La qualificazione del contratto di lavoro. Subordinazione e rapporto di lavoro autonomo nella Gig Economy
Al fine di esaminare le problematiche connesse alla qualificazione del contratto di lavoro occorre, preliminarmente, segnalare come il libro V del codice civile non contenga una nozione di subordinazione né di contratto di lavoro subordinato.
Tuttavia, l’art. 2094 c.c. individua la figura del prestatore di lavoro subordinato in colui che “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”
In forza di tale norma, dottrina e giurisprudenza hanno enucleato i caratteri essenziali della subordinazione.
Un primo elemento è dato dalla collaborazione, che fa riferimento alla partecipazione del soggetto nell’attività lavorativa di un altro e che, tuttavia, non risulta essere elemento dirimente in quanto caratterizza anche altre forme di lavoro: si pensi al lavoro associativo o al lavoro parasubordinato. In particolare, la collaborazione consiste nell’inserimento del lavoratore all’interno dell’organizzazione del datore di lavoro. Ciò comporta la creazione di un vincolo in forza del quale il lavoratore partecipa all’attività di parte datoriale la quale dal canto suo usufruisce in maniera continuativa della prestazione lavorativa prestata.
Ulteriore elemento enucleabile dalla norma in commento è quello della dipendenza che, tuttavia, ad oggi, non costituisce tratto essenziale ed esclusivo del lavoro subordinato.
Altra caratteristica rinvenibile dall’esame della norma consiste nell’onerosità, essendo l’obbligazione contratta dal prestatore mediante retribuzione, ne consegue che, in presenza di lavoro subordinato trovi applicazione una sorta di presunzione di onerosità.
Inoltre,secondo una prima tesi, la subordinazione risulterebbe strettamente connessa con l’etero-direzione, sussistendo un rapporto di lavoro subordinato quando la prestazione è etero diretta, cioè quanto il lavoratore è sottoposto alle direttive del datore di lavoro cui spetta di determinare le modalità di esplicazione dell’attività lavorativa entro i limiti previsti da legge e contratto collettivo a tutela della personalità e dignità del lavoratore ex artt. 35 e 41 della Cost. In tal senso, si parla di subordinazione tecnico funzionale.
L’etero-direzione comporta, altresì, il coordinamento spaziale e temporale della prestazione operato dal datore di lavoro al fine di un proficuo impiego della stessa al’interno dell’organizzazione aziendale.
Tale concezione, nel tempo, ha subito notevoli mutamenti a seguito dello sviluppo ed ampliamento di notevoli margini di autonomia anche nel campo della subordinazione.
Nel tempo, infatti, i processi produttivi e l’organizzazione produttiva appaiono notevolmente mutati rispetto al passato.
Le mansione del lavoratore, infatti, si sono riempite di contenuti cognitivi, abbandonano l’idea della mera esecutività; ne consegue un ampliamento della sfera di autonomia del prestatore nell’esecuzione delle stesse.
Ciò ha condotto all’affermazione della tesi della subordinazione in senso stretto che fa perno sulla doppia alienità del lavoratore subordinato sia dall’organizzazione produttiva in cui è integrata la prestazione, che dal risultato della stessa “di cui il titolare dell’organizzazione è immediatamente legittimato ad appropriarsi”(Roccella).
Carattere precipuo del lavoro subordinato risulterà essere l’imputazione a parte datoriale dell’attività svolta dal prestatore.
L’attività di lavoro verrà materialmente e giuridicamente imputata ad un soggetto diverso da chi li pone in essere, pertanto, su parte datoriale ricadranno i frutti dell’attività lavorativa ed il connesso rischio economico.
Tuttavia, ad oggi, giurisprudenza maggioritaria tende ad affidarsi al tradizionale criterio della subordinazione tecnico- funzionale soprattutto nell’accertamento della reale natura del rapporto oggetto di giudizio, si ritiene, infatti, che pur sussistendo margini di autonomia, continua a persistere l’assoggettabilità alle direttive del di parte datoriale.
A quanto esposto emerge come la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato assuma rilevanza ai fini degli effetti giuridici prodotti.
La disciplina che regola i rapporti di lavoro subordinato si caratterizza per una marcata finalità garantista e protettiva nettamente distinta da quella prevista per il lavoro autonomo.
Il lavoratore subordinato è, infatti, tutelato da norme inderogabili che regolano tutti gli aspetti del rapporto quali, per esempio l’ inquadramento, l’ orario di lavoro, la retribuzione. Inoltre, nel momento dell’instaurazione del rapporto parte datoriale ha l’obbligo di registrare i lavoratori nella documentazione aziendale obbligatoria comunicando agli uffici competenti l’assunzione e di provvedere alle denunce obbligatorie al fine di documentare l’esistenza del rapporto di lavoro nei confronti dell’ente previdenziale, il lavoratore, inoltre, dovrà essere inquadrato ossia dovranno risultare determinate la qualifica e la categoria in base all’accordo contrattuale, alle capacità professionali ed alle mansioni da svolgere ex art. 96 disp. att. c.c.
