La responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria

La responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria

L’art. 7 legge 24/2017 rubricato: Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria[1] prevede un doppio binario di responsabilità civile.

Tra il paziente e la struttura sanitaria al momento dell’accettazione del ricovero o di una visita ambulatoria si viene ad instaurare il d. contratto di spedalità, proprio questo contratto consente di inquadrare la responsabilità della struttura sanitaria nel quadro normativo della responsabilità contrattuale ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. Dunque il paziente danneggiato deve limitarsi a provare il contratto e l’inadempimento qualificato del debitore astrattamente idoneo a qualificare il danno lamentato[2]. In altre parole in tema di responsabilità civile nell’attività medico chirurgica  il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto e/o il contatto con l’ente sanitario e allegare l’inadempimento di quest’ultimo, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto o imprevedibile, non superabile con l’adeguata diligenza[3]. La struttura sanitaria deve dimostrare di aver utilizzato tutte le misure idonee ad evitare il danno, deve dimostrare non solo l’assenza della violazione di regole di condotta imposte dalla legge, ma anche di aver adottato tutte le misure che possono essere suggerite da criteri di diligenza, perizia e soprattutto prudenza (in relazione alle conoscenze medico scientifiche raggiunte in un determinato momento storico)[4]. “Qualora sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento e l’azione o omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione, l’onere per la struttura sanitaria di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo dove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità tra la patologia e la condotta dei sanitari”[5].

Nel caso in cui il paziente intende agire nei confronti del medico della struttura sanitaria o del medico convenzionato ai sensi del comma 3 dell’art. 7 si ha un inversione dell’onere della prova che graverà esclusivamente sul paziente che dovrà dimostrare ai fini della risarcibilità del danno lamentato la sussistenza del nesso eziologicamente rilevante tra l’evento dannoso lamentato e la condotta del sanitario nonché la colpa del debitore nella verificazione dell’evento, quindi si applica la disciplina dell’articolo 2043 c.c. (regola) salvo che il sanitario abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente(eccezione).

Il termine di prescrizione per l’azione risarcitoria è di 10 anni nel primo caso e di 5 anni nel secondo caso.

Dunque per quanto riguarda l’onere probatorio occorre far riferimento alla natura giuridica della responsabilità: se contrattuale es. quando il paziente sceglie il medico o quando firma il consenso, o extracontrattuale es intervento d’urgenza o il paziente perde conoscenza. Tuttavia si può ricorrere alla regola della vicinanza della prova nella responsabilità extracontrattuale, quindi in tal caso è il sanitario a dover fornire la prova in quanto esso ha a disposizione l’intera cartella clinica del paziente danneggiato.

Il danno. Al fine di configurarsi la responsabilità occorre che vi siano contemporaneamente la colpa e il nesso di causalità. La colpa si ha quando non vi è il rispetto delle LG o in mancanza delle buone pratiche clinico-assistenziali. Nell’ambito della responsabilità medica l’evento è sempre condeterminato dall’esistenza della patologia e anche dalla condotta attiva o omissiva del sanitario. Sia nella responsabilità extracontrattuale che nella responsabilità contrattuale del sanitario è l’attore (paziente danneggiato) che dovrà dimostrare la colpa, e l’esistenza del nesso causale tra condotta ed evento dannoso, poiché non opera il riferimento alla causa contenuto nell’art. 1218 c.c. dove si richiede al debitore di provare che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile[6]. L’onere per la struttura sanitaria di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo dove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità tra danno e condotta dei sanitari. Se al termine dell’istruttoria la causa dell’evento è incerta e il nesso di causalità non è provato la domanda è rigettata. Nel caso di responsabilità extracontrattuale nei confronti del medico il paziente danneggiato dovrà provare tutti gli elementi di cui all’art 2043 c.c. Negli interventi di routine l’insuccesso o il parziale successo consente di presumere la colpa quando il nesso di causalità che in questo caso consiste nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso secondo il criterio del “più probabile che non”[7], spetta infatti al professionista l’onere di superare la presunzione che “le complicanze siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state invece prodotte da un evento imprevisto e imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico scientifiche del momento”[8]

Per quanto attiene il danno risarcibile non è la lesione ma la menomazione che ne consegue ad essere risarcita in base alle tabelle appositamente predisposte.

Sotto il profilo civilistico, con riguardo alla sussistenza del nesso di causalità fra lesione personale e condotta del medico, ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la responsabilità va affermata anche in presenza di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti.[9] Ai fini dell’accertamento della causalità, occorre in primo luogo verificare se esista una legge scientifica in base alla quale un dato evento è conseguenza di un determinato antecedente; la percentuale probabilistica di tale evenienza è irrilevante, in quanto, una volta accertato che si tratta di un rischio frequente, il medico deve comunque porre in essere tutti gli accorgimenti diagnostici necessari per prevenirlo, fondando la relativa omissione l’addebito di colpa nei suoi confronti. [10]

Una volta superato il muro della certezza in sede civile si ragiona in termini di mera probabilità, con riferimento a tre elementi: regolarità statistica; probabilità dell’evento (prova prevalente sia in termini assoluti – 51%, cioè più probabile che non, sia in termini relativi – causa più probabile in termini percentuali rispetto ad altre con minori probabilità); verosimiglianza (cioè elevato grado di credibilità razionale; alcuni ordinamenti precisano il grado di probabilità, es: ordinamento scandinavo il 70%).

Nel settore penale, in ordine al nesso causale occorre la percentuale massima (100%) o, comunque, una percentuale di poco inferiore accompagnata dalla certezza morale che sia stata proprio la condotta colposa del sanitario a provocare l’evento. [11]Trattasi, quindi, di probabilità scientifica che deve essere “qualificata” da ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le conclusioni astratte svolte in termini probabilistici.

 

 

 

 

 

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[1] Art. 7 Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria “1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. 3. L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 della presente legge e dell’articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della presente legge. 4. Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo. 5. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile.”
[2] (Cass. Civ. Sez III sentenza n. 4058 del 25/02/2005; n. 9085 del 19/04/2006; n.1698 del 06/01/2006; n.11316 del 21/07/2003; n.11001 del 14/07/2003; n.3492 del 11/03/2002),
[3] (Cass. Civ. sez III n. 8989 del 06/05/2015)
[4] S. U. civili n.581/2008; cass. Civ. sez. III n.19658 del 18/09/2014.
[5] (cass. Civ. sez. III n.19204/2018; n.16828/2018; n.14033/2018; n.18392/2017).
[6] Cass. 26/07/2017 n.18392
[7] Cass. n. 12516/2016
[8] cass. n. 24074/2017
[9] Cass pen. 02/04/2008, n. 23507 (dep.11/06/2008); nella specie, si era accertato che “la distocia di spalla si accompagna frequentemente alla microsomia”.
[10] Cass. civ. 11/11/2005, n. 22894; nella specie la sentenza di merito, confermata dalla Suprema Corte, aveva respinto la domanda risarcitoria nei confronti dell’ente ospedaliero in relazione al danno asseritamente subito da un neonato per il ritardo del trasferimento nel reparto di pediatria, sul rilievo che il collegio peritale si era espresso in termini di mera possibilità.
[11] Cass. n. 5421/2000.

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