La responsabilità dell’ente ex D.Lgs. 231/2001 sulla sicurezza dei lavoratori all’estero: l’analisi del rischio e il concetto di security

La responsabilità dell’ente ex D.Lgs. 231/2001 sulla sicurezza dei lavoratori all’estero: l’analisi del rischio e il concetto di security

di Paolo Caldarone e Marina Vampo

 

Abstract [It]: Il contributo intende analizzare lo sviluppo normativo della responsabilità dell’ente da reato sulla sicurezza dei lavoratori, soffermandosi sulla centralità processuale del Documento di valutazione dei rischi, sull’importanza della security, nonché sulla loro applicazione nel caso Bonatti SpA.

Abstract [En]: The paper focus aims to analyze the corporate criminal responsibility and the evolution of italian law, about safety of workers, focusing on the procedural centrality of the document about analysis of workplace hazards, on the importance of security and case study about Bonatti SpA.

 

Sommario: 1. L’evoluzione sulla responsabilità dell’ente nel diritto interno: il superamento del principio societas delinquere non potest in una prospettiva comparata diacronica e sincronica – 2. L’individuazione normativa del concetto di security ed i suoi principali obiettivi: la figura del security manager nello standard italiano UNI 10459:2017 e le esigenze con l’impiego delle nuove tecnologie – 3. La sicurezza sul lavoro e il documento di valutazione dei rischi (DVR) – 4. L’applicazione dell’art. 25-septies del D.Lgs. n. 231 del 2001 – 4.1 Il rapimento dei tecnici della Bonatti SpA – 5. Considerazioni conclusive

 

1. L’evoluzione sulla responsabilità dell’ente nel diritto interno: il superamento del principio societas delinquere non potest in una prospettiva comparata diacronica e sincronica

Secondo la tradizione giuridica classica, il diritto punitivo ha quale destinatario l’essere umano. Tale prospettiva antropocentrica della pena portò a ritenere che gli enti collettivi, stante la loro natura impersonale, non potessero consistere in centri di imputazione di responsabilità penale, da qui il dogma “societas delinquere non potest[1].

Tuttavia, intorno alla fine del XX secolo, il dilagare di fenomeni di criminalità di impresa (c.d. “white collar crimes”), realizzati dai responsabili delle società per incrementarne illegalmente i profitti, mostrava l’inadeguatezza di un paradigma sanzionatorio rivolto esclusivamente alle persone fisiche e rendeva necessario predisporre un sistema di misure punitive da adottare direttamente nei confronti dell’ente [2], quale autonomo centro di interessi [3].

Dal punto di vista internazionale, i vari sistemi ascrittivi di responsabilità venivano variamente strutturati all’interno delle singole realtà giuridiche nazionali, con conseguenze differenti in termini di effettività.

In particolare, il cammino verso il riconoscimento di modelli sanzionatori in capo agli enti è iniziato nei sistemi di common law. La riconducibilità della responsabilità colpevole all’agire umano ha comportato che in capo alle corporations fossero ascrivibili soltanto illeciti a carattere economico non moralmente connotabili, i c.d. mala quia prohibita, imputabili all’ente a titolo di vicarious o strict liability [4].

Nel panorama statunitense, veniva quindi approntato un sistema di responsabilità civilistica del respondeat superior. Peraltro, emblematica è la pronuncia del 1908 con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto il superamento del principio “societas deliquere non potest” e ha confermato la legittimità costituzionale della responsabilità penale a carico degli enti; nonché la normativa “Foreign Corrupt Practice Act‘, che era stata emanata nel 1977 a seguito di numerosi scandali che avevano coinvolto corporations. Infine, di particolare interesse è il riconoscimento di meccanismi di autoregolamentazione con riferimento alle imprese statunitensi, cristallizzati all’interno delle Federal Sentecing Guidelines del 1991 [5].

Nell’ordinamento inglese, invece, allontanandosi progressivamente dalla vicarious liability, il modello di responsabilità che si era diffuso nella prassi giurisprudenziale era quello diametralmente opposto fondato sull’identification theory, definita anche come dottrina dell’alter ego, una sorta di responsabilità per identificazione dolosa o colposa, tale per cui l’elemento soggettivo dell’individuo autore del reato trasla in capo all’ente, laddove il soggetto individuale avesse agito nell’esercizio delle sue funzioni. Innovativa in punto di responsabilità penale degli enti è la riforma legislativa dell’homicide [6]. Mentre, l’ultimo approdo evolutivo in tal senso nel Regno Unito è dato dall’entrata in vigore del Bribery Act 2010 in data 1° luglio 2011 [7].

