La reale portata del c.d. “diritto all’oblio”

La reale portata del c.d. “diritto all’oblio”

Quando si parla di diritti non è sempre agevole individuare la loro portata concreta e, in particolar modo, quando questi devono essere bilanciati con altri diritti o posizioni giuridiche tutelate dall’ordinamento.

Non è facile per gli interpreti, perciò, stabilire fino a che punto il c.d. “diritto all’oblio”, ovvero il “diritto ad essere dimenticati”, in quanto espressione del diritto alla riservatezza, può andare a limitare il “diritto di cronaca” e il più generale “diritto all’informazione”.

La Suprema Corte è intervenuta sulla questione, con la sentenza n. 13161 del 24 giugno 2016, confermando il principio sancito dai colleghi del Tribunale di Ortona: “La facile accessibilità e confutabilità dell’articolo giornalistico, molto più dei quotidiani cartacei tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale online, consente di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale sia trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate con lo stesso potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, e che quindi, almeno dalla data di ricezione della diffida, il trattamento di quei dati non poteva più avvenire…”.

A parere dei Giudici della Suprema Corte “la grande accessibilità di un pezzo pubblicato online consentirebbe di ritenere che, in due anni e mezzo, l’interesse pubblico alla conoscenza della notizia sia stato soddisfatto e, dunque, il “diritto alla privacy” del singolo deve tornare a prevalere su quello della collettività ad informarsi e di un giornale ad informare”.

Al di là del tempo trascorso dalla pubblicazione della notizia ciò che deve fungere da “filtro” per la cancellazione o meno di una notizia da un giornale on-line è pur sempre l’interesse pubblico alla notizia, solo qualora si sia in presenza di un fatto di notevole rilevanza sociale il diritto di cronaca può prevalere sul “diritto alla privacy” del singolo individuo, il c.d. “diritto alla riservatezza” è, infatti, oramai inquadrabile tra i diritti della personalità che hanno assunto rilevanza costituzionale.

Tale decisione si inserisce a pieno titolo nel nascente filone giurisprudenziale in materia di diritto alla cancellazione e alla rettifica di notizie e articoli reperibili online già affermatasi nel nostro Paese prima della sentenza Google Spain (Cass., 9/4/1998, n. 3679; Cass., 25/6/2004, n. 11864 e da ultimo Cass., 05/04/2012, n. 5525), ma che solo in seguito al rebranding in “right to be forgotten operato dalla Corte di Giustizia UE sembra avere acquisito quella mondanità giuridica e legittimità propria all’interno delle aule di tribunale.

Fondamento normativo cardine dell’odierno pensiero giuridico nostrano sul diritto all’oblio, al netto della disciplina prevista dall’entrata in vigore del Regolamento Privacy Europeo, deriva dal Codice in materia di protezione dei dati personali del 2003, i cui principi di pertinenza e non eccedenza già contemplavano coerentemente esigenze di aggiornamento e cancellazione di notizie online attraverso l’istituto dell’esercizio dei diritti da parte dell’interessato.

Di sicuro l’opera degli interpreti del diritto tesa a definire la reale portata del c.d. “diritto all’oblio” è ancora in piena evoluzione per cercare addivenire al miglior contemperamento possibile tra l’interesse del singolo e quello della collettività.

E’ necessario, però, rifuggire qualsiasi astrazione e verificare, caso per caso, in concreto se vi è, trascorso un ragionevole lasso di tempo, un reale interesse alla notizia tale da poter giustificare il sacrificio e la compromissione del diritto alla riservatezza dell’individuo e, quindi, alla sua vita di relazione e alla piena realizzazione della personalità umana.

Vastola Giuseppina


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