La responsabilità contrattuale del gestore di un impianto di risalita
Sommario: 1. La responsabilità contrattuale del gestore dell’impianto di risalita: un inquadramento generale – 2. La responsabilità contrattuale ex art. 1681 c.c. – 3.La responsabilità contrattuale ex artt. 1218 e 1176 c.c.
1. La responsabilità contrattuale del gestore dell’impianto di risalita: un inquadramento generale
La prima forma di responsabilità che si può ravvisare nei confronti del gestore di un impianto di risalita verso coloro che ne rimangono lesi è di natura contrattuale ed è da ricondurre all’art. 1681 c.c. o, subordinatamente, agli artt. 1218 c.c. / 1176 c.c..
La seconda forma di responsabilità, di natura extracontrattuale, si può individuare nei confronti dei danneggiati sulla base degli artt. 2051/2053 c.c. e, in subordine, degli artt. 2050 c.c. o 2043 c.c..
Con il presente contributo, si tratterà esclusivamente della prima forma di responsabilità.
2. La responsabilità contrattuale ex art. 1681 c.c.
La responsabilità del gestore di un impianto di risalita ex art. 1681 c.c., discende dalla conclusione del contratto di trasporto con lo stesso dai passeggeri-danneggiati. Con il contratto di trasporto, il cd. “vettore” si obbliga a a trasferire persone o cose da un punto ad un altro (art. 1678 c.c.)[1].
Si tratta di un contratto consensuale, obbligatorio, di regola non solenne, bilaterale ed, infine, sinallagmatico[2].
L’art. 1681 c.c. recita: “Salva la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento nell’esecuzione del trasporto, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sè, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”.
Con il contratto di trasporto di persone, quindi, il vettore assume un obbligo più ampio del semplice trasporto di merce. E infatti, il vettore è responsabile non soltanto per il ritardo o per altri eventuali inadempimenti nell’esecuzione del trasporto, bensì anche dell’incolumità della persona[3].
La responsabilità contrattuale del vettore rileva in punto di onere della prova. Nel caso in cui un passeggero subisca un danno durante il trasporto, non spetta allo stesso provare la colpa del vettore[4], “ma questa è presunta e incombe quindi al vettore l’onere della prova liberatoria (che si sostanzia nella dimostrazione che l’evento dannoso sia stato dovuto a caso fortuito, forza maggiore o al fatto del terzo o dello stesso danneggiato)”[5]. La prova liberatoria posta a carico del vettore consiste, dunque, nella dimostrazione che l’evento non era né prevedibile, né evitabile con la normale diligenza[6].
La prova liberatoria della responsabilità da parte del vettore richiede però un quid pluris. Il vettore deve cioè dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (con una formula corrispondente alla prova liberatoria prevista nel caso di responsabilità da attività pericolosa ex art 2050 c.c.). Ciò non consiste dunque nella generica assenza di colpa, bensì nella dimostrazione, da parte del vettore, di aver osservato “ogni cautela necessaria per evitare danni ai passeggeri nella nella concreta situazione in cui il trasporto si è svolto”[7].
E’ onere del viaggiatore che abbia subito un danno dimostrare l’esistenza del contratto, il danno subito e il nesso causale (ossia il nesso che lega il danno all’attività del vettore svolta in esecuzione del contratto di trasporto)[8]. Allo stesso non spetta provare la colpa del vettore, sul quale dunque grava una presunzione di colpa, superabile fornendo la prova liberatoria sopra descritta[9].
La norma di cui all’art. 1681 c.c. può essere invocata da tutti i soggetti che subiscono un danno durante il trasporto, sia esso a titolo gratuito oppure a titolo oneroso[10].
Come riconosciuto dalla dottrina, l’art. 1681 c.c. trova applicazione anche nei confronti del gestore di un impianto di risalita. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui il danneggiato fornisca la prova del nesso causale tra il danno patito e l’esecuzione del contratto, oltre che dell’esistenza del contratto stesso (ossia il titolo del trasporto), il gestore dell’impianto di risalita dovrà fornire la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e, qualora non vi riesca, sarà ritenuto responsabile[11].
