La responsabilità civile del datore di lavoro: delimitazione dei danni risarcibili
La responsabilità del datore di lavoro per mancato rispetto dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c., è stata, in più occasioni, oggetto di analisi da parte della giurisprudenza di legittimità, che, di recente, ne ha ribadito la natura ed i confini.
Con le sentenze 5.1.2018 n. 146 e 15.1.2018 n. 749, la Corte di Cassazione ha chiarito che alcun risarcimento è dovuto al lavoratore in presenza di una condotta del medesimo del tutto avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa cui è preposto, nonché, a fronte di comportamenti abnormi ed imprevedibili.
Più precisamente, il datore di lavoro non può essere sempre riconosciuto responsabile per gli infortuni avvenuti ai dipendenti in azienda, ma lo è solo quando il sinistro sia riconducibile ad un suo comportamento colpevole, collegato alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza imposto da norme di legge, ovvero, desumibile dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
Il contenuto dell’obbligo di sicurezza e prevenzione di cui all’art. 2087 c.c.
Ai sensi dell’art. 2087 c.c. l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
A tale precetto di portata generale, si aggiungono una serie di norme particolari, finalizzate alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, dettate in riferimento alle specifiche esigenze tecniche dei singoli settori produttivi.
In tal senso, l’art. 2087 c.c., ha funzione di adeguamento dell’ordinamento alla complessità della realtà socio-economica, intervenendo, in via sussidiaria, laddove la specifica normativa di settore – inidonea a contemplare ogni fattore di rischio – presenti delle lacune[1].
Ebbene, il datore di lavoro deve osservare, oltre a tutta la normativa di settore, anche le comuni regole di prudenza, diligenza e perizia, onde adottare tutte le misure imposte dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica.
L’esonero dalla responsabilità civile per infortunio o malattia professionale opera, infatti, a favore del datore di lavoro, esclusivamente per gli eventi coperti dall’assicurazione obbligatoria e salvo il caso in cui sia intervenuta sentenza dichiarativa della responsabilità penale del medesimo, o di altri suoi dipendenti, in relazione al fatto dal quale è derivato l’evento dannoso (art. 10, d.p.r. n. 1124/1965) [2]. Per i danni eccedenti tale copertura, viceversa, la responsabilità civile datoriale non è in alcun modo limitata, trovando applicazione la clausola generale di cui all’art.2087 c.c.
Costituisce ius receptum il principio secondo cui, alla stregua delle norme in tema di sicurezza sul lavoro, la parte datoriale è tenuta a predisporre oltre alle migliori misure tecnicamente possibili, di tipo igienico, sanitario e antinfortunistico, anche quelle volte ad evitare eventi, come l’aggressione ad opera di terzi, che, benché non direttamente legati al processo produttivo, si presentino in alcuni settori con frequenza periodica[3].
Sul punto, giova rilevare che, il datore di lavoro riveste una posizione primaria di garante della sicurezza, in quanto soggetto che organizza l’attività produttiva. La sua sfera di attribuzioni e competenze ha, dunque, carattere generale ed investe tutta la politica aziendale.
Ne deriva la configurabilità di una responsabilità datoriale anche penale, per cooperazione colposa nel delitto doloso commesso da terzi, nel caso in cui una determinata condotta – inosservante degli obblighi di sicurezza, dettati da specifiche disposizioni normative oltre che dalla comune prudenza e diligenza – sia valutata dal giudice causalmente efficiente, unitamente al comportamento doloso di terzi, a cagionare il reato.
In particolare, il datore risponderà della propria condotta omissiva, secondo il meccanismo di cui all’art. 40, comma 2, c.p., ai sensi del quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”[4].
Sul piano civilistico, poi, la circostanza che il fatto dell’infortunio o della malattia professionale integri contemporaneamente l’inadempimento di un’obbligazione derivante da un contratto validamente concluso tra le parti e la lesione di un diritto soggettivo primario, quale quello alla salute, consente di rilevare come la responsabilità datoriale presenti, al contempo, aspetti tipici della responsabilità contrattuale e di quella extracontrattuale[5].