La previsione di un paradigma sanzionatorio avente quale destinatario le persone giuridiche si diffuse anche nei Paesi con tradizione giuridica di civil law, tra cui la Francia, i Paesi Bassi, il Belgio, la Danimarca, la Svizzera, la Germania, la Spagna, la Grecia ed altri Stati europei, anche su impulso di accordi sovranazionali. Tale paradigma sanzionatorio veniva configurato nelle varie esperienze giuridiche nazionali in modo differente: talvolta assumeva i tratti di illecito penale, talvolta di illecito “parapenale”; in taluni casi la responsabilità era connessa ad un elenco tassativo di fattispecie di reato, in talaltri si richiedeva soltanto che la commissione di un illecito costituisse violazione di un determinato obbligo di prevenzione e avesse fatto conseguire un arricchimento all’ente; peraltro, si richiedeva sempre un collegamento funzionale tra autore dell’illecito e ed ente [8].

Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la previsione di una responsabilità penale a carico delle persone giuridiche configgeva con il principio di personalità della responsabilità penale, cristallizzato nell’art. 27 del testo costituzionale [9].

Tuttavia, in adempimento degli obblighi scaturenti dall’ordinamento sovranazionale [10], il Legislatore italiano con Legge n. 300 del 29.9.2000 all’art. 1 delegava il Governo a recepire nell’ordinamento giuridico i principi enunciati nelle Convenzioni europee di riferimento [11]. È stato così concepito l’8 giugno 2001 il decreto legislativo n. 231, che ha introdotto una responsabilità “amministrativa” a carico di società, associazioni o enti privi di personalità giuridica (art. 1 co. 2)[12] per la commissione (anche nelle forme del tentativo ex art. 26) di determinati reati (c.d. “reati presupposto”) [13] posti in essere nel loro interesse o a loro vantaggio (art. 5 comma 1) [14] da parte di soggetti che rivestono all’interno delle stesse posizioni apicali o subordinate.

Il modello sanzionatorio approntato dal d. lgs. 231/2001 coniuga aspetti sanzionatori di tipo pecuniario unitamente ad altri di tipo interdittivo (art. 9 ss.), peraltro, l’intento del legislatore non è consistito in una prospettiva prettamente punitiva, piuttosto ha voluto sollecitare l’ente a predisporre una serie di procedure organizzative preventive, volte ad evitare la commissione dell’illecito penale.

lI punto focale del nuovo sistema di responsabilità degli enti è dato, infatti, dall’adozione ed efficace attuazione di modelli di organizzazione, gestione e controllo, idonei a prevenire la commissione dei reati previsti dagli artt. 24-25-terdecies del decreto.

Sotto altro aspetto, sono stati approntati meccanismi “premiali”, nell’ottica di spingere la parte ad adottare condotte che eliminino o attenuino le conseguenze negative degli illeciti realizzati (art. 12 e 17) [15].

Di particolare interesse è l’acceso dibattito sorto in merito alla natura giuridica da attribuire alla responsabilità prevista dal d. Lgs. 231/2001 [16].

Il legislatore qualifica ex lege tale responsabilità come “amministrativa” derivante da reato, ed in effetti essa trae direttamente origine dalla commissione di un reato, accertato dal Giudice penale con le garanzie procedurali penali. Tuttavia, un osservatore attento non può non cogliere come tale responsabilità della societas – anche alla luce dell’applicazione dei criteri Engel [17] – assuma sostanzialmente i tratti tipici della responsabilità penale [18], in quanto l’imputazione del reato all’ente avviene attraverso l’individuazione della c.d. colpa dell’organizzazione, afferente al campo della colpevolezza.

Questa è stata la ragione per la quale la stessa relazione governativa definisce tale responsabilità come un “Tertium Genus[19], una categoria di diritto sanzionatorio che si colloca a metà strada tra diritto amministrativo e diritto penale in senso stretto [20], la quale rappresenta l’unica via percorribile per ritenere tale normativa costituzionalmente sostenibile.