Anche la giurisprudenza ammette la configurazione della responsabilità di cui all’art. 1681 c.c. al gestore dell’impianto di risalita. Tra le tante, si può citare Cass., Sez. III, 3 agosto 2008, n. 14812, secondo cui: “Da ciò la conclusione che nel trasporto eseguito con mezzo in continuo movimento, come la seggiovia, la responsabilità del vettore a norma dell’art. 1681 c.c. si estende anche alle operazioni di risalita e di discesa dal mezzo, sempreché sussista nesso di causalità tra il viaggio e l’evento. L’art. 1681, primo comma c.c. dispone che il vettore è responsabile “se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il anno”. Questa disposizione – che utilizza una formula identica a quella contenuta nell’art. 2050 c.c., disciplinante la responsabilità per attività pericolose – si interpreta nel senso il viaggiatore, senza individuare la precisa anormalità del servizio di trasporto, deve provare il nesso di causalità tra l’evento dannoso e il viaggio, mentre incombe al vettore la prova liberatoria e, cioè, la prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”[12]. Per la giurisprudenza di merito, si può invece citare Tribunale di Brescia, Sez. II, sent. 20 maggio 2019, n. 1496, che afferma che è “indiscutibile l’inquadramento del contratto tra sciatore e gestore dell’impianto di risalita come trasporto di persone, (non escluso dalla necessaria collaborazione, più o meno attiva, dell’utente)…, il trasportato il quale abbia subito danni in conseguenza di una caduta successiva al suo distacco dal veicolo, può invocare in proprio favore la norma di cui all’all’art. 1681 cod. civ., sulla particolare responsabilità del vettore, sempreché peraltro egli fornisca la prova che la caduta sia avvenuta prima della cessazione degli effetti residui del moto impresso dal mezzo, che costituisce il momento oltre il quale la prestazione contrattuale del vettore deve considerarsi esaurita”[13].
3. La responsabilità contrattuale ex artt. 1218 e 1176 c.c.
L’art. 1218 c.c. stabilisce che il debitore che non adempie esattamente la prestazione cui è obbligato, o tiene un comportamento comunque incompatibile con la successiva esecuzione della prestazione[14], è tenuto al risarcimento del danno. Il debitore può superare la responsabilità ex art. 1218 c.c. solo fornendo la prova che l’inadempimento o il ritardo è derivato da impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile (ed in questo caso l’obbligazione si estingue ex art. 1256 c.c.[15]).
L’inadempimento può essere: totale, quando la prestazione non è stato eseguita interamente; parziale, quando la prestazione è stata eseguita in misura solo parziale (cd. adempimento inesatto)[16].
Nel caso di adempimento parziale (rectius inesatto) della prestazione, l’inesattezza della stessa può riguardare un’ampia gamma dei profili dell’obbligazione che di volta in volta assumono rilevanza. Si pensi, ad esempio, alla “diligenza” richiesta nell’adempimento dell’obbligazione o alla “perizia” necessaria all’adempimento, etc.[17].
E ancora, l’inadempimento può poi essere:
– assoluto (o definitivo), ossia quando è escluso, in maniera definitiva, che il debitore possa adempiere la prestazione dovuta;
– relativo, quando il debitore non ha eseguito la prestazione nel termine, ma ciò non esclude che sia suscettibile di un adempimento futuro[18].
E’ stato sopra affermato che, ai sensi dell’art. 1218 c.c., il debitore risponde sempre delle conseguenze dannose derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione della prestazione, salvo che non provi che il suo inadempimento è dipeso a) dall’impossibilità della prestazione; e b) che l’impossibilità della prestazione non sia imputabile al debitore stesso[19].
Secondo parte della dottrina, il dettato dell’art. 1218 c.c. prevede un’ipotesi in cui il debitore risponde dell’inadempimento a prescindere dal proprio dolo o colpa, configurando così, un’ipotesi di cd. responsabilità oggettiva[20].
Secondo altra parte della dottrina, invece, è necessario distinguere a seconda dell’obbligazione che viene di volta in volta in gioco[21].
E infatti, in diverse ipotesi, il debitore è esente da responsabilità ogniqualvolta adotti, nell’adempimento dell’obbligazione, la dovuta diligenza, prudenza o perizia. In questi casi, si dice che il debitore risponda “per colpa” qualora cioè non adotti la diligenza, prudenza o perizia che gli è richiesta[22].
Secondo l’opinione prevalente, il debitore risponderebbe “per colpa” solamente nelle cd. obbligazioni di mezzi, le quali si distinguono dalle cd. obbligazioni di risultato, in quanto nelle seconde il debitore si obbliga a raggiungere un certo scopo, corrispondente all’interesse del creditore, a prescindere dallo sforzo di diligenza richiesto[23]. Nelle obbligazioni di mezzi, invece, il debitore si impegna a svolgere una determinata attività con diligenza, prudenza e perizia, senza “però garantire che detta attività si traduca in un risultato utile per il creditore”[24].
