La ragionevole durata del piano nelle procedure di composizione della crisi ex L. n. 3/2012
Questo contributo intende analizzare il ruolo assunto dalla durata del piano proposto nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento previste dalla L.n.3/2012.
In premessa va precisato che nel nostro sistema è assente un dato normativo univoco che consenta di stabilire in maniera diretta i confini temporali entro il quale devono concludersi i piani che propongono i soggetti che beneficiano dell’ammissione alla procedura di sovraindebitamento.
Un punto di partenza nell’indagine si rinviene nella disciplina aziendalistica e nella giurisprudenza formatasi sul concordato preventivo di cui la procedura di sovraindebitamento è di fatto un’emanazione.
Secondo un’autorevole dottrina aziendalistica, un piano può dirsi realizzabile solo entro un arco temporale ricompreso tra i tre e i cinque anni, in quanto la riduzione della durata della procedura consente di ridurre il rischio di mal prevedere le tendenze future, che potenzialmente possono compromettere la riuscita del piano. Quindi secondo questo orientamento il concordato preventivo in continuità aziendale non potrebbe avere durata superiore ai cinque anni. In caso di previsione di durata superiore, l’interessato dovrebbe motivare adeguatamente la scelta operata e, soprattutto, dovrebbe predisporre misure dirette a prevenire rischi non agevolmente pronosticabili che possono, comunque, compromettere l’attuazione del piano medesimo (v. Tribunale Avezzano 22 ottobre 2014).
È altrettanto notorio che la giurisprudenza di merito, soprattutto in passato, ha subordinato in modo pressoché unanime tanto l’ammissione quanto l’omologazione del concordato al rispetto di un limite temporale di esecuzione del piano, di norma individuato in cinque anni. Tra le altre anche la Corte di cassazione, con la sentenza numero 1521/2013 resa a Sezioni Unite, ha affermato che la risoluzione della crisi tramite concordato ha come elemento essenziale la ragionevole breve durata della sua esecuzione, anche in ragione del principio previsto dall’art. 111 Cost. e dei parametri di cui alla L.n.89/2011. Per ragioni di prevedibilità di esecuzione del piano, nonché di ammissibilità del sacrificio dei diritti dei creditori, sarebbe previsto il medesimo limite implicito nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione ex L.n.3/2012.
Vero è da un lato, infatti, che la realizzazione del piano del consumatore è per così dire coattiva considerato che i creditori non possono votare ed esprimere il proprio consenso o dissenso rispetto al piano proposto e che di conseguenza il piano proposto dal consumatore è soggetto ad un limite ed un controllo più rigido, imponendo al giudice di dichiararlo inammissibile se eccede la durata quinquennale. È altrettanto vero, però, che la durata quinquennale è derogabile in caso di stipulazione di un accordo col creditore esterno al piano, in tal modo contemperandosi le contrapposte esigenze (v. Tribunale di Rovigo 24 maggio 2016 e Tribunale di Padova 13 aprile 2018).
Le motivazioni della dottrina aziendalistica e della giurisprudenza citata si fondano quindi sulla circostanza che gli strumenti della crisi o dello stato di sovraindebitamento non possono “avallare una lettura normativa che abbia quale faro esclusivo la tutela del debitore, dovendosi riconoscere anche la tutela del creditore pena lo stravolgimento – ed in ultima analisi, il pericolo di tracollo – del sistema economico” (utilizzando le parole del Tribunale di Rovigo).
Ciò detto è però vero che può essere considerato altresì non appagante e dannoso per gli interessi dei creditori individuare un termine predeterminato entro il quale quelle procedure debbano concludersi. Considerato che al fine di sottoporre a verifica di ragionevolezza la durata della procedura secondo il piano proposto va effettuato un bilanciamento degli interessi contrapposti di rango costituzionale quali la ragionevole durata dei procedimenti e l’effettività della tutela giurisdizionale appare preferibile valutare ogni singola fattispecie con le sue specificità.
Pertanto va assegnato rilievo ai caratteri peculiari ed alle specificità di ogni singola proposta di piano del consumatore o di accordo di ristrutturazione in un’ottica di lettura maggiormente aderente alla ratio della L.n.3/2012, che, lo ricordiamo, è ispirata all’esigenza di matrice comunitaria di tutela dell’impresa e del consumatore attraverso strumenti di risoluzione della crisi o dello stato di sovraindebitamento.
Rispetto a proposte di concordato preventivo, agli accordi di ristrutturazione e di composizione della crisi da sovraindebitamento, è facoltà del ceto creditorio quella di curare i propri interessi esprimendo un voto negativo su piani che prevedano pagamenti ritenuti troppo dilazionati nel tempo.
In conclusione, sia nel caso del piano del consumatore che dell’accordo di ristrutturazione, considerata la ratio della L.n.3/2012 le contrapposte esigenze di debitori e creditori possono trovare un punto di partenza nella durata quinquennale e non un punto di arrivo inderogabile. D’altro canto la giurisprudenza si sta già muovendo in questa direzione (v. Tribunale di Bari 10.04.2018).
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