La psicologia della testimonianza e l’arte della retorica
La testimonianza nel procedimento penale è un mezzo di prova che da vita a molteplici risvolti giuridici e psicologici, i quali costituiscono un complesso necessario all’esplicazione della sua funzione, quale l’accertamento della verità.
Laddove dunque tale mezzo non sia unicamente individuato sotto il profilo del processo cognitivo necessario all’esplicazione della prova, è possibile ricollegarlo anche ad un altro aspetto, apparentemente più esteriore ma che attiene al processo medesimo, quale la modalità con cui le domande vengono poste e con cui la prova viene presentata.
Alla branca psicologica della testimonianza si affianca infatti l’arte della retorica, la quale attiene ad una tradizione trasecolare e si compone di numerose correnti dottrinali, le quali si esplicano in assunti che possono anche incidere sul processo di acquisizione della prova.
La psicologia della testimonianza è una branca della psicologia forense, che si occupa di come tale mezzo possa mirare ottenere una ricostruzione dei fatti oggetto del processo e di riconoscere la fallacia della memoria umana, in quanto soggetta a percezione individuale.
La testimonianza, infatti, è un prodotto di un processo psichico cognitivo legato alla percezione del testimone, che dunque può essere influenzato dalla rielaborazione e ricostruzione della sua memoria.
In particolare si potrà avere ad esempio un falso ricordo (ricordare avvenimenti non accaduti o verificati), una distorsione della menzogna sui ricordi (influenza della memoria di colui che ha mentito in precedenza) o una distorsione delle emozioni sui ricordi (influenza delle emozioni sul processo cognitivo, legato a quello sociale e affettivo, nonché alle convinzioni personali).
La testimonianza è infatti un processo unitario, il quale richiede che vi sia corrispondenza tra quanto ricordato e i fatti realmente accaduti.
Orbene, secondo la dottrina prevalente, i momenti fondamentali della medesima si suddividono in: sensazione, percezione, rielaborazione, memoria, rievocazione e espressione.
La sensazione e la percezione, prevedono il recepimento degli stimoli ambientali (ciò a cui il soggetto assiste), attraverso i sensi e l’interpretazione dei medesimi. La rielaborazione si traduce nella consapevolezza degli stessi stimoli ambientali, mentre la memoria corrisponde alla facoltà di ricordare tali contenuti e riprodurli. La rievocazione consiste nel richiamo alla memoria di quanto immagazzinato, il quale viene evocato al momento della deposizione. Infine l’espressione coincide con il momento della testimonianza, quale l’esposizione orale in dibattimento.
Quindi se da una parte la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza 12195/2012, ha affermato che la capacità del testimone di rendere dichiarazione va valutata in concreto, non in astratto, dunque tenendo conto di un’aderenza più pregnante tra il fatto realmente accaduto e la testimonianza, d’altra parte l’art. 194 c.p.p. specifica che “Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova. Non può deporre sulla moralità dell’imputato, salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato e alla pericolosità sociale. […] Il testimone è esaminato su fatti determinati. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti”.
Il processo cognitivo alla base della testimonianza, rinviene dunque esteriormente non solo come esposizione dei fatti, ma anche come percezione necessaria alla elaborazione degli stessi e quindi alla resa della deposizione.
Proprio per tale motivo il nostro ordinamento pone dei limiti alle modalità con cui possano essere fatte le domande al teste, le quali vengono poste attraverso la tecnica di ricostruzione dei fatti dell’esame incrociato (cross-examination).
Ai sensi dell’art. 499, comma 6, c.p.p., sono infatti vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposta, le domande suggestive (che suggeriscono le risposte), vietate unicamente nell’esame e non nel controesame.
Laddove lo scopo del cross-examination sia di consentire la rappresentazione in dibattimento dei fatti conosciuti dal testimone e di mettere al contempo in dubbio la coerenza e la credibilità del teste, il difensore deve, da una parte, curare gli aspetti psicologici della testimonianza, dall’altra svolgere molteplici attività volte a trovare argomenti a favore della tesi difensiva.
E’ in tal senso che l’arte della retorica rinviene come l’arte di esporre fatti veri o verosimili secondo tecniche curate per conseguire il massimo effetto. Dal greco retorica, cioè la “arte del parlare in pubblico”, risale al 465 a.C. di cui il primo antesignano fu il filosofo Empedocle di Agrigento, seguito dal altre figure ingenti come Platone, Aristotele e Cicerone.
Tale tecnica rinviene nella necessità del difensore di far emergere il suo “thema probandi” e quindi, non solo di porre le domande che ritiene congrue a tale scopo, ma anche a tutelare nel miglior modo possibile il diritto di difesa del proprio assistito, assicurandogli una chiarezza espositiva di fronte agli operatori del diritto e, in particolare, all’organo giudicante.
Tra gli argomenti retorici è possibile riscontrare:
argomento a fortiori: un insieme di elementi ordinati gerarchicamente in cui le proprietà, che valgono per l’insieme, valgono anche per essi;
argomento a contrario: se una affermazione è vera, quella contraria deve essere falsa a fronte di una generalizzazione;
argomento di complementarità: ad un’affermazione si può affiancare una negazione che funge da nozione complementare;
argomento dell’effetto: partendo dalle condizioni iniziali, si ricercano degli effetti conseguenti;
argomento post hoc: si collegano due eventi tramite il nesso causale della consequenzialità temporale;
argomento di compensazione: basato sul mantenimento di un equilibrio posto come valore in sé;
argomento del tutto e della parte: si sostiene che ciò che vale per il tutto vale anche per la parte;
argomento ad humanitatem: che si rivolge ad un uditorio universale, spesso come pretesa, attraverso una quantificazione universale (tutti, chiunque, nessuno, ecc…);
argumentum ad baculum: fallacia del ragionamento che comporta la violazione delle regole di un corretto confronto argomentativo, in quanto unicamente imposto;
argumentum ad ignorantiam: fallacia logica che implica l’affermazione della falsità o verità di una proposizione, basandosi sull’ignoranza della stessa, finché non venga provato il contrario.
Scopo della tecnica retorica nella testimonianza è, come sopraesposto, la ricostruzione del ragionamento sillogistico deduttivo, formato da una premessa maggiore (affermativa o negativa), da una premessa minore e da una conclusione che ne deriva necessariamente.
Esempio classico presente nella dottrina maggioritaria è:
“Tutti gli uomini sono mortali” (premessa maggiore).
“Socrate è un uomo” (premessa minore).
“Socrate è un mortale” (conclusione).
In altre parole, la conclusione deve essere giustificata dalla verità delle premesse e quindi è onere del difensore cercare di far affiorare la ricostruzione dei fatti oggetto del procedimento penale, con il dovere di svolgere un’attività difensiva a tutela del proprio assistito.
L’esame incrociato infatti sarà volto ad evitare per una parte, o ottenere per la controparte, che il testimone cada in contraddizione, confonda gli avvenimenti, menta se sotto pressione (commettendo falsa testimonianza), modifichi la versione resa del proprio racconto, si faccia influenzare dall’emozione o dimentichi dettagli fondamentali.
Ed invero, il controesame è il momento in cui si cerca di far cadere il testimone in contraddizione, tendendo ad incalzare con le domande. Ne consegue che dovranno essere utilizzate domande che non si riducano ad una mera affermazione o un diniego, ma domande articolate volte a ricostruire la rappresentazione dei fatti.
Pertanto, l’ars retorica, tenderà alla dimostrazione dei fatti oggetti del procedimento, volta a discernere tutti quegli elementi psicologici che potrebbero influenzare la psiche del teste e, di conseguenza, alterarne i ricordi.
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