Parte datoriale, inoltre, dovrà corrispondere una retribuzione non inferiore a quanto previsto in seno al contratto collettivo di categoria in base alla qualifica attribuita e proporzionata alla qualità e quantità di lavoro prestato, la retribuzione costituisce reddito da lavoro dipendente e, pertanto, soggetta al trattamento fiscale previsto dal D.P.R. 917/1986 ( TIUR)
Ulteriori tutele sono garantite a livello previdenziale, garantite dalle assicurazioni sociali obbligatorie in forza delle quali il lavoratore è sollevato dal rischio di eventi che incidano sulla capacità di guadagno o lavoro ( si pensi, ad esempio alla malattia generica o professionale, infortunio su lavoro o meno, invalidità, carico familiare).
Dal canto suo parte datoriale è tenuta al pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi previsti dalla normativa vigente.
In tal caso, la contribuzione grava interamente sul datore di lavoro anche se per talune gestioni pensionistiche, una parte risulta a carico del lavoratore.
In ogni caso, in entrambi i casi unico responsabile per il versamento dei contributi è i datore di lavoro ex art. 2115 comma 2 c.c.
Al contrario, il rapporto di lavoro autonomo, tradizionalmente inquadrato nella figura della locatio operis è disciplinato all’art. 2222 c.c. la quale disposizione prevede che è prestatore di lavoro autonomo chi “si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”
In passato, ai fini dell’individuazione della linea di demarcazione tra lavoro subordinato ed autonomo, ci si è concentrati sull’oggetto della prestazione, attualmente dottrina prevalente ritiene, invece, che assuma notevole rilievo la modalità con cui viene eseguita la prestazione dedotta in contratto.
Al fine di individuare i criteri distintivi del rapporto di lavoro autonomo, una parte della giurisprudenza ha provveduto ad enucleare anche taluni indici che farebbero propendere per la natura subordinata del rapporto ( sent. Cass. 5495/2006).
Tali indici consistono nella collaborazione, nella continuità della prestazione, nell’osservanza di un preciso orario di lavoro, nel versamento retribuzione fissa e del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro, ed, infine, nell’assenza, in capo al lavoratore, di una struttura imprenditoriale seppur minima.
Pertanto, principali elementi distintivi possono individuarsi, ad esempio, nella posizione del lavoratore autonomo il quale gode di piena discrezionalità in merito al tempo, al luogo ed al modo di organizzazione della propria attività entro i limiti del contratto o della natura dell’opera.
Notevole rilevanza assume l’organizzazione di impresa che può caratterizzare il lavoratore autonomo e l’incidenza del rischio che gravante su di lui fatta salva, in ogni caso, l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta nell’esecuzione dell’opera per causa non imputabile ex art. 2228 c.c.
Inoltre, la determinazione del corrispettivo che, a differenza del rapporto di lavoro subordinato, nel lavoro autonomo si fonda sul risultato finale a prescindere dal tempo che il lavoratore impiega.
Ciò posto, particolari problemi si riscontrano a seguito della crescente diffusione della Gig economy, ossia di un modello economico in cui si lavora on demand, cioè al verificarsi di una richiesta di servizi, prodotti o competenze, venendo meno, così, la continuità nella prestazione.
In tal caso, domanda ed offerta vengono gestite online attraverso piattaforme ed app dedicate, si pensi al caso dell’affitto temporaneo di camere (ad es. Airbnb), o di attività da freelance come la progettazione di siti web (ad es. Upwork o Fivver), di vendita di prodotti artigianali (ad es. Etsy) e di trasporti privati alternativi ai taxi (ad es. Uber). A questi si aggiungono le consegne a domicilio (ad es. di pasti pronti, come Deliveroo e Foodora).
Nella gig economy i lavoratori sono tutti in proprio e svolgono attività temporanee di natura interinale, part time, saltuaria e provvisoria.
Recentemente, particolare eco mediatico ha ottenuto una pronuncia del Tribunale di Torino che si è pronunciata circa la configurabilità, in capo ai “rider” dell’azienda di consegne a domicilio Foodora, di un rapporto di lavoro subordinato.
In particolare, il Tribunale di Torino, con sentenza n. 778/2018, conformandosi all’orientamento prevalente, ha negato la possibilità di estendere le tutele tradizionali previste per il lavoratore subordinato anche a tali nuove forme di lavoro, ritenendo, altresì, inapplicabile la normativa introdotta dal Jobs Act finalizzata al riordino dei contratti di lavoro ed al tentativo di limitare l’abuso delle collaborazioni autonome (di cui all’art. 2, c. 1, d.lgs. n. 81/2015).