Sul punto la Corte di Cassazione ha affermato che il D.Lgs. 231/01, prevedendo una sanzione autonomamente e direttamente in capo alla persona giuridica con le forme del processo penale, si differenzia dalle preesistenti sanzioni irrogabili agli Enti, così da sancire il tramonto del dogma “societas delinquere non potest”  [21].

2. L’individuazione normativa del concetto di security ed i suoi principali obiettivi: la figura del security manager nello standard italiano UNI 10459:2017 e le esigenze con l’impiego delle nuove tecnologie

Prima di analizzare in maniera specifica il concetto di security, è importante soffermarsi su cosa si debba intendere per “sicurezza” nell’ordinamento giuridico italiano, che non pone, rispetto ai Paesi anglosassoni [22], una distinzione semantica tra la prevenzione di eventi colposi e dolosi a danno degli asset aziendali; infatti, gli inglesi intendono per safety l’insieme di misure e strumenti atti a prevenire o ridurre gli eventi accidentali che potrebbero causare ferite a persone o danni a cose, mentre per security l’insieme delle azioni e degli strumenti in risposta ad una minaccia in atto, derivante da azione dolosa, organizzata cioè proprio allo scopo di arrecare danni [23].

In particolare, questa mancata suddivisione deriva dalla peculiare cultura sulla sicurezza nel nostro Paese, basata su un sistema chiuso, prettamente costituita dall’intervento esclusivo delle Forze dell’Ordine che, tuttavia, negli ultimi anni, con la crescente consapevolezza del ruolo determinante della security aziendale si è verificata un inversione, passando ad un sistema aperto, dove la maggior parte dei soggetti predisposti alla tutela degli asset aziendali appartiene al mondo accademico e privato che collabora con le istituzioni [24].

Soprattutto, con l’impiego delle nuove tecnologie, è stata introdotta, oltre alla figura del Security Manager [25], il Data Protecion Officer (DPO), ai sensi dell’art. 37 del GDPR [26], come responsabile della protezione dei dati che dovrà, tra i diversi compiti espressamente sanciti nell’art 39 GDPR, «fornire, se richiesto, un parere in merito alla valutazione d’impatto sulla protezione dei dati e sorvegliarne lo svolgimento ai sensi dell’articolo 35» [27].

Il principale strumento di attuazione della sicurezza all’interno delle società, consiste nell’attività normativa e nella verifica della sua applicazione, attraverso le c.d. “Linee Guida per le Attività di Security” le quali definiscono gli indirizzi e il quadro delle responsabilità per prevenire, fronteggiare e superare rischi ed eventi causati da comportamenti prevalentemente di natura dolosa e/o colposa posti in atto all’interno o all’esterno della società, che possono danneggiare il personale, o le risorse materiali o immateriali aziendali.

L’obbiettivo è quello di “sfuggire” a un blocco prolungato delle attività lavorative ed una eccessiva perdita economica e di assicurare, conseguentemente, che l’azienda e ogni sua componente siano in grado di ripristinare la propria attività, nel più breve tempo possibile, dopo aver subito una qualunque azione offensiva, onde evitare anche un danno reputazionale [28].

Per prevenire l’interruzione dell’attività aziendale, l’imprenditore deve avvalersi del professionista di security, in particolare del Security Manager, che compirà tutte le valutazioni necessarie per fronteggiare suddetto rischio [29].

3. La sicurezza sul lavoro e il documento di valutazione dei rischi (DVR)

Dal punto di vista normativo, sono molteplici le norme che analizzano e regolamentano la sicurezza sul lavoro a partire dai fondamenti costituzionali degli artt. 32 e 41 Cost., cioè il diritto alla salute e la libertà di iniziativa economica privata, sino all’art. 2087 c.c. [30], che sancisce lo specifico obbligo in capo all’imprenditore di assicurare la protezione psico-fisica dei lavoratori (ovunque si trovino); tuttavia, ci sono state molte integrazioni a suddette fonti, con il d.lgs. n. 626/94, che ha ampliato la tutela sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e con l’art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 [31] (d’ora in avanti “Testo unico sulla sicurezza sul lavoro” – TUSL) [32] che si riferisce ad una valutazione completa di «tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori».