A prescindere dal fatto che il danneggiato si avvalga dell’azione aquiliana ovvero di quella contrattuale, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che quella di cui all’art. 2087 c.c. è, comunque, un’ipotesi di responsabilità colposa e non oggettiva[6].
Affinché sussista una responsabilità risarcitoria, infatti, non è sufficiente che nello svolgimento del rapporto di lavoro si sia verificato un evento dannoso in pregiudizio del lavoratore, ma occorre che tale evento sia ricollegabile ad un comportamento colposo del datore di lavoro.
Più precisamente, attraverso un giudizio di prognosi postuma, il giudice dovrà accertare che il datore di lavoro fosse in condizione di rappresentarsi l’evento dannoso e, ciò nonostante, vi abbia dato causa. per colpa specifica (violando leggi, regolamenti o discipline), per colpa generica (avendo agito con imprudenza, imperizia o negligenza), ovvero, per dolo (agendo con coscienza e volontà).
Il requisito soggettivo della colpa, che accomuna responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, deve, però, essere coordinato con il differente regime probatorio che differenzia le due tipologie di responsabilità.
Difatti, il danneggiato che intende agire ai fini risarcitori ex art. 2043 c.c., è tenuto a provare tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito e, quindi, di aver subito un danno ingiusto, che tale danno è stato causato dal fatto doloso o colposo di un altro soggetto e la sussistenza di un nesso di causalità tra il fatto e il danno subito.
Il creditore che vuole far valere la responsabilità contrattuale per inadempimento del debitore, invece, ha un onere probatorio molto meno pregnante, dal momento che, ai sensi dell’art. 1218 c.c., deve solo provare il titolo da cui deriva il proprio diritto, potendosi limitare ad una mera allegazione dell’inadempimento della controparte: spetta, infatti, al debitore dimostrare che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile.
In proposito, la giurisprudenza ha sostenuto che, laddove si agisca per far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, nella domanda di danno da infortunio sul lavoro, il riparto degli oneri probatori si pone negli stessi termini fissati dall’art. 1218 c.c. con riferimento all’inadempimento delle obbligazioni[7].
Il lavoratore, il quale agisca per il riconoscimento del danno da infortunio sul lavoro, non deve, quindi, provare la colpa della controparte – dal momento che è il debitore-datore convenuto ad essere gravato dell’onere di provare il proprio adempimento, o che l’inadempimento sia dovuto a causa a lui non imputabile – ma è comunque soggetto all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che il datore ha posto in essere un comportamento contrario ai propri doveri di tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro[8].
Al riguardo, la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., per l’infortunio occorso al lavoratore nel luogo ed in costanza di lavoro, sussisterà, non solo quando il datore ometta di adottare le idonee misure protettive ma, anche quando ometta esclusivamente di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente[9].
Ne consegue che, la circostanza che il lavoratore non si sia attenuto all’osservanza delle direttive e delle norme antinfortunistiche impartitegli non esclude l’indennizzabilità dell’evento dannoso, né la responsabilità del datore di lavoro, potendo rilevare ai soli fini della quantificazione del danno risarcibile.
Per costante giurisprudenza, infatti, le norme in tema di infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il prestatore di lavoro non solo dagli eventi dannosi derivanti dalla sua disattenzione ma anche da quelli riconducibili a negligenza, imperizia e imprudenza[10].
Tanto in considerazione della particolare rilevanza, anche pubblicistica, degli interessi coinvolti nell’esecuzione della prestazione lavorativa, la cui tutela comporta il riconoscimento in capo al datore di lavoro di un obbligo di controllo costante, volto ad impedire comportamenti dei lavoratori tali da rendere inutili o insufficienti le apprestate cautele tecniche. Il datore di lavoro, pertanto, non solo deve approntare le misure antinfortunistiche, ma ha, altresì, l’obbligo di vigilare affinché tali misure siano attuate ed i lavoratori si avvalgano, correttamente, dei dispositivi di protezione messi loro a disposizione.
