La responsabilità degli esercenti la professione sanitaria ai tempi del Covid-19
L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha sollevato numerose problematiche anche sul piano giuridico. Tra le questioni più importanti e spinose da affrontare emerge la necessità di proteggere e tutelare gli operatori sanitari da possibili risvolti penalistici nell’ambito della colpa professionale derivante dalla gestione e dalla lotta alla pandemia.
Come noto, la responsabilità medica è regolata dalla Legge n. 24/2017 (nota come Legge Gelli – Bianco), in vigore dal 1 aprile 2017. L’art. 6 della suddetta legge ha modificato l’art.590 c.p., inserendo l’art. 590-sexies, ovvero la responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario. Tale disposizione, alla luce della pronuncia n. 8770/2017 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, risulta applicabile in presenza di tre circostanze. In particolare, viene esclusa la responsabilità medica laddove:
– l’imperizia non grave dell’esercente la professione sanitaria sia riferibile all’atto esecutivo;
– siano rispettate le linee guida accreditate, o in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali consolidate,
– le raccomandazioni contenute in siffatte linee guida o buone pratiche siano adeguate alla specificità del caso concreto.
Tuttavia, il dettato normativo introdotto dalla L. Gelli-Bianco è risultato, per la sua portata restrittiva e per le contraddizioni applicative, inadeguato a contenere e contrastare la critica situazione di emergenza creatasi a seguito dei numerosi contagi da Covid, creando così il rischio di aumentare i contenziosi giudiziari in capo agli operatori sanitari a causa dell’elevato numero dei decessi registrati e di alimentare ancor di più il fenomeno della c.d. medicina difensiva. Le ipotesi di non punibilità del sanitario non potevano, quindi, essere limitati ai soli casi di imperizia lieve, come prescritto dall’art. 590-sexies c.p., ma dovevano essere necessariamente estese anche agli episodi di negligenza e di imprudenza non gravi, non potendosi non considerare, ad esempio, quegli errori da parte degli esercenti la professione sanitaria dovuti da un difetto di attenzione derivanti da ritmi di lavoro continuativi ed estenuanti da questi sostenuti per garantire cure ed assistenza alle persone contagiate. Inoltre, l’esigenza di un intervento normativo ad hoc, che risultasse idoneo a tutelare gli operatori sanitari sia nell’ambito della situazione emergenziale, che durante la fase di somministrazione dei vaccini, è dipesa dalla presenza di un virus sconosciuto al mondo scientifico e dalla conseguente assenza di affidabili evidenze terapeutiche e linee guida sufficientemente accreditate.
Di qui l’introduzione dell’art. 3 e 3-bis con il D.L. n. 44/2021 (conv. con modif. in L. n. 76/2021). In particolare, l’art. 3 esclude in toto la responsabilità per i delitti di omicidio e lesioni personali derivanti dalla somministrazione del vaccino; mentre l’art. 3-bis introduce un’ipotesi di limitazione della responsabilità penale ai soli casi di colpa grave per morte o lesioni personali in favore di tutti gli esercenti una professione sanitaria durante lo stato di emergenza epidemiologica.
Entrambe, definite come “norme scudo”, sono norme penali in bonam partem, in quanto più favorevoli rispetto all’art. 590-sexies c.p. e, pertanto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3 della Cost. e dell’art. 2 co. 4 del c.p., applicabili retroattivamente. Tali disposizioni sono principalmente volte ad evitare atteggiamenti auto-cautelativi e di astensione da parte del personale sanitario nella somministrazione dei vaccini, con conseguenti ricadute sui tempi del percorso vaccinale.
Passando all’analisi delle disposizioni in esame, l’art. 3 esclude la responsabilità del personale sanitario laddove ricorrano le seguenti condizioni:
– il verificarsi dell’evento morte o lesione del vaccinato;
– la sussistenza del rapporto di causalità fra somministrazione e l’evento morte o lesione;
– la conformità della somministrazione alle relative regole cautelari;
– l’assenza della colpa.
Quanto al suo ambito applicativo, la scusante si riferisce esclusivamente all’attività sanitaria di inoculazione dei vaccini contro SARS-COV-2/Covid-19, mentre, nella procedura successiva alla somministrazione vera e propria del vaccino ed in quella prodromica curata dal medico o dall’infermiere, l’operato del sanitario potrà tutt’al più ricadere nell’ambito applicativo dell’art. 3-bis, laddove ne ricorrano i presupposti.
L’art. 3-bis, a differenza del precedente, subordina l’esclusione della punibilità alla sussistenza della colpa lieve. Pertanto, sarà configurabile la responsabilità penale in capo all’esercente la professione sanitaria laddove, nell’esercizio della sua professione durante lo stato di emergenza epidemiologica, si siano verificati i fatti di cui agli artt. 589 o 590 c.p. (morte o lesioni personali) e questi abbia agito con dolo o colpa grave.
La norma, al secondo comma, specifica poi che, ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice deve tenere conto della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-COV-2, della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare e del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza.
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Lisa Bizzarri
Ho conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza all'Università di Macerata con tesi in diritto penale ("Colpa e disastri naturali: prove tecniche di diritto penale del rischio"). Dal 2020 sono abilitata alla professione forense.
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