La recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 6459/2020 in tema di leasing e norma sopravvenuta
Il diritto civile è un diritto dinamico in cui l’analisi sistematica ed argomentativa gioca un ruolo fondamentale per la trattazione di diversi istituti e problematiche attuali. Fra questi sicuramente vi rientra la questione attinente agli effetti della risoluzione per inadempimento del contratto di diritto leasing, con riguardo ai profili di intertemporale. Alla base questa tematica più generale di contratto di durata e degli effetti che produce la norma sopravvenuta.
Il codice civile del 1942, una differenza della disciplina precedente, non contiene una tassonomia dei diversi contratti. La dottrina ha comunque operato, in modo sistematico, una classificazione al fine di rende più lineare la trattazione.
In questa sede è attinente l’analisi con specifico riguardo alla fase di attuazione del contratto distinguendo così contratti ad esecuzione istantanea e contratti ad esecuzione continuata o periodica, cosiddetti contratti di durata. Infatti il contratto di leasing, sopra citato, è un contratto di durata più specificatamente un contratto ad esecuzione continuata. La caratteristica principale è che la prestazione è continuativa nel tempo, mentre nel caso di contratto ad esecuzione periodica la prestazione viene ripetuta nel tempo in maniera non continuativa, come avviene nella somministrazione. Nei contratti di durata la prestazione in oggetto si protrae nel tempo in quanto è destinato a soddisfare un bisogno durevole delle parti.
La distinzione che intercorre tra i contratti di durata ei contratti ad esecuzione istantanea si indirizza essenzialmente agli istituti del recesso e della risoluzione. In particolare, due sono gli articoli di riferimento: l’art. 1373 II comma cc e l’art. 1458 cc. Dal primo disposto normativo si evince che il recesso unilaterale può essere esercitato anche in fase di esecuzione del contratto, ma non produce effetti per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. All’art. 1458 cc la logica sottesa è analoga: l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. Il legislatore nel non specificare i contratti ad esecuzione istantanea porta a valutare che tale silenzio significhi che tali contratti seguano la disciplina generale degli effetti del recesso e della risoluzione dei contratti.
I contratti di durata, come evidenziato, non dispongono di una definizione espressa all’interno del codice civile, ma alcuni articoli del Codice civile ed extra codice, ne delineano la disciplina generale. Rilevanti, nel Codice civile, sono i già citati articoli 1373 e 1458. Quest’ultimo risulta sistematicamente collegato all’art. 1467 cc in virtù del quale viene disciplinata la sopravvenienza dell’eccessiva onerosità per il verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili: la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione ai sensi dell’art. 1458 cc. Altro articolo rilevante è il 1360 cc, in particolare il II comma, il quale disciplina la condizione risolutiva apposta su un contratto di durata. L’avveramento della stessa non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite, salvo vi sia stato un patto tra i contraenti che lo disponga. Anche questa ultima disposizione differenzia ulteriormente il contratto in analisi con il contratto ad esecuzione istantanea.
Invece, un articolo presente al di fuori del Codice civile, nello specifico, nella Legge n. 267/1942 cosiddetta legge fallimentare, è l’art. 74. Tale disposto normativo viene proprio rubricato “contratti ad esecuzione continuata o periodica”, ma anche in questo caso non si definisce il perimetro e le caratteristiche di tale tipologia di contratto. La norma, invece, specifica l’ipotesi in cui il curatore fallimentare subentra in un rapporto di durata il quale deve corrispondere una somma omnicomprensiva anche delle consegne già avvenute o i servizi già erogati.
Questa disciplina, a differenza di quella presente all’interno del Codice civile, sembra perseguire logiche diverse in quanto le prestazioni già eseguite non ricadono nel procedimento del recesso e della risoluzione, ma devono rientrare nel prezzo corrisposto dal curatore fallimentare. In realtà la logica sistematica perseguita è la medesima ossia la tutela della parte più debole. Nel contratto di leasing, ad esempio, ad essere tutelato è l’utilizzatore del bene a discapito della parte più forte che, nel caso di specie, è il concedente.