Resta fermo, tuttavia, che non trattandosi di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, la rilevanza causale della condotta datoriale dovrà essere valutata in concreto sulla base dei criteri di prevedibilità ed evitabilità del danno.
Ed invero, sussisterà responsabilità esclusiva del lavoratore, a fronte di una condotta anomala ed imprevedibile del medesimo, del tutto estranea all’attività lavorativa e conseguenza di una sua scelta puramente arbitraria.
Tale condotta, qualora assuma rilievo di antecedente autonomo e sufficiente dell’evento, con i caratteri della imprevedibilità ed eccezionalità, consente di escludere qualsivoglia ipotesi di responsabilità datoriale[11].
Al riguardo, la giurisprudenza è concorde nell’affermare che, il datore di lavoro è totalmente esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, in modo da porsi quale causa esclusiva dell’evento, così integrando il cd. “rischio elettivo”: una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile ma, esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata[12].
Il “rischio elettivo” rappresenta, infatti, una deviazione arbitraria dalle normali modalità lavorative, per finalità personali, che comporta rischi diversi da quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione, così esonerando da responsabilità il datore di lavoro nonché escludendo l’indennizzabilità del lavoratore coinvolto[13].
Analogamente, nell’ipotesi di dolo del lavoratore, qualora il comportamento del danneggiato risulti essere stato deliberatamente preordinato a subire l’infortunio, deve escludersi la riconducibilità del danno sopravvenuto al rischio specifico determinato dall’inadempimento dell’obbligo di protezione.
La condotta del prestatore, volontariamente violatrice delle disposizioni di sicurezza impartite dal datore di lavoro, elide il nesso causale tra l’eventuale inosservanza delle regole di sicurezza e l’evento stesso, con ciò rendendo superfluo il giudizio di colpevolezza sulla condotta datoriale[14].
Le vicende all’attenzione della Suprema Corte e le relative conclusioni
I consolidati principi richiamati, sono stati ribaditi nelle sentenze 5.1.2018 n. 146 e 15.1.2018 n. 749 dalla Suprema Corte che – dichiarando, in entrambi i casi, infondate le ragioni degli istanti – ha escluso la sussistenza di un inadempimento della parte datoriale correlato in rapporto di causalità materiale con i danni subiti dai lavoratori.
Con specifico riferimento alla sentenza del 5.1.2018 n. 146, il dipendente, con qualifica di operaio, aveva proposto ricorso, avverso la società datrice, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di un infortunio verificatosi all’esito del completamento dei lavori di impianto di alcuni pali elettrici. Rilevato che il ramo di un albero poggiava su di un cavo elettrico, i componenti della squadra di operai, guidata dal ricorrente, avevano deciso di tagliarlo. Quindi, indossata l’attrezzatura di lavoro, l’istante era salito sulla scala a pioli appoggiata all’albero, e mantenuta a terra da un operaio, cadendo al suolo per l’improvviso distacco della scala dal sostegno.
Ebbene, i giudici di merito avevano respinto la richiesta risarcitoria del lavoratore, sulla base della mancata allegazione, ex art. 2087 c.c., della prova del fatto costituente l’inadempimento della società datrice di lavoro e della correlazione causale di tale inadempimento con il danno subito.
Confermando il giudizio di infondatezza delle pretese del ricorrente, la Suprema Corte, nella pronuncia in esame, ha ricostruito la natura dell’obbligo di prevenzione imposto al datore di lavoro, nonché, dei precisi limiti oltre i quali nessun addebito nei suoi riguardi potrebbe trovare accoglimento.
In primo luogo, è stata ribadita la natura sussidiaria dell’art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico, idonea a ricomprendere tutte le misure che – ancorché non espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione – appaiano, secondo la migliore scienza ed esperienza, nonché, sulla base delle particolarità del lavoro, necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Peraltro, con riguardo a tale profilo, la Corte ha chiarito che l’interpretazione estensiva dell’art. 2087 c.c. non può spingersi sino a configurare una responsabilità oggettiva dell’imprenditore per ogni infortunio occorso ai dipendenti in azienda, atteso che la responsabilità del datore di lavoro deve necessariamente essere connessa ad un comportamento colpevole del medesimo, riconducibile alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza.