Nelle altre obbligazioni, invece, il debitore risponderebbe dell’inadempimento a prescinere dal grado di diligenza, prudenza o perizia utilizzata, secondo un criterio di responsabilità oggettiva[25].
Verso una più ampia applicazione del criterio della colpa nella valutazione dell’inadempimento del debitore rispetto alle mere obbligazioni di mezzi, si muove la recente giurisprudenza. In questo senso, Cass., Sez. II, ord. 29 marzo 2019, n. 8924, secondo cui: “la colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l’uso della normale diligenza, non è stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili”[26].
La diligenza cui si dovrà fare riferimento per valutare la correttezza dell’adempimento, è quella prevista dall’art. 1176 c.c.. Il co. 1 di tale articolo precisa che il debitore deve usare la diligenza che, nelle circostanze concretamente verificatesi, ci si può attendere dal “buon padre di famiglia”, ossia da una persona “leale, onesta, attesa e coscienziosa”[27].
La diligenza richiesta varia, però, a norma dell’art. 1176, co. 2, c.c., in relazione al tipo di attività svolta. E così al cd. operatore professionale, nell’adempimento dell’attività che gli è propria, si richiede una diligenza diversa – o meglio superiore – rispetto a quella di qualsiasi altro operatore occasionale[28]. Allo stesso modo, anche al “soggetto dotato di specifiche competenze” è richiesta la diligenza di cui all’art. 1176, co. 2, c.c., ossia quella parametrata alle sue specifiche competenze e che è legittimo attendersi rispetto a chi queste competenze non possiede[29].
Dal punto di vista dell’onere della prova, spetta al creditore che agisce in giudizio per la responsabilità contrattuale del debitore dimostrare il suo credito, potendo poi limitarsi, sic et simpliciter, ad allegare – senza dover dimostrare – l’inadempimento o l’inesatto adempimento del debitore[30]. Il creditore deve inoltre dimostrare anche l’esistenza del danno asserito (v. Cass., Sez. Lav., ord. 13 gennaio 2021, n. 437), nonchè il nesso causale tra l’inadempimento del debitore e il danno (Cass., Sez. VI-3, ord. 26 novembre 2020, n. 26907). Spetta invece al debitore fornire la prova di avere esattamente eseguito la prestazione o comunque di avere adempiuto utilizzando la dovuta diligenza, prudenza e perizia[31] o meglio che “l’inadempimento è derivato dall’impossibilità di poter offrire una prestazione migliore rispetto a quella realizzata”[32].
[1] A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, Giuffrè Editore, Milano, 2021, p. 791.
[2] A. Trabucchi, Istituzioni di Diritto Civile, CEDAM, Padova, 2015, p. 1017.
[3] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 792.
[4] A. Trabucchi, op. cit., p. 1018.
[5] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 792. Cfr. anche F. Caringella, F. Della Valle, S. Della Valle, Codice Civile, Giuffrè Editore, Milano, 2007, p. 2223. S. Rossi, Trasporto e responsabilità civile, P. Cendon (a cura di), Responsabilità civile – Responsabilità contrattuale. Responsabilità in ambito familiare, medico e nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, Vol. II, UTET, Milano, 2017, p. 1849 afferma che: “… ai fini della definizione della responsabilità il passeggero, durante l’esecuzione del contratto di trasporto, è comunque tenuto ad assumere un «comportamente ispirato alla comune diligenza» sul presupposto che il soggetto fruitore del viaggio non può in alcun modo essere equiparato ad una res inanimata affidata in custodia al vettore”. E ancora “La regola generale cui fare riferimento è (…) l’art. 1227 c.c.” (S. Rossi, Trasporto e responsabilità civile, cit., p. 1849).
[6] F. Caringella, F. Della Valle, S. Della Valle, op. cit., p. 2223. In questo senso, Cass., Sez. III, sent. 20 luglio 2010, n. 16893, per cui: “incombe al vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ex art 1681 c.c., provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza”. Conforma anche Cass., Sez. III, 17 luglio 2003, n. 11194.
