La responsabilità del proprietario di animali domestici

La responsabilità del proprietario di animali domestici

Con la sentenza n. 33407 emessa il 29 luglio 2014 dalla Corte di Cassazione Sezione penale, il supremo Giudice di piazza Cavour è tornato ad occuparsi di vicende spinose e solo in apparenza risolte, che riguardano la responsabilità del proprietario di animali domestici nel nostro ordinamento giuridico.

La Corte Suprema di Cassazione torna, infatti, a bacchettare le disattenzioni dei proprietari di animali – in questo caso cani – che possono costituire in qualche modo un potenziale pericolo per l’incolumità di altre persone.

La Corte di Cassazione non si limita a ribadire le norme – che appartengono al comune e ragionevole senso civico dell’uomo prima ancora che essere norme giuridiche dell’ordinamento – che disciplinano l’ipotesi di aggressione di una persona da parte di un cane non custodito.

Nel caso in esame, infatti, la proprietaria del cane scrivono i giudici di legittimità, non aveva ‘’ adottato preliminarmente le banali cautele atte a rendere inoffensivo l’animale’’, così esponendo terze persone ad un concreto pericolo anche a prescindere da un’effettiva aggressione.

La responsabilità del proprietario dell’animale è un concetto ampio che può e deve essere letto anche alla luce dei principi generali oramai assodati e totalmente recepiti dal legislatore non solo nazionale ma anche europeo e che passano tramite una fitta serie di obblighi e doveri che espongono, nel caso di mancata attuazione, lo stesso proprietario alla responsabilità civile e penale con ogni conseguente e possibile richiesta di risarcimento nelle rispettive sedi giurisdizionali.

Sempre secondo i giudici di legittimità, infatti, la proprietaria del cane nel caso che qui ricorre, avrebbe dovuto dotare il proprio cane di un guinzaglio o comunque avrebbe dovuto chiudere la porta di comunicazione, al fine unico di evitare ogni possibile evento pericoloso, evento che poi in realtà si è verificato.

Secondo la Cassazione, ma prima ancora secondo la corretta sentenza di condanna emessa dal Giudice di pace in primo grado, la proprietaria dell’animale aveva cagionato colposamente l’evento lesivo alla sfortunata vittima.

Il principio di diritto, applicabile in queste ipotesi, viene fornito dalla lettura dell’articolo 2052 del codice civile, il quale recita che ‘’ Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito ‘’.

L’unico motivo in base al quale, secondo la lettura dell’articolo in parola, si può escludere la responsabilità, pur con i dovuti accorgimenti, è quello della presenza di un caso fortuito nonostante ogni possibile attuazione degli obblighi giuridici che incombono sul proprietario dell’animale.

La mancata attuazione di tali obblighi passa, dunque, attraverso una serie variegata ed eterogenea di casistiche che possono però essere ricondotte unitariamente all’imprudenza ed inosservanza di norme, come nel caso che si sta analizzando. Di ipotesi analoghe, ma riferite alla responsabilità del custode si è occupata la stessa Corte Suprema di Cassazione con le sentenze 10189 del 2010 e 2414 del 2014, secondo cui non è responsabile del danno provocato dal calcio di un cavallo colui che lo monta solo in modo provvisorio o saltuario, ma il gestore dell’ippodromo, proprietario del cavallo stesso.

Ulteriore precisazione è stata evidenziata dal giudice di legittimità in una delle sentenze succitate, in particolare nella sentenza 10189 del 2010. Con tale sentenza la Cassazione afferma che la norma dell’articolo 2052, in base alla quale chi si serve di un animale è responsabile dei danni dallo stesso cagionati per il tempo in cui lo ha in uso, trova il proprio fondamento nel principio per cui chi fa uso dell’animale nel proprio interesse anche se non per fini economici, deve risarcire tutti i danni arrecati a terzi che siano collegati causalmente a tale uso.

Non rientra però in questa situazione colui che utilizza l’animale per svolgere mansioni inerenti alla propria attività lavorativa che gli sia stata affidata dal proprietario dell’animale, alle cui dipendenze egli presta l’attività (Cassazione, sentenza 10189 del 2010).


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