In particolare, l’art. 2 del d.lgs. 81/2015 detta una disciplina per le collaborazioni organizzate dal committente, precisando come a far data dal 1° gennaio 2016, trovi applicazione la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Tale intervento legislativo ha comportato l’estensione della disciplina del lavoro subordinato anche alle collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione vengono organizzate dal committente con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro.
A parere dei giudici del Tribunale di Torino, in capo ai ciclo fattorini, risulta sussistere un margine di potere dispositivo in quanto, si legge in sentenza, essi negoziano con il committente sia il luogo di lavoro che il tempo di lavoro, tuttavia, possono in qualsiasi momento rifiutare di eseguire ordini specifici inviati a mezzo di una app.
L’azienda dal canto suo pubblica i cosiddetti slotcon ossia i turni di lavoro, a questo punto il lavoratore può o meno dare la propria disponibilità per i turni suddetti ed, una volta inserito in quel determinato turno, sarà comunque libero di presentarsi o meno.
Pertanto, la prestazione risulterebbe priva di qualsivoglia forma di comunicazione preventiva e risulterà possibile in qualunque momento revocare la propria disponibilità per mezzo della funzione swap.
In forza di tali argomentazioni, il tribunale di Torino ha respinto il ricorso presentato dai sei fattorini in bici (c.d. riders), che contestavano l’improvvisa interruzione del lavoro a seguito delle mobilitazioni del 2016 finalizzate all’ottenimento di un corretto trattamento economico e lavorativo, reintegro e l’assunzione, oltre al risarcimento e ai contributi previdenziali non goduti.
Il tribunale ha, infatti, ritenuto che tale rapporto non possa inquadrarsi all’interno del rapporto di lavoro subordinato .
Secondo i giudici del tribunale di Torino, infatti, i riders sarebbero da inquadrare nella categoria di lavoratori autonomi non legati da alcun rapporto di lavoro subordinato con l’azienda, considerando l’attività di lavoro svolta nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, dal momento che il collaboratore ha organizzato autonomamente l’attività lavorativa di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c. come modificato dalla l. n. 81/2017, c.d. Jobs Act.
Pertanto, se è vero che in forza di tale pronuncia si è cominciato ad avere contezza del problema delle tutele applicabili a tali nuove forme di lavoro, tuttavia, la questione resta ancora aperta.
In particolare, taluni ritengono che le vie percorribili al fine di risolvere tali annose questioni risulterebbero essenzialmente due.
Da una parte c’è chi propende per un intervento legislativo che reintroduca un salario orario minimo, tutele previdenziali e anti-infortunistiche come quelle previste per il lavoro accessorio, ora abolito, ed oggetto di un crollo vertiginoso derivante dalle drastiche restrizioni introdotte dalla nuova disciplina del lavoro occasionale (art. 54 bis della legge n. 96/2017 di conversione del D.L. n. 50/2017). In altra direzione, c’è chi, invece, propende per un intervento della contrattazione collettiva che risulterebbe utile al fine di creare forme di tutela originale ed adeguate a tali nuove forma di organizzazione del lavoro.
Occorre precisare che in alcuni paesi, come Gran Bretagna e Francia, indipendentemente dalla qualificazione della prestazione lavorativa come subordinata o autonoma, tale segmento di forza-lavoro, risulti tutelata. Trovano applicazione, infatti, svariate forme di tutela che coinvolgono sia il diritto alla parità di trattamento e non discriminazione, sia alla coalizione ed autotutela collettiva, prevedendo,un trattamento retributivo non inferiore a uno standard minimo, formazione professionale continua, servizi efficaci di assistenza nel mercato del lavoro nelle transizioni occupazionali, nonché assicurazioni pensionistica, antiinfortunistica e per malattia.
A seguito della sentenza del tribunale di Torino, anche in Italia si registrano taluni tentativi a livello territoriale al fine ottenere tutele adeguate da riservare a tali categorie di lavoratori; un caso particolare è quello del comune di Bologna in cui è stata varata la c.d. la Carta dei diritti dei lavoratori digitali.
Tali interventi si propongono di indurre il legislatore nazionale ad un adattamento della normativa vigente alla nuove ed ormai consolidate forme di economia (gig economy, e-commerce etc) .
Seguendo tale trend, taluni, affermano che ciò consentirebbe di abbandonare l’idea che tali forme contrattuali possano fondarsi esclusivamente su meri algoritmi, incentivando, invece, un sistema cooperativo che tenga conto anche delle esigenze dei consumatori e dei lavoratori e delle correlate tutele.
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Avv. Barbara Sciacca
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