In tal senso, dunque, è stato confermato il prevalente orientamento giurisprudenziale diretto a qualificare come contrattuale la responsabilità datoriale di cui all’art. 2087 c.c.
Il riparto degli oneri probatori nella domanda di risarcimento del danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini di cui all’art. 1218 c.c., e, dunque, il lavoratore che lamenti di aver subito un danno, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure necessarie ad evitare il danno.
Tanto premesso, la pronuncia in esame ha evidenziato come, nel caso di specie, la condotta fosse stata realizzata dal lavoratore successivamente al compimento della prestazione lavorativa cui lo stesso era tenuto e, altresì, senza darne preventiva comunicazione alla società datrice, onde conseguire la fornitura della strumentazione idonea a svolgere in sicurezza l’attività.
Non era, quindi, ravvisabile alcun fatto integrante un inadempimento della parte datoriale correlato in rapporto di causalità materiale con il danno subito dal ricorrente, né alcuna violazione dell’obbligo di vigilanza concernente l’osservanza delle misure di sicurezza dirette a tutelare l’incolumità dei lavoratori.
Sul presupposto della rilevanza della questione in esame, la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “Alla stregua dell’art. 2087 c.c., non è ipotizzabile a carico dell’imprenditore un obbligo di sicurezza e prevenzione anche in relazione a condotte del dipendente che, pur non rientranti nella nozione di inopinabilità e di abnormità, siano state poste in essere successivamente al compimento della prestazione lavorativa richiesta, perché non rientranti nella suddetta prestazione e perché effettuate senza darne allo stesso preventiva comunicazione secondo le direttive impartite. Corollario di tale principio è che la parte datoriale non incorre nella responsabilità di cui alla norma codicistica per non avere fornito le attrezzature necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione né di non avere esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti”.
Ulteriori aspetti rilevanti connessi all’obbligo datoriale di protezione, sono stati evidenziati nella successiva sentenza del 15.1.2018 n. 749, relativa all’infortunio occorso ad una insegnante colpita ad un occhio da un tappo di bottiglia aperta da un alunno, durante dei festeggiamenti avvenuti in orario di lezione.
L’insegnante – le cui pretese risarcitorie erano state rigettate nei precedenti gradi di giudizio – aveva sostenuto che l’introduzione nella scuola di bevande alcoliche configurasse un aggravamento del fattore di rischio professionale, in ragione dell’alterazione che le stesse potevano indurre negli alunni, con conseguente responsabilità dell’istituto scolastico che ne aveva autorizzato l’ingresso.
La Suprema Corte, sul presupposto della natura contrattuale della responsabilità di cui all’art. 2087 c.c., ha chiarito che la stessa può ritenersi sussistente solo a fronte di specifici comportamenti datoriali idonei a determinare un aggravamento del tasso di rischio e di pericolosità ricollegato alla natura dell’attività che il lavoratore è chiamato a svolgere, e non anche a fronte di condotte anomale, imprevedibili e non evitabili con l’impiego dell’ordinaria diligenza.
In altri termini, alcun addebito può muoversi al datore di lavoro ogni qualvolta la sua condotta sia stata diligente, ovvero non sia stata negligente (imprudente, imperita, ecc.), in ordine allo specifico pericolo di cagionare proprio quell’evento concreto che, in fatto, si è cagionato.
La Cassazione ha, così, ritenuto congruamente motivato il giudizio di fatto compiuto dal giudice di merito, secondo cui il non proibire l’iniziativa del festeggiamento, attesa la partecipazione di ragazzi maggiorenni o comunque prossimi alla maturità e, dunque, in età adolescenziale avanzata, e il carattere usuale della stessa, non consentivano di ravvisare un aggravamento del rischio professionale; non vi erano elementi che consentivano di affermare che l’uso di alcolici fosse stato assentito e non vi era evidenza che la manovra inopinata dell’alunno fosse stata in qualche modo determinata da sue condizioni di alterazione per intossicazione alcolica.