[7] F. Caringella, F. Della Valle, S. Della Valle, op. cit., p. 2223; A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 792. In senso conforme, Cass., Sez. III, sent. 12 novembre 1997, n. 11161, che afferma rigidamente che: “non è sufficiente che il vettore dimostri che l’evento dannoso è dovuto al fatto del terzo, ma occorre pure che provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitarlo”; Cass., Sez. III, sent. 27 ottobre 1993, 10680. Per la giurisprudenza di merito, v. Corte d’Appello di Milano, Sez. II, sent. 12 ottobre 2021, n. 2934; Tribunale di Firenze, Sez. III, sent. 8 settembre 2014, n. 2604, per cui: “L’obbligo accessorio di protezione e vigilanza nei confronti dei passeggeri che incombe sul vettore comporta la necessità che lo stesso fornisca la prova di aver adempiuto all’obbligo di adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno. Pertanto, non è sufficiente che si dimostri genericamente l’assenza di colpa, essendo, al contrario, necessario che venga provata la concreta adozione da parte del vettore di ogni cautela necessaria per evitare danni ai passeggeri nella concreta situazione in cui il trasporto si è svolto”.
[8] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 792; F. Caringella, F. Della Valle, S. Della Valle, op. cit., p. 2222.
[9] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 792; P. Cendon, op. cit., p. 1848.
[10] F. Caringella, F. Della Valle, S. Della Valle, op. cit., p. 2221
[11] A. M. Occasione, Il contratto di Sky Pass, P. Cendon (a cura di), Responsabilità civile – Responsabilità contrattuale. Responsabilità in ambito familiare, medico e nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, Vol. II, UTET, Milano, 2017, p. 2001. Cfr. anche F. Caringella, F. Della Valle, S. Della Valle, op. cit., p. 2223, che reputa sussistere la responsabilità di cui all’art. 1681 c.c. nel caso specifico di una “seggiovia”, ossia una species del più ampio genus degli impianti di risalita.
[12] Nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. III, sent. 3 agosto 2004, n. 14812; Cass., Sez. III, 23 maggio 1997, n. 4607, nonchè Cass., 13 gennaio 1993, n. 356 e Cass., Sez. III, 27 ottobre 1993, n. 10680. Si tratta di pronuncial che hanno ad oggetto impianti di risalita del tito “seggiovia”; quanto affermato dalla Suprema Corte è comunque principio di portata generale applicabile all’intero genere degli impianti di risalita.
[13] La pronuncia in esame afferma ulteriori importanti principi, tra cui:
“pur operando a carico del vettore la responsabilità contrattuale prevista dagli 1218 e 1681 c.c. (“salva la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio …, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”), la presunzione di responsabilità per superare la quale il vettore ha l’onere di provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (e che il fatto si è dunque verificato per caso fortuito, ossia per fatto estraneo alla sua sfera di controllo, avente carattere di imprevedibilità ed eccezionalità, in astratto invocabile anche nel fatto del terzo e nella colpa dello stesso danneggiato) presuppone comunque per la sua applicazione che il passeggero abbia prima provato – oltre, appunto, al danno (del che non è questione) – il nesso causale, e non meramente occasionale, tra l’attività del vettore e la lesione subita”;
“La prova che la lesione si è verificata in occasione di attività di trasporto non esaurisce infatti i presupposti della operatività della presunzione di responsabilità prevista dall’ 1681c.c.: “Nel contratto di trasporto di persone … il viaggiatore, che abbia subito danni “a causa” del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all’attività di trasporto), ha l’onere di provare il nesso eziologico esistente tra l’evento dannoso ed il trasporto medesimo (…), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell’evento; incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ex art. 1681 cod. civ., l’onere di provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza”.
anche Tribunale di Arezzo, sent. 6 luglio 2021, n. 647, secondo cui: “Quindi se, da un lato, grava sul gestorel’obbligo di mantenere l’impiantoin buono stato, in modo da non esporre gli utenti a pericoli maggiori di quelli normalmente connessi a quelle che sono le ineliminabili difficoltà presenti in un impianto di risalita; dall’altro, grava sull’utilizzatore dimostrare che, nel caso specifico, sussista un nesso di causalità tra il trasporto e l’evento”.