Con il decreto legislativo n. 626/94 [33] l’Italia ha dato attuazione ai precetti comunitari [34] e al dispositivo della sentenza causa C-49/00 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea [35], compiendo una “rivoluzione copernicana” in materia di sicurezza e salute sul lavoro, per quanto attiene al concetto di sicurezza, essa viene considerata come un obiettivo da raggiungere sia attraverso la collaborazione tra datore di lavoro e lavoratore, sia mediante l’introduzione a livello legislativo del principio relativo alla valutazione del rischio, prevedendo una vera e propria programmazione di sicurezza sui rischi ed esigenze specifiche del singolo sul luogo di lavoro.

Tuttavia, soltanto con il TUSL il legislatore nazionale interviene in maniera diretta a ridurre i rischi degli infortuni sul lavoro, con l’obbligo del datore di lavoro [36] di effettuare una valutazione puntuale, dettagliata ed aggiornata di tutti i rischi legati all’organizzazione aziendale, presupposto imprescindibile per la corretta individuazione ed attuazione delle migliori misure possibili per la protezione dei lavoratori, ricomprendendo anche i rischi nuovi “atipici” connessi alla security, sebbene manchi un riferimento normativo testuale a quegli eventi dolosi che possono avere ripercussioni negative sulla comunità aziendale. [37]

Infatti, la Corte di Cassazione ha dichiarato che l’obbligo del datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica dei dipendenti non si esaurisce nell’adozione di misure igienico-sanitarie e/o antinfortunistiche e che i lavoratori devono essere preservati anche rispetto ad aggressioni conseguenti l’attività criminosa di terzi [38], il c.d. rischio esogeno [39].

In relazione a quanto appena affermato, risulta fondamentale precisare che l’art. 2087 c.c. si applica in tema di salute e sicurezza nel pubblico e nel privato, imponendo al datore di lavoro di applicare tutte le misure volte a tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore [40], combinandosi tanto con i principi costituzionali di tutela del diritto alla salute e dell’iniziativa economica privata, che non può svolgersi in contrasto con i principi di sicurezza, libertà e dignità umana, quanto con l’obbligo nella Valutazione di tutti i Rischi [41], ai sensi dell’art. 28 TUSL, imposta al datore di lavoro per la salute e sicurezza sul lavoro, senza eccezioni [42].

4. L’applicazione dell’art. 25-septies del D.Lgs. n. 231 del 2001

Nell’ambito del d.lgs. n. 231/2001, norma dedicata alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è l’art. 25-septies, la quale non era presente nella versione originaria  di tale decreto legislativo, bensì è stata introdotta con la legge delega n. 123 del 2007, recante «Misure in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia» [43], con l’intento di  ampliare la Responsabilità Amministrativa ai reati concernenti i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime conseguenti alla violazione delle norme sulla tutela dell’igiene e della salute del lavoro[44]; ed è stata oggetto di un successivo “rimaneggiamento” ad opera del TUSL.

Appare interessante notare come la natura colposa dei reati menzionati dall’art. 25-septies abbia posto non pochi problemi in termini di compatibilità di una siffatta responsabilità con con il criterio di attribuzione del reato all’ente.

Invero, l’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 231/2001, disponendo che l’ente «è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio […]», ha introdotto un criterio oggettivo d’imputazione con cui attribuire il fatto illecito direttamente in capo all’ente e ha, quindi, ripudiato l’ammissibilità di una “responsabilità per fatto altrui”, compatibilmente con il principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost. [45].

Sembra dunque ossimorico ammettere che chi agisca colpevolmente, dunque con negligenza, imprudenza, imperizia o in violazione di regole cautelari scritte, possa voler commettere il reato nell’interesse dell’ente [46].

Di conseguenza, in dottrina e giurisprudenza sono state elaborate diverse interpretazioni del concetto di “interesse o vantaggio”, le quali enfatizzavano talvolta il primo concetto, talvolta il secondo, nel tentativo di armonizzare l’art. 5 con l’art. 25-septies del d.lgs. n. 231/2001.

Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte ritenendo che “i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico. Tale soluzione non determina alcuna difficoltà di carattere logico: è ben possibile che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare e quindi colposa sia posta in essere nell’interesse dell’ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio” [47].

Oltre a tale pronuncia, particolarmente significativa per l’interpretazione dell’art. 25-septies del d.lgs. n. 231/2001, in materia di sicurezza sul lavoro si segnala anche la sent. n. 53285 del 23.11.2017 emessa dalla Cass. Pen. sez. IV, in cui è stato osservato che ricorrono i criteri di imputazione all’”interesse” della società nel caso in cui l’omessa predisposizione del sistema di sicurezza determini un risparmio di spesa, si configura invece il “vantaggio” qualora la mancata osservanza della normativa di sicurezza consenta un aumento della produttività [48].

