La responsabilità colposa del medico: Cass. pen. n. 15258/2020
Sommario: 1. Premesse generali – 2. La Legge n. 24/2017 – 3. L’intervento chiarificatore delle SSUU n. 8770/ 2018 – 4. Cass. pen. IV sez. n. 15258/ 2020: regole cautelari e grado della colpa – 5. Il ruolo del giudice di merito
1. Premesse generali
Mai come in questo momento storico è necessario tirare le fila sull’approdo giurisprudenziale inerente la responsabilità penale del medico. Il percorso di individuazione dei confini della responsabilità del sanitario è stato tortuoso e travagliato. Se, pacificamente, si ritiene che la responsabilità dolosa del medico si configuri qualora esso agisca con coscienza e volontà del fatto tipico in danno al paziente – di norma consistente nella morte o nelle lesioni personali a danno dello stesso – molto più problematica è stata l’individuazione degli elementi necessari affinché si possa parlare di responsabilità colposa. Preme innanzitutto puntualizzare, che quando si parla di responsabilità colposa del sanitario, ci si riferisce all’ambito della c.d. colpa professionale. Secondo prevalente dottrina, tale forma di responsabilità si configura solo laddove sia possibile addebitare all’imputato, che abbia agito violando le regole cautelari individuate per specifica professione da lui esercitata, l’avvenuto superamento del rischio che la collettività tollera in relazione ad una certa attività. Si ritiene, infatti, che certe attività, seppur intrinsecamente e potenzialmente pericolose, debbano comunque essere praticate, in quanto rispondenti ad esigenze sociali che devono essere perciò ritenute prevalenti. L’attività medica costituisce la prestazione professionale per eccellenza, potenzialmente pericolosa, tanto per i pazienti quanto per gli esercenti: la stessa può infatti tramutarsi in un danno alla salute del paziente, che espone l’operatore ad azioni di responsabilità.
2. La Legge n. 24/2017
A lungo schiere di giuristi ed interpreti hanno tentato di fornire una regola utile ad individuare le situazioni nelle quali si potesse ritenere superato il rischio da parte del professionista, fonte di potenziale addebito penale nei suoi confronti. Ad oggi, la parola fine alla questione sembrerebbe essere stata posta dal Legislatore, intervenuto con legge n. 24 del 2017 (Legge Gelli – Bianco). L’intervento normativo di nuovo conio ha abrogato la disciplina previgente – nello specifico, l’Art. 3 comma 1 del D.L. Balduzzi n. 158/2012 – e dato vita ad una nuova fattispecie penale, mediante l’introduzione nel codice penale dell’Art. 590 – sexies, rubricato “responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”. La nuova norma conferma, al comma 1, la regola generale della configurabilità dei delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose in capo all’esercente la professione sanitaria, rivolgendosi quindi, sia ai medici sia agli altri professionisti sanitari come gli infermieri. Il cuore della nuova disciplina è però sicuramente rappresentato dal comma 2, a mente del quale la punibilità del sanitario è da escludere laddove siano ricorrenti tre elementi concomitanti: 1) qualora l’evento – morte o lesioni personali – sia dovuta ad imperizia; 2) qualora l’esercente la professione sanitaria abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate dalla legge, ovvero, in caso di loro mancanza, si sia attenuto alle buone pratiche clinico assistenziali; 3) qualora le linee guida individuate dal sanitario fossero adeguate alla specificità del caso concreto.
3. L’intervento chiarificatore delle SSUU n. 8779/2018
Il nuovo dato normativo ha dato luogo ad interpretazioni contrastanti, che hanno determinato il necessario intervento delle SSUU della Cassazione sez. pen. n. 8770/2018, con cui viene statuito il principio di diritto che ad oggi guida i giudici di merito nell’accertamento della responsabilità colposa del medico. In base a tale ricostruzione giurisprudenziale, l’esercente la professione sanitaria risponde a titolo di colpa per morte o lesioni personali qualora, alternativamente: 1) l’evento si sia verificato per colpa, anche lieve, determinata da negligenza o imprudenza; 2) l’evento si sia verificato per colpa, anche lieve, da imperizia qualora: A) sia incorso in errore rimproverabile nell’esecuzione dell’atto medico qualora il caso concreto non fosse regolato da alcuna raccomandazione delle linee guida o fossero mancanti, in alternativa, buone pratiche clinico assistenziali ; B) sia incorso in errore rimproverabile in fase di individuazione della linea guida o della buona prassi adeguate al caso concreto. A fronte di ciò, deriva che la nuova causa di non punibilità, che impedisce al giudice di pronunciare condanna a carico del medico imputato, opera in relazione alla sola fase esecutivo – applicativa della linea guida, purché questa sia stata individuata in modo corretto e sia idonea al caso di specie: in questa fase il sanitario sarà ritenuto responsabile per omicidio colposo o lesioni personali colpose solo ove si possa ravvisare una colpa grave da imperizia, essendo incorso in errore rimproverabile nell’applicazione della linea guida o della buona prassi.