In senso parzialmente difforme si pone Tribunale di Trento, sent. 13 giugno 2014, n. 690, il quale stabilisce che il gestore di un impianto di risalità è soggetto all’ordinaria responsabilità contrattuale ex artt. 1218 c.c. e 1176 c.c., senza che vi sia la necessità di ricorrere alla responsabilità di cui all’art. 1681 c.c. Di conseguenza, la prova liberatoria gravante sul gestore consisterebbe nella dimostrazione di avere agilato con la diligenza del professionista di media diligenza, ma non di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Lo stesso giudicante conferma nuovamente il decisum del 2014, affermando che: “Se quindi il contratto di skipass ha nella sua struttura un contratto di trasporto, in linea teorica il gestore dell’impianto sarebbe tenuto ad un doppio regime di responsabilità: il regime della responsabilità del vettore di cui all’art. 1681 cod. civ., per quanto riguarda l’inadempimento alla prestazione di trasporto, e il regime ordinario di cui all’art. 1218 cod. civ., per quanto riguarda l’inadempimento a tutte le altre prestazioni. Tuttavia, una simile conclusione collide con quella teoria, cd dell’assorbimento, seguita dalla giurisprudenza in materia di contratti misti: in forza di tale teoria, infatti, al contratto misto non si estendono le singole discipline delle varie tipologie contrattuali che lo compongono, bensì si applica in via esclusiva la disciplina del tipo negoziale prevalente, ovvero la disciplina del negozio che individua la causa dell’intera operazione negoziale. Il medesimo principio dell’assorbimento può essere esteso al contratto di skipass con la conseguenza che, in punto di responsabilità, ad esso si dovrà applicare un unico regime, che non potrà certo essere quello dettato per il contratto strumentale e secondario di trasporto, bensì dovrà essere quello previsto in via ordinaria dall’art. 1218 cod. civ.” (Tribunale di Trento, sent. 15 maggio 2018, n. 473).
[14] Torrente spiega che perchè si abbia “inadempimento” è di regola necessario che sia già decorso il tempo dell’adempimento, ma vi può essere l’inadempienza della prestazione anche qualora tenga un comportamento incompatibile con l’esecuzione della prestazione. E’ il caso, ad esempio, del debitore che non abbia tempestivamente svolto le attività preparatorie necessarie per l’effettuazione della prestazione nei termini; o ancora, è il caso in cui il debitore non procedere ad eseguire al prestazione secondo le condizioni pattuite e a regola d’arte; etc. (A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 456).
[15] F. Gazzoni, Manuale di Diritto Privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2021, p. 637;
[16] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 456.
[17] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 456. Il Torrente fa l’esempio, per la diligenza, del medico che esegue correttamente l’intervento, ma che lascia una garza nell’addome del paziente; mentre, per la perizia, dell’ingegnere che, per mancanza di preparazione, non esegue correttamente i calcoli per la realizzazione di un edificio (A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 457).
[18] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 457. Nel caso di inadempimento relativo, specifica il Torrente, la situazione di “ritardo” può sfociare: a) nell’adempimento tardivo della prestazione; o b) nell’inadempimento definitivo (A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 457).
[19] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 458. Il principio è ribadito anche, ex multis, da Cass., Sez. III, sent. 11 novembre 2019, n. 28989.
[20] Così F. Gazzoni, op. cit., p. 637 e F. Galgano, Trattato di Diritto Civile, Vol. II, CEDAM, Padova, 2009, p. 53.
[21] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 458 ss..
[22] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 458.
[23] F. Gazzoni, op. cit., p. 638; C. M. Bianca, Diritto Civile – V. la responsabilità, Giuffrè Editore, Milano, 2012, p. 32.
Classica obbligazione di risultato è quella dell’appaltatore, il quale si obbliga alla realizzazione dell’opera, e non al mero svolgimento delle operazioni secondo diligenza, prudenza e perizia. In questo senso, Cass., Sez. II, ord. 22 giugno 2021, n. 17819.
[24] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 459. Una classica obbligazione di mezzi è rappresentata dall’obbligazione gravante sul sanitario, che si impegna alla cura del paziente, pur non garantendo la sua totela guarigione. Secondo Tribunale di Napoli, Sez. VIII, sent. 8 febbraio 2022, infatti: “consistendo l’obbligazione professionale in un’obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria, restando a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile”.
