto previsto dal T.U.B.
Qualora la banca non riesca a fornire la prova dell’avvenuta ricezione dell’estratto conto da parte del cliente (che per legge dev’essere inviato dall’istituto di credito al correntista con cadenza periodica), quest’ultima dovrà allegare al ricorso tutti gli estratti conto relativi al rapporto con il cliente sin dal momento in cui esso è sorto.
Peraltro la legge prevede che uno dei dirigenti della banca debba certificare che l’estratto conto sia conforme alle scritture contabili e che il credito sia vero e liquido.
Inoltre, poiché il dirigente è colui che certifica l’autenticità delle dichiarazioni e delle documentazioni, è necessario che siano indicati con chiarezza il nome ed il cognome del dirigente che ha compiuto l’attività di certificazione e che la relativa firma sia leggibile.
La mancanza anche di uno solo degli elementi elencati costituisce un altro motivo di nullità del decreto ingiuntivo.
Dall’esame poi della documentazione relativa al rapporto di finanziamento potrebbero rinvenirsi altri motivi di nullità che potrebbero addirittura condurre ad una condanna della banca al risarcimento del danno cagionato al cliente.
A titolo esemplificativo, qualora il contratto contenesse clausole che rinviano ai cd. usi piazza per la determinazione degli interessi oppure qualora si evincesse che l’istituto ha applicato condizioni di CMS (Commissione di massimo scoperto) non espressamente previste da apposite clausole contrattuali o qualora la banca avesse modificato unilateralmente le condizioni contrattuali senza l’approvazione del cliente o ancora nel caso di illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori a fronte di una capitalizzazione annuale degli interessi creditori.
Al fine di comprendere se il rapporto contrattuale con l’istituto di credito presenta i motivi di nullità indicati è bene rivolgersi ad un esperto, che potrebbe anche evidenziare la presenza di aspetti di illegittimità ulteriori.
– Cassazione Civile, sez. lav., sent. n. 21626 del 22 agosto 2019: “Per costante interpretazione di legittimità, (cfr., ex plurimis, Cass. n. 8693 del 04/04/2017) in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, in considerazione della mancanza di autonomia tra il procedimento che si apre con il deposito del ricorso monitorio e quello originato dall’opposizione ex art. 645 c.p.c., i documenti allegati al primo, rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638 c.p.c., comma 3, ed esposti, pertanto, al contraddittorio tra le parti, benché non prodotti nella fase di opposizione nel termine di legge, non possono essere considerati “nuovi”, talché, ove depositati nel giudizio di appello, devono essere ritenuti ammissibili, non soggiacendo la loro produzione alla preclusione di cui l’art. 345 c.p.c., comma 3 (nel testo introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 52)”.
– Tribunale di Milano, sez. VI, sent. n. 5355 del 5/6/2019: “La proposizione dell’opposizione [a decreto ingiuntivo] determina l’insorgere del dovere di provvedere con le regole della cognizione piena su quanto è stato richiesto con il decreto ingiuntivo, atteso che la cognizione del giudice dell’opposizione non è limitata al solo controllo sulla legittimità o meno dell’emissione del provvedimento monitorio ma, introdotta l’opposizione, tale controllo si estende automaticamente alla sussistenza della relativa pretesa creditoria (Cass., 5 gennaio 2010, n. 28). Va quindi evidenziato che nel corso dell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione, il creditore opposto conserva la qualità di parte attrice in senso sostanziale sulla quale grava il relativo onere probatorio: ciascuna delle parti viene ad assumere la propria naturale posizione sostanziale, nel senso che la qualità di attore spetta al creditore che ha richiesto l’ingiunzione (convenuto in opposizione) e quella di convenuto al debitore opponente (attore in opposizione), con la conseguenza che l’onere della prova del credito incombe al creditore opposto, mentre all’opponente spetta solo di provare, secondo le regole generali (art. 2697 c.c.), i fatti estintivi, modificativi o impeditivi. (così tra le altre Cass., 17 novembre 2003 n. 17371)”.