4. Cass. pen. IV sez. n. 15258/ 2020: regole cautelari e grado della colpa
Alla luce di questa interpretazione, risulta necessario stabilire con chiarezza sia in cosa consistano e cosa comportino le regole di diligenza, prudenza e perizia, sia come calcolare il quantum di gravità della colpa. Ciò è evidente, dal momento che, ad esempio, classificare un certo comportamento come negligente, potrà comportare responsabilità per colpa anche qualora la stessa si presenti nella sola forma lieve, mentre ritenere lo stesso come imperito, se posto in essere in fase esecutiva e nonostante l’ottemperanza della linea guida corretta per il caso concreto, potrebbe condurre ad assoluzione solo se la colpa accertata risulti lieve. In ordine a questi due elementi si è di recente espressa la Cassazione penale, Sez. IV n. 15258/2020 che ha chiarito i due importanti concetti.
1. Viene chiarito il contenuto e la portata delle regole cautelari cui è tenuto il personale sanitario.
L’individuazione dell’origine dell’errore del medico non è sempre agevole. A titolo esemplificativo, si è sostenuto che l’errore diagnostico sia frutto di imperizia, mentre la scelta compiuta dal sanitario il quale, tra due possibili modalità d’esecuzione di un intervento chirurgico, abbia preferito quella ritenuta più agevole ancorché maggiormente rischiosa, integri gli estremi della condotta imprudente. Allo stesso modo però, si è consci del fatto che uno stesso atto medico possa avere radici in causali diverse: la somministrazione di un farmaco in dose non curativa ma letale può dipendere tanto dalla scarsa attenzione posta nel leggere la prescrizione, quanto dalla carente conoscenza delle caratteristiche del farmaco, che lasci credere all’innocuità del quantitativo somministrato. La Corte fornisce a riguardo un ulteriore spunto esemplificativo: qualora un medico, praticando l’epidurale, penetri la cute in un punto diverso da quello previsto dalle leges artis, risponderà a titolo di colpa per imperizia qualora avesse le cognizioni tecniche per porre in essere l’atto medico così come nel caso in cui tali competenze esecutive non le abbia avute ab origine. Al contrario, risponderà per negligenza se erra nell’esecuzione dell’operazione perché distolto dalla conversazione con il suo assistente, sempre che non vi sia una norma tecnica che imponga di tenere sempre sotto osservazione il campo operatorio mentre si introduce l’ago.
Il principio di diritto espresso dalla Corte in questa recentissima pronuncia è quello secondo cui l’agire dei sanitari è sempre da valutare primariamente in termini di perizia od imperizia. L’imperizia è dunque la forma elettiva di colpa del professionista. Secondo questa ricostruzione la regola cautelare che permea e compone l’attività medico-chirurgica è, essenzialmente, quella che impone ai professionisti il rispetto delle leges artis proprie dell’attività che si è chiamati a svolgere, ossia l’ottemperanza alle regole tecniche della scienza e della pratica proprie della specifica attività esercitata, contenute di norma in linee guida pubblicate a norma di legge o derivanti dalle buone pratiche assistenziali. Di contro, diligenza e prudenza costituiscono regole cautelari attivabili secondo la comune esperienza da ogni cittadino, anche non specializzato, corrispondenti, la prima, all’obbligo di attenzione ed accuratezza, la seconda, al dovere di porre in essere comportamenti ponderati ed avveduti, che tengano in considerazione gli altrui interessi. Pur tuttavia, preme alla Corte evidenziare come ciò non implichi in modo automatico una esclusione della configurabilità della responsabilità colposa per errore medico dovuto a negligenza o imprudenza. La regola generale, che il giudice è tenuto a valutare in via preliminare, è quella secondo cui l’agire dei professionisti, ed in particolare dei sanitari, sarà caratterizzato in via preminente da errori da imperizia. Nel caso in cui si proceda per responsabilità medica dovuta a negligenza od imprudenza, sarà necessario un accertamento specifico, ancorato a dati fattuali pertinenti che ne attestino la ricorrenza. Di tutto ciò il giudice deve tenere conto in sede di motivazione. Nel pronunciare condanna per responsabilità colposa, infatti, uno dei punti su cui egli dovrà soffermarsi in modo specifico sarà proprio quello sull’origine dell’errore medico, e, in caso di incertezza a riguardo, sarà tenuto ad attenersi al principio del favor rei, quale regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
2. Una volta appurata la presenza di una violazione della regola cautelare da parte del sanitario, il giudice dovrà verificare se tale violazione sia colposa e, in caso, se essa sia grave o non grave, atteso che, come si è visto, la sua graduazione incide sulla punibilità del fatto. L’accertamento del quantum di colpa, se lieve o grave, dovrà essere condotto sulla base delle linee indicate dalla giurisprudenza precedente, ed in particolare dalla sentenza Cantore rel. n. 16237/ 2013. L’analisi del giudice di merito dovrà orientarsi su più piani: da un punto di vista oggettivo, occorrerà verificare la misura della divergenza tra l’eseguibile – doveroso e l’attuato, ossia di quanto l’azione od omissione del sanitario si siano discostate dal comportamento che si sarebbe dovuto tenere in base alle leges artis della materia contenute nelle linee guida. In tal senso, quanta più divergenza sarà ravvisabile, tanto più il giudizio tenderà in senso di colpa grave.