Inoltre, in questa categoria di contratti, caratterizzati da un ampio decorso temporale tra il momento del perfezionamento del contratto e il momento del completamento dell’esecuzione dello stesso, può succedere che si presentino delle sopravvenienze di natura contrattuale o, altresì, legale che comportano una alterazione dell’equilibrio economico nel rapporto, pregiudicando la funzione del contratto successivo alla sua stipulazione. Questa dinamica comporta anche a pregiudicare l’interesse di una delle parti rispetto allo stesso con la conseguente alterazione del nesso sinallagmatico. Caso analogo può, altresì, configurarsi nel caso di sopravvenienza di una norma.
Paradigmatico è il caso della risoluzione del contratto di leasing e la conseguente entrata in vigore della legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 214 del 2017.
Il contratto di leasing è un negozio giuridico socialmente tipico che trae origine dal sistema di common law. Non vi è una disciplina ad hoc, ma il frequente utilizzo nel campo economico-finanziario ha comportato la stipulazione di tali contratti secondo regole e prassi precostituite.
Il contratto di leasing può essere finanziario ovvero operativo. Il rapporto intercorre tra un locatore che concede il diritto di utilizzare un determinato bene dietro il pagamento di un canone periodico ad un altro soggetto chiamato utilizzatore. Quest’ultimo, alla scadenza del contratto può beneficiare della facoltà di acquistare il bene, previo l’esercizio dell’opzione di acquisto, cosiddetto riscatto, con un corrispettivo pagamento, comunemente chiamato prezzo di riscatto.
Come ogni contratto, anche quello di leasing, può presentare dei rischi. In questo caso però la valutazione non risulta semplice in quanto si articola sulla base di molteplici parametri. Il locatore, infatti, deve valutare il rischio dell’operazione posta in essere e considerare la congruità del prezzo del bene, le sue caratteristiche di utilizzo e di profitto produttivo, la sua valenza sul mercato, la sua recuperabilità e il suo valore in caso di rientro anticipato dovuto all’insolvenza dell’utilizzatore. È proprio questo ultimo profilo che, con l’entrata in vigore della L. 124/2017, ha subito diverse posizioni giurisprudenziali.
Il contratto di leasing, per comprendere meglio questo profilo, viene inquadrato quale combinazione tra il contratto di vendita con patto di riservato dominio, ai sensi dell’art. 1523 cc, e del contratto di locazione di cui all’art. 1571 cc. Per questa ragione la disciplina rispecchia parte di questi contratti. Infatti nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore si applicava la disciplina di cui all’art. 1526 cc. Questa norma afferma che, in caso di insolvenza, il venditore, nonché il concedente, deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Nell’ipotesi in cui, invece, si è convenuto che le rate pagate restano acquisite al concedente a titolo d’indennità il giudice può ridurre l’indennità convenuta. Inoltre, l’ultimo comma, del suddetto articolo, specifica che questa disciplina si applica, altresì, alla locazione.
Con l’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 la prospettiva cambia. Nello specifico il comma 137 configura il “grave inadempimento” dell’utilizzatore tale da giustificare la risoluzione del leasing finanziario con la specificazione che, nell’ipotesi di leasing immobiliare, allorquando il conduttore non versa almeno sei cannoni ovvero un importo equivalente. Fondamentale, in tema di risoluzione, è il seguente comma 138 in virtù della quale il “concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita”.
In particolare la vicenda molto recente sottoposta all’analisi delle Sezioni Unite riguarda il caso del fallimento dell’utilizzatore, sulla risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore. Rilevante, pertanto, risulta essere anche la disciplina prevista all’art. 72 della L. fallimentare. Tale disposto normativo disciplina l’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente. Un ruolo fondamentale lo riveste la trascrizione della domanda.
