La responsabilità civile del medico e le recenti modifiche legislative
La tematica giuridica della responsabilità civile del medico, soprattutto se dipendente di una struttura sanitaria, costituisce una delle materie più trattate e discusse in diritto, specie a seguito delle recenti modifiche operate dal cd. decreto “Balduzzi” e dalla cd. legge “Gelli”, la quale ha codificato il “principio della sicurezza delle cure”.
In primo luogo, occorre ribadire che la professione medica è da qualificarsi professione intellettuale, ai sensi dell’art. 2229 cod. civ. e ss., che il prestatore d’opera (il medico) è tenuto ad eseguire personalmente, adoperandosi con la cd. “diligenza qualificata”. Quest’ultima, che può essere validamente definita quale diligenza/prudenza più elevata rispetto alla comune diligenza del buon padre di famiglia, difatti, impone al professionista medico di operare con perizia, rispettando tutte le regole e gli accorgimenti propri della leges artis ed impiegando tutte le energie ed i mezzi necessari, al fine di evitare possibili eventi dannosi.
Trattasi, dunque, di una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica la prestazione richiesta, assimilata, da consolidato orientamento, a quella del debitore qualificato ex art. 1176, comma 2, cod. civ.. Tale assimilazione ha chiarito, di conseguenza, che, seppur il prestatore d’opera, ai sensi dell’art. 2236 cod. civ., “non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”, il regime di responsabilità civile, nel quale può incorrere il professionista medico, annovera anche la “colpa lieve” sussistente con riferimento ai danni causati per negligenza od imprudenza, dei quali il professionista risponde in ogni caso.
La responsabilità medica, pertanto, costituisce l’effetto patologico dell’attività professionale e nasce da una prestazione inadeguata, capace di arrecare danni al diritto alla salute del paziente. Ciò chiarito, dottrina e giurisprudenza si sono, a lungo, interrogate sulla natura di tale responsabilità, il cui dibattito si è evoluto nel tempo, sino alla recente presa di posizione della cd. legge Gelli.
Volendo sintetizzare le diverse fasi che hanno caratterizzato tale dibattito, si può validamente affermare che sono venute a contrapporsi due differenti tesi: la tesi della natura extracontrattuale e l’avversa tesi della natura contrattuale della responsabilità medica.
Secondo quanto afferma la risalente prima tesi, il medico, dipendente di una struttura sanitaria, non sarebbe parte del rapporto contrattuale che viene ad instaurarsi, nel momento in cui il paziente richiede le cure ovvero viene ricoverato, tra quest’ultimo e l’ospedale; di conseguenza, la sua responsabilità, per il danno cagionato da suo errore diagnostico o terapeutico, sarebbe soltanto di natura extracontrattuale (cfr. Cass. Civile, Sez. III, n.11440/1997).
A tale ricostruzione dogmatica si contrappone la seconda tesi, prevalente in dottrina, per la quale, al contrario, nei confronti del medico, dipendente ospedaliero, si configura una responsabilità contrattuale nascente da “una obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto”. Tale tesi ancora il suo fondamento all’art. 28 Cost. ed all’art. 1411 cod. civ., con la conseguenza per la quale il negozio giuridico stipulato tra personale medico e struttura ospedaliera sarebbe un contratto a favore del terzo, vale a dire del paziente. Si è, dunque, affermato in dottrina l’accomunabile principio, valevole sia per la struttura sanitaria che per il professionista medico, per il quale tra operatori sanitari e paziente viene ad instaurarsi un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità o di assistenza sanitaria. In virtù di tale particolare negozio giuridico, i professionisti del settore si obbligano ad adempiere ad una prestazione assai complessa, che oltrepassa il confine delle mere cure mediche e chirurgiche, estendendosi ad una serie di correlate attività, come l’offerta di personale medico e paramedico competente, di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie.
In tale contesto, tuttavia, si sono aggiunte le recenti novità apportate dall’art. 3 del decreto “Balduzzi” e dal D.d.l. “Gelli” che, secondo più commentatori, sembrano propendere per la natura extracontrattuale della responsabilità del medico, operando una netta bipartizione tra la responsabilità del professionista e la responsabilità della struttura sanitaria. In modo particolare, l’art. 7, commi 3, 4, 5, del D.d.l. “Gelli” prescrive che l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., “salvo che abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente”. Sembra evidente, pertanto, la principale volontà del legislatore di sottolineare la natura extracontrattuale della responsabilità medica e tale volontà, di certo, non è esente dal produrre effettive conseguenze pratiche.
Il paziente che assume d’aver subito un danno dall’operato del sanitario dipendente, difatti, non potrà citare il medico ma dovrà convenire in giudizio la struttura sanitaria presso la quale ha usufruito delle cure, ha subito l’intervento chirurgico ovvero è stato ricoverato; la struttura sanitaria, è assodato, risponde sempre di responsabilità contrattuale, in virtù del summenzionato contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità. Sarà, poi, la stessa struttura sanitaria ad agire in rivalsa nei confronti del proprio dipendente, nei casi di condotta caratterizzata da dolo ovvero da colpa grave. Sul paziente, altresì, incomberà l’impegnativo onere probatorio volto a dimostrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie illecita di cui all’art. 2043 cod. civ.: l’ingiustizia del danno sofferto causalmente imputabile alla condotta del medico.
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Simona Vitale
Consulente legale, esperta in diritto civile e diritto di famiglia, appassionata di scrittura e buona lettura.
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