– Tribunale di Crotone, sent. n. 454 dell’8/4/2019: “Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si verifica un’inversione della posizione processuale delle parti, mentre resta invariata la posizione sostanziale, nel senso che si apre un ordinario giudizio di cognizione, nel quale ciascuna delle parti viene ad assumere la propria effettiva e naturale posizione, risultando a carico del creditore-opposto, avente in realtà veste di attore per aver chiesto l’ingiunzione, l’onere di provare l’esistenza del credito, ossia i fatti costitutivi dell’obbligazione posta a fondamento del decreto ingiuntivo, ed a carico del debitore-opponente, avente la veste di convenuto, quello di provare eventuali fatti estintivi, modificativi o impeditivi (cfr. Cass. civile, sez. lav., 13 luglio 2009, n. 16340; Cass. civile, sez. I, 31 maggio 2007 n. 12765; Cass. civile, sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2421; Cass. civile, sez. III, 24 novembre 2005, n. 24815; Cass. civile, sez. II, 30 luglio 2004, n. 14556; Cass. civile, sez. III, 17 novembre 2003, n. 17371; Cass. civile, sez. II, 4 aprile 2003, n. 5321; Cass. civile, sez. I, 27 giugno 2000, n. 8718; Cass. civile, sez. II, 29 gennaio 1999, n. 807; Cass. civile, sez. lav., 17 novembre 1997, n. 11417; Cass. civile, Sezioni Unite, 7 luglio 1993 n. 7448; Corte app. Palermo, sez. III, 21 gennaio 2009, n. 62; Trib. Genova, 23 gennaio 2009, n. 347). Naturalmente, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice ha l’obbligo di pronunciarsi sul merito della domanda sulla base di tutte le prove offerte tanto dal debitore-opponente quanto dal creditore-opposto, non potendo decidere la controversia alla luce del solo materiale probatorio prodotto al momento della richiesta di ingiunzione (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 18 maggio 2009, n. 11419; Cass. civile, sez. II, 16 maggio 2007, n. 11302)”.
– Tribunale Bologna, sez. IV, sentenza del 21/3/2013: “L’estratto-conto, purché corredato dalle formalità prescritte dall’art. 50 d.lgs. n. 385 del 1993, ha il valore di prova scritta idonea a ottenere ingiunzioni giudiziali di pagamento, con deroga ai principi generali in materia di prove, in primis quella secondo cui la dichiarazione resa o il documento redatto da una delle parti in lite è invocabile a suo danno, non già in suo favore”.
– Tribunale Monza sez. III, sent. n. 2721 del 9/11/2015: “L’estratto di saldaconto (già previsto dall’art. 102 della abrogata legge bancaria e ora dall’art. 50 del d.lgs. 385/93), dichiarazione unilaterale del funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da una attestazione di verità e liquidità del credito, costituisce concetto ben distinto dall’ordinario estratto conto, destinato a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca. Mentre in particolare il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento monitorio, l’estratto conto, trascorso il necessario periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente”.
– Tribunale Salerno sez. II, sent. n. 5537 del 22/11/2014: “In tema di prova del credito azionato da un istituto bancario o finanziario la giurisprudenza consolidata distingue fra estratto conto certificato o estratto di saldaconto ed estratto conto, definendo il primo come una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e liquidità del credito che riveste efficacia probatoria, ai sensi dell’art. 50 d.lgs. n. 385 del 1993, nel solo procedimento per decreto ingiuntivo instaurato dall’istituto di credito; ed il secondo come documento funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca che trascorso il debito periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente (“ex multis” Cass., sez. III, 3 maggio 2011 n. 9695; Cass., sez. I, 2 dicembre 2011 n. 25857)”.
– Tribunale Pescara, sent. n. 497 del 6/4/2017: “In tema di prova del credito fornita da un istituto bancario nel procedimento monitorio e nel successivo giudizio contenzioso di opposizione, va distinto l’estratto ex art. 50 TUB – dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnato dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e liquidità del credito – dall’ordinario estratto conto- funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive applicate dalla banca – poiché l’estratto conto ex art. 50 TUB riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo instaurato dalla banca, mentre l’estratto conto, trascorso il debito periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente” (conf. ex multis: Tribunale Bari, sent. n. 5074 dell’11/10/ 2016; Corte appello Bari sez. II, sent. n. 1109 del 25/10/2012).
– Cass. civ. sez. I, n. 6705 del 19/03/2009.
– Tribunale Arezzo, 20/12/2017, n. 1445: “Il saldaconto, ex art. 50 d.lgs. 385/93, riveste efficacia probatoria solo nella fase monitoria, mentre nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è onere della parte opposta provare il proprio credito con la produzione dell’estratto conto poiché quest’ultimo, nel momento in cui viene comunicato al correntista, acquista carattere di incontestabilità non essendo il saldaconto titolo giustificativo della pretesa creditoria” (conf. Tribunale Torino sez. VI, sent. n. 1670 del 23/3/ 2016; Cass. civ., sez. I, sent. n. 21466 del 19/09/2013; Tribunale di Milano, sez. VIII, sent. n. 3185 del 5/3/2013).
– Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 371 del 10 gennaio 2018: “Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto; né essa banca può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito (Cass. 25 novembre 2010, n. 23974; in senso conforme: Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. 10 maggio 2007, n. 10692). Tale principio vale, ovviamente, anche ove si faccia questione dell’addebito di interessi anatocistici non dovuti”.
– Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 11543 del 2 maggio 2019: “Ove sia la banca ad agire in giudizio e il primo degli estratti conto prodotti rechi un saldo iniziale a debito del cliente, è consentito valorizzare tutte le prove atte a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato al principio del periodo per cui risultano prodotti gli estratti conto; è possibile poi prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che, pur non fornendo indicazioni atte a ricostruire l’evoluzione del rapporto, consentono quantomeno di escludere che il correntista, nel periodo per cui gli estratti sono mancanti, abbia maturato un indeterminato credito, piuttosto che un debito, nei confronti della banca: sicché in quest’ultima ipotesi è possibile assumere, come dato di partenza per la rielaborazioni delle successive operazioni documentate, il saldo zero; in mancanza di elementi nei due sensi indicati la domanda andrà respinta per il mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sulla banca che ha intrapreso il giudizio”.
– Sul saldo iniziale ricondotto a zero si vedano: Cass. civ., sez. VI, sent. n. 4567 del 9/3/2016; Tribunale di Lanciano, sent. n. 526 del 14/12/2015; Tribunale di Ancona, sez. II, sentenza del 28/1/2015.
– Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 11543 del 2/5/2019: “Ove sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione e il primo degli estratti conto prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è del pari legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni certe e complete e che diano giustificazione del saldo riferito a quel momento; è inoltre possibile prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che consentano di affermare che il debito nel periodo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che addirittura in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; in mancanza di elementi nei due sensi indicati dovrà assumersi, come dato di partenza per la rielaborazione delle successive operazioni documentate, il detto saldo”.
– Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 11543 del 2/5/2019: “Ove sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione e il primo degli estratti conto prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è del pari legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni certe e complete e che diano giustificazione del saldo riferito a quel momento; è inoltre possibile prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che consentano di affermare che il debito nel periodo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che addirittura in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; in mancanza di elementi nei due sensi indicati dovrà assumersi, come dato di partenza per la rielaborazioni delle successive operazioni documentate, il detto saldo. Il totale rigetto della domanda, nella prima ipotesi, e non nella seconda, si spiega facilmente: ove la banca è attrice, essa deve fornire una base certa per la rielaborazione del conto e tale base non è offerta se la medesima non riesca ad eliminare l’incertezza quanto al fatto che al momento iniziale del periodo rendicontato il correntista potesse essere creditore di un importo di indeterminato ammontare; ove la banca assume la veste di convenuta, è il correntista a dover dissolvere l’incertezza relativa al pregresso andamento del rapporto, sicché, in assenza di contrari riscontri, la base di calcolo potrà attestarsi sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, che, nel quadro delle risultanze di causa, è il dato più sfavorevole allo stesso attore”.
– Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 11543 del 2/5/2019: “Diversa è, naturalmente, l’ipotesi in cui tanto la banca che il correntista si facciano attori, in modo che nella medesima causa si fronteggino due diverse domande, l’una spiegata in via principale e l’altra in via riconvenzionale. Pur non potendosi esaminare, nella presente sede, le diverse possibili declinazioni che la vicenda processuale venga ad assumere in conseguenza della detta contrapposizione, va precisato che anche in tale eventualità sarà necessario valorizzare tutti i dati che rendano possibile individuare un saldo iniziale. Così, ad esempio, rileverà che, a fronte dell’assenza di riscontri forniti dalle parti quanto all’esistenza e all’ammontare dell’esposizione debitoria maturata dal cliente nel periodo non documentato da estratti conto, esista concordanza di allegazioni dei contendenti quanto all’inesistenza di un credito conseguito, in quell’arco di tempo, dal correntista stesso: sicché, anche qui, potrà risultare legittimo l’azzeramento del saldo iniziale del periodo successivo, avendo il giudizio guadagnato una certezza minimale con riferimento alla prima frazione del rapporto di durata”.
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Avv. Eleonora Deborah Iannello
Avvocato, docente di diritto e redattore di articoli giuridici in materi di diritto civile e penale.