Nel caso di specie le Sezioni Unite si sono trovate a pronunciarsi su una vicenda processuale in cui una società di leasing, che aveva esercitato il proprio diritto a vedersi corrisposte le rate scadute e non pagate di un contratto di leasing strumentale. L’utilizzatore si era reso inadempiente e, successivamente, aveva dichiarato il fallimento. Di conseguenza la società aveva chiesto di poter entrare nella procedura fallimentare, ma l’istanza di ammissione al passivo veniva rigettata in applicazione dell’art. 1526 cc. La ratio di questa posizione da parte del giudice consisteva nel fatto che il rapporto era stato risolto prima della dichiarazione di fallimento. Al concedente, infatti, era dovuto soltanto un equo compenso per l’uso della cosa. Inoltre, secondo il giudice a quo, l’utilizzatore aveva versato una somma superiore all’equo compenso calcolato e per questo il concedente doveva restituire parte dell’eccedenza al curatore fallimentare. La società di leasing proponeva ricorso per Cassazione affermando, altresì, la non risolubilità da inadempimento in quanto il contratto di durata oggetto della questione era già giunto alla sua scadenza.
A tal proposito, preliminarmente, le Sezioni Unite si sono pronunciate mettendo in luce un principio generale applicato però ad altre tipologie di contratto, come al mandato, tale per cui la cessazione di efficacia di un contratto, per lo spirare del termine di durata, non preclude la possibilità di ricorrere a rimedi risolutori per un inadempimento che si è venuto a creare. Questa scelta si basa soprattutto sul principio generale del potere di autonomia privata delle parti, in particolare di quello non inadempiente. L’art. 1453 cc, proprio in tema di risolubilità del contratto per inadempimento, disciplina l’alternatività dei rimedi quale l’adempimento e la risoluzione. In questo articolo si presume una prevalenza della risoluzione. La ratio insita nella tutela della parte adempiente il quale in ragione della cessazione fisiologica del termine di durata del contratto, sarebbe privato della possibilità di far valere l’inadempimento dell’altra parte.
In parallelo, però, il rimedio della risoluzione deve essere verificato caso per caso, in quanto deve sussistere un concreto ed attuale interesse alla tutela azionata che, in linea generale, non potrebbe dirsi laddove, essendo la pretesa circoscritta all’adempimento dei corrispettivi insoluti ovvero al risarcimento del danno, trovi immediato rilievo la disciplina di cui all’art. 1458 I comma cc, in virtù della quale gli effetti della risoluzione non si estendono alle prestazioni già eseguite.
In conseguenza di queste considerazioni giuridiche, si verrebbe a sterilizzare le conseguenze liberatorie e restitutorie che discendono dalla risoluzione, caratterizzata dalla retroattività.
Sul piano delle concretezze, pertanto, in caso di fallimento dell’utilizzatore, sulla risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore l’alternativa suddetta non viene ricompresa. L’alternativa, in questo caso, è tra la disciplina del 1526 cc e l’art. 72 quater della Legge fallimentare. È proprio in questo incrocio che sorge un problema di diritto intertemporale.
Infatti con l’entrata in vigore della L. n. 124/2017 è venuta meno la distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento, essendo stata ascritta una disciplina unitaria, in virtù della quale non si applica più l’art. 1526 cc, bensì si consente al concedente di pretendere dall’utilizzatore di trattenere i canoni pagati e il pagamento di quelli scaduti e non pagati ed esigere, altresì, quello ancora a scadenza, in contrasto con la disciplina che prevede solo un equo compenso.
Due sono gli orientamenti giurisprudenziali che si sono sviluppati. Una prima prospettiva dava conto al diritto vigente formatosi sulla distinzione fra leasing finanziario, di godimento e traslativo e della affermata diversità di regole applicabili, ribadendo in modo coeso l’applicabilità dell’art. 1526 cc in tema di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing. Tale orientamento non sarebbe mutato neanche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 72 quater della L. 267/1942, in caso di fallimento dell’utilizzatore.