La condotta abnorme e imprevedibile dell’alunno (avvicinatosi a breve distanza dall’insegnante recando in mano ed agitando la bottiglia di spumante) non consentiva di ravvisare una serie causale prevedibile e adeguata rispetto alla permessa organizzazione del festeggiamento durante l’ordinario orario di lezione scolastiche.
La Suprema Corte ha, pertanto, confermato che, in tema di infortuni sul lavoro, non può esigersi dal datore di lavoro la predisposizione di accorgimenti idonei a fronteggiare cause di infortunio del tutto imprevedibili.
La diligenza esigibile dalla parte datoriale deve essere misurata in relazione alle circostanze specifiche del caso concreto, dovendosi escludere il diritto del lavoratore al risarcimento ove il danno, di cui si chiede ristoro, non risulti diretta e provata conseguenza di una condotta del datore tenuta in violazione dei propri doveri.
In conclusione, alla stregua dei suesposti approdi giurisprudenziali, la parte danneggiata – che agisca per il riconoscimento dei danni da infortunio sul lavoro – è soggetta all’onere di allegare l’esistenza del fatto materiale e delle regole di condotta che assume essere state violate, nonché, di dimostrare come la parte datoriale abbia posto in essere un comportamento contrario alle clausole contrattuali, alle norme inderogabili di legge, ovvero, alle regole generali di correttezza e buona fede che, nell’esercizio dell’impresa, impongono l’adozione di tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
In difetto di tali allegazioni alcuna pretesa risarcitoria potrebbe trovare accoglimento, dovendosi escludere la configurabilità di una responsabilità oggettiva datoriale connessa all’obbligo di prevenzione e sicurezza di cui all’art. 2087 c.c.
[1] Cass. civ., sez. lav., 27.2.2017, n. 4970
[2] Cass. civ., sez. lav., 19.1.2015, n. 777
[3] Cass. civ., sez. lav., 19.2.2016, n. 3291; Cass. civ., sez. lav., 22.3.2002, n. 4129
[4] Cass. pen., sez. IV, 26.10.2011, n. 46820; Cass. pen., sez. IV, 12.6.2009, n. 37467
[5] Cass. civ., sez. lav., 7.11.2007, n. 23162; Cass. civ., sez. lav., 24.2.2006, n. 4184
[6] Cass. civ., sez. lav., 3.4.2015, n. 6881; Cass. civ., sez. lav., 22.1.2014, n. 1312; Cass. civ., sez. lav., 7.8.2012, n. 14192; Cass. civ., sez. lav., 17.2.2009, n. 3785
[7] Cass. civ., sez. lav., 15.6.2017, n. 14865; Cass. civ., sez. lav., 29.1.2013, n. 2038; Cass. civ., sez. lav., 17.2.2009, n. 3788
[8] Cass. civ., sez. lav., 11.4.2013, n. 8855
[9] Cass. civ., sez. lav., 5.12.2017, n. 29115
[10] Cass. civ., sez. lav., 14.4.2008, n. 9817; Cass. civ., sez. lav., 25.2.2008, n. 4718; Cass. civ., sez. lav., 17.4.2004, n. 7328
[11] Cass. pen., sez. IV, 30.9.2016, n. 44327
[12] Cass. civ., sez. lav., 5.9.2014, n. 18786; Cass. civ., sez. lav., 8.6.2005, n. 11950; Cass. civ., sez. lav., 11.12.2003, n. 18980
[13] Cass. civ., sez. lav., 18.5.2009, n. 11417
[14] Cass. civ., sez. lav., 19 aprile 2003, n. 6377
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Maria Amelio
Abilitata all'esercizio della professione forense dal 2015.
Formazione teorico-pratica presso Tribunale Ordinario - settore controversie di lavoro e previdenza sociale.
Laureata con lode in Giurisprudenza, con una tesi, in diritto del lavoro, dal titolo: "buona fede e correttezza del datore di lavoro pubblico".