La sola valutazione del quantum di divergenza tra il dovuto ed il realizzato non basta per giungere ad una pronuncia di colpevolezza: il giudice di merito è tenuto ad affiancarvi una valutazione soggettiva, che guardi alla sussistenza di una possibilità concreta dell’imputato di adeguarsi al modello. Si attiverà, quindi, una storicizzazione della situazione, idonea a fondare un rimprovero personalizzato. La personalizzazione del rimprovero che può essere mosso all’agente, e quindi della sua colpevolezza, va determinata considerando: 1) la gravità della violazione della regola cautelare, 2) la misura della prevedibilità ed evitabilità dell’evento, 3) le condizioni personali dell’agente, 4) il possesso delle qualità personali utili a fronteggiare la situazione pericolosa e 5) le motivazioni della condotta. Nel caso in cui coesistano fattori differenti e di segno contrario, il giudice dovrà valutarli comparativamente. Il rimprovero personale che fonda la colpa personalizzata richiede di ponderare le difficoltà cui il professionista ha dovuto confrontarsi e di considerare che le condotte esaminate non sono avvenute in un laboratorio sotto una campana di vetro, dovendo analizzarle tenendo conto del contesto in cui si sono manifestate. Vanno quindi apprezzate e misurate le contingenze, ed in particolare se egli abbia operato in presenza di difficoltà o di novità tecnico-scientifiche, nonché se egli si sia trovato a dover operare in emergenza, situazione intossicata dall’impellenza che solitamente rende difficili anche cose più semplici. Difficoltà tecniche e contesto concreto operativo sono quindi le piattaforme fattuali che devono essere esplorate dal giudice affinché possa essere mosso un giudizio di colpevolezza.
Sulla base di questo secondo profilo, si potrà parlare di colpa grave del professionista sanitario qualora si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato (in base ai parametri delle linee guida di riferimento), e cioè quando il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia del caso concreto. Tanto più la vicenda appaia oscura, problematica, equivoca od impellente, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista, che pur allineandosi alla linea guida, non abbia potuto evitare l’esito infausto dell’evoluzione negativa della patologia.
5. Il ruolo del giudice di merito
Dal punto di vista pratico, il giudice penale dovrà svolgere una serie di accertamenti di cui ha l’obbligo di dar conto in un’articolata motivazione. Per pronunciare sentenza di condanna del medico il giudice dovrà:
– appurare la sussistenza del nesso di causalità, verificando che l’azione (od omissione) colposa del medico abbia causato, con ragionevole probabilità che si avvicina alla certezza, il danno alla salute o la morte (per fare ciò il giudice procederà con un giudizio ipotetico di eliminazione mentale dell’azione od omissione del sanitario: se si ritenesse, con ragionevole probabilità, che eliminando la condotta l’evento non si sarebbe prodotto, il nesso causale risulterà provato).
– una volta riscontrata la sussistenza del nesso, si dovrà procedere con la verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo della colpevolezza in capo all’imputato. Tale valutazione si articola in due sotto-accertamenti: accertamento della violazione di una regola cautelare (indicando quale tra prudenza, perizia e diligenza); indagine sul grado della colpa da ascrivere al sanitario;
Solo qualora si possa muovere nei confronti del sanitario, che si sia attenuto ai precetti contenuti nelle linee guida, un giudizio di rimproverabilità, per avere egli agito con imperizia e con colpa grave in fase esecutiva, il giudice pronuncerà condanna ai sensi dell’Art. 533 c.p.p., senza poter applicare la nuova scusante ex Art. 590 sexies c.p.
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Ludovica Morando
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