Una seconda tesi, invece, ha ritenuto maggiormente necessario valorizzare, in via interpretativa, la disciplina entrata in vigore con la L. 124/2017 giungendo alla conclusione che, in virtù di tale normativa, l’art. 1526 cc non possa trovare applicazione in caso di risoluzione per inadempimento nei contratti di leasing. Pertanto, sotto questo più recente orientamento, gli effetti della novità legislativa si riverberebbero anche sui contratti cui non sarebbero applicabili ratione temporis, per effetto di una interpretazione storico-evolutiva. Da questa posizione si giungerebbe ad affermare che l’art. 72 quater della Legge fallimentare disciplinerebbe, in via analogica, le conseguenze della risoluzione dei contratti di leasing antecedente al fallimento dell’utilizzatore e sottratti ratione temporis all’efficacia diretta della L. 124/2017.
Queste due interpretazioni contrastanti hanno portare a pronunciarsi, recentemente, le Sezioni Unite con la sentenza n. 6459 del 06.03.2020 supportato così l’orientamento più tradizionale, assicurando così continuità al diritto vivente di risalente formazione che fonda la disciplina nell’art. 1526 cc. La posizione delle Sezioni Unite è supportata da diverse argomentazioni di carattere sistematico e frutto di una analisi trasversale.
Infatti, al fine di colmare l’eventuale lacuna che l’ordinamento può presentare dinanzi al caso concreto, il procedimento analogico deve seguire la disciplina presente all’art. 12 delle Preleggi, in particolare il II comma. Nel caso di specie, però, rilevante è l’art. 11 in base alla quale “la legge non dispone che per l’avvenire” in forza della quale, allorquando non sia il legislatore stesso a disporre in via retroattiva un tale potere non è esercitabile dal giudice. Infatti, con l’entrata in vigore della L. 124/2017 si pone una questione attinente agli effetti intertemporali rispetto alla disciplina previgente che, se non regolati direttamente dall’ordinamento, sono da risolversi in base alla teoria cosiddetta del fatto compiuto.
Alla luce di ciò, attraverso questa analisi, si torna, in modo circolare, ad affermare come il contratto di leasing sia un contratto socialmente tipico, articolato in distinte forme e struttura dalla stessa pratica commerciale, unificate dall’operazione di finanziamento il quale si consente di effettuare e svolgere il procedimento classico di tale tipologia di rapporto. Questa distinzione che si è creata tra leasing di godimento e leasing traslativo presenta il compito di far fronte alle diverse esigenze del caso e di porre un limite al dispiegarsi dell’autonomia privata laddove questa comporti arricchimenti ingiustificati del concedente.
Al contempo, la Legge 124/2017 ha disciplinato alcuni aspetti e caratteri settoriali, ma non presenta un carattere retroattivo, in quanto il Legislatore non ha posto in essere indici che consentano di riconoscerle efficacia regolatrice per il passato. Questa normativa interviene in modo del tutto innovativo, volta a colmare una lacuna circa la disciplina del contratto di locazione finanziaria.
In conclusione l’efficacia della L. 124/2017 è pro-futuro dato dal fatto che il Legislatore non si è preoccupato di dettare una disciplina provvisoria intertemporale riguardo ai rapporti contrattuali in corso di svolgimento al momento della sua entrata in vigore. Pertanto, i contratti di leasing traslativo risolti prima dell’entrata in vigore della normativa del 2017 seguono la disciplina dell’art. 1526 cc, in via analogica. Al contempo la legge n. 124 del 2017 viene applicata ai contratti di locazione finanziaria per i quali non si sono ancora verificate le condizioni di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore al momento della sua entrata in vigore.
Infine, in merito all’art. 72 quater della Legge fallimentare è doveroso affermare che si tratta di una norma eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale, tale per cui, a seguito dell’inadempimento del contratto da parte dell’utilizzatore non è possibile effettuare una applicazione analogica per risolvere il contratto di locazione, poiché quest’ultimo rappresenta un istituto completamente diverso con riferimento anche alla tutela concordata ossia restitutoria e non anche risarcitoria nell’ipotesi di scioglimento del contratto.
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Debora Fantini
Laureata in giurisprudenza e diplomata alla Scuola di specializzazione delle professioni legali presso l'Università di Parma. Ha svolto l'attività di Tirocinante presso il Tribunale e la Procura di Parma, nonchè l'attività di praticante legale.
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