[25] Rientrano in questa ipotesi non solo le obbligazioni di risultato, bensì anche le obbligazioni del debitore di cose generiche (v. A. Torrente, P. Schlesing, op. cit., p. 461 – 462). Come riportato anche da Galgano, non coglierebbero nel punto le cd. teorie soggettivistiche, secondo cui l’obbligato risponderebbe sempre “per colpa” nel caso di inadempimento. Secondo Galgano “Quando si afferma, come spesso afferma anche la giurisprudenza, che l’art. 1218 introduce solo una «presunzione di colpa» del debitore, si enuncia solo una premessa che raramente viene portata alla logica conseguenza che il debitore possa vincere questa presunzione dando la prova, quale assenza di colpa, della propria diligenza” (F. Galgano, op. cit., p. 56 – 57). In questo senso, Cass., Sez. II, 16 febbraio 1994, n. 1500, che afferma che: “In prima approssimazione, il giudizio di imputazione dell’inadempimento si fonda sulla valutazione della condotta del debitore secondo il criterio della colpa: sulla valutazione, cioè, che apprezza lo sforzo diligente tenuto dal debitore per evitare l’inadempimento. Più analiticamente, si discute se la prova della mancanza di colpa debba procedere attraverso la dimostrazione dello specifico impedimento, che ha reso impossibile la prestazione: cioè attraverso la dimostrazione della specifica causa non imputabile. Nondimeno, anche se la dimostrazione della non imputabilità della causa non esige la prova di quale particolare causa si tratti, certo si è che occorre dimostrare che, qualunque sia stata la causa, questa non può essere imputabile al debitore. In altre parole, occorre dimostrare che l’inadempimento deriva da una causa non imputabile, ancorché non esattamente identificata, in quanto una generica prova di diligenza non viene considerata sufficiente a concludere per l’assenza di colpa del debitore”.
Verso una più ampia applicazione della “colpa” del debitore anche in ipotesi diverse dalle obbligazione di mezzi, si pone Cass., Sez. III, sent. 5 agosto 2002, n. 11717, per cui: “Ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento, in presenza di clausola risolutiva espressa, pur se la colpa del contraente inadempiente si presume, ai sensi dell’art. 1218 c.c., il giudice non è, senza dubbio, tenuto solo a constatare che l’evento previsto dalla detta clausola si sia verificato, ma deve esaminare, con riferimento al principio della buona fede, il comportamento dell’obbligato, potendo la risoluzione essere dichiarata solo ove sussista quanto meno la colpa di quest’ultimo. Versandosi in tema di responsabilità contrattuale, la colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, è presunta sino a prova contraria, e tale presunzione è destinata a cadere solo a fronte di risultanze, positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che quest’ultimo, nonostante l’uso della normale diligenza, non sia stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili”.
[26] In senso conforme, anche Tribunale di Milano, Sez. XI, sent. 25 maggio 2022, n. 4599.
[27] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 458.
[28] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 458, che fa l’esempio dell’imprenditore edila a cui è stata appaltata la ristrutturazione del muro di una villa, per cui si richiede una capacità tecnica, ed un utilizzo di mezzi, che non si può invece pretendere da un pensionato cui sia stato affidato il medesimo incarico. Cfr. anche C. M. Bianca, op. cit., p. 33, per cui il criterio da utilizzarsi è pur sempre quello della diligenza media, con riferimento però alla perizia e ai mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria. Nel senso della specifica diligenza richiesta all’operatore professionale, cfr. Cass., Sez. VI-3, ord. 9 luglio 2020, n. 14481 e anche Cass., 24 giugno 2020, n. 12407, secondo cui: “Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la diligenza esigibile dal professionista o dall’imprenditore, nell’adempimento delle obbligazioni assunte nell’esercizio delle loro attività, è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione a loro richiesta e che incorre in responsabilità il debitore che, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’attività esercitata, mantenga una condotta non conforme alla diligenza dovuta in relazione alle circostanze concrete del caso, con adeguato sforzo tecnico e con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari o utili all’adempimento della prestazione dovuta e al soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonchè ad evitare possibili eventi dannosi”.
[29] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 460, che fa l’esempio della diligenza richiesta all’avvocato componente del consiglio di amministrazione di una società, a cui sarà richiesto un grado di diligenza nello svolgimento dell’incarico legato alla correttezza giuridica dell’attività sociale sicuramente maggiore rispetto, invece, all’amministratore esperto in materie tecniche. E’ il caso contemplato da Cass., Sez. II, sent. 4 febbraio 2021, n. 2620
[30] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 462 – 463.
[31] A. Torrente, P. Schlesinger, op. cit., p. 463.
[32] Tribunale di Torre Annunziata, sent. 21 aprile 2022, n. 860. Nello stesso senso, anche Cass., Sez. III, ord. 15 giugno 2020, n. 11599.
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Andrea Olivieri
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