4.1 Il rapimento dei tecnici della Bonatti S.p.A.

La Bonatti SpA è un’impresa con sede Parma, operante nel settore oil and gas, con un’esperienza di oltre 70 anni e circa 7.500 dipendenti, di cui il 95% molto spesso svolge le proprie mansioni all’estero.

Nell’anno 2015, quattro tecnici specializzati, inviati presso gli impianti di tale impresa situati in Libia, venivano sequestrati mentre si recavano sul posto di lavoro e due di loro perdevano la vita durante un conflitto a fuoco.

I rischi per l’incolumità dei lavoratori in trasferta in quel determinato contesto politico-territoriale erano ben noti alla società, tanto che la medesima aveva partecipato in precedenza ad una riunione presso il Ministero degli Esteri ove veniva preannunciata l’imminente chiusura dell’ Ambasciata italiana per il “peggioramento delle condizioni di sicurezza” e venivano sconsigliati gli spostamenti via terra, raccomandando piuttosto quelli per via aerea o via mare con l’utilizzo di una nave militare. Sennonché, per questioni di tempistica, il responsabile per la sicurezza in Libia, anche detto operation manager, aveva ugualmente dato l’ordine di raggiungere la sede estera via terra, a bordo di un mezzo privato, guidato da un autista libico privo di scorta armata [49].

A fronte dell’accaduto, venivano svolte le indagini a carico dei responsabili che sfociavano il 22.01.2019 nella sentenza di condanna emessa dal G.U.P. di Roma, con cui si disponeva: la condanna a 1 anno e 10 mesi del presidente della Bonatti S.p.A. e di due componenti del Consiglio di Amministrazione della stessa per cooperazione colposa nel delitto doloso (giudicati con rito abbreviato); la condanna a carico della società Bonatti S.p.A. ad una sanzione di € 150.000 ai sensi dell’art. 25-septies del d.lgs. 231/2001, unitamente a un risarcimento ai familiari delle vittime di € 150.000; il rinvio a giudizio per lo stesso reato di un terzo componente del C.d.A. della società; l’accoglimento della richiesta di patteggiamento a 1 anno e 10 mesi del responsabile della Bonatti in Libia.

La sentenza emessa dal GUP il 22.01.2019 è di notevole interesse, in particolare per l’applicazione in contesti complessi come quelli aziendali dell’istituto della “cooperazione colposa nel delitto doloso”, che è istituto non normativizzato tra le fattispecie del diritto penale e in merito al quale vi è un acceso dibattito in dottrina sulla sua ammissibilità [50].

Mediante un richiamo all’argomentazione svolta dalle S.U. della Corte di Cassazione con la sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn (caso ThyssenKrupp) [51], si è ritenuto che fosse stata proprio la mancata procedimentalizzazione delle misure di sicurezza con riguardo al trasferimento dei lavoratori da parte dei vertici della Bonatti S.p.A., tenuti a individuare  valutare i rischi aziendali in virtù del proprio obbligo di garanzia, ad agevolare la violazione della regola cautelare da parte dell’operation manager in Libia, consentendo quell’esito nefasto per due dei quattro tecnici. In altri termini, il deficit organizzativo della Bonatti ha reso il “terreno fertile” per la condotta commissiva colposa del dirigente libico, quale conseguenza di colpevoli omissioni in punto di prevenzione.

Difatti, il legislatore ha imposto al datore di lavoro una serie di misure e cautele da predisporre per tutelare l’incolumità dei propri dipendenti, conformemente a quanto previsto nell’art. 2087 c.c. e meglio delineato nel del T.U. n. 81/2008 e nel d.lgs. 231/2001.

In particolare, mentre il T.U. n. 81/2008 impone al datore di prevedere ed eliminare i rischi tipici dell’attività lavorativa richiesta ai dipendenti; il d.lgs. 231/2001 incide sugli obblighi del datore stesso in punto di organizzazione, richiedendo che egli predisponga nella propria azienda un sistema organizzativo di controllo e monitoraggio delle misure adottate, in modo da garantirne l’attuazione e l’aggiornamento, oltre a dover prevedere un sistema sanzionatorio volto a punire chi violi scientemente tali misure[52].

Tale percorso logico-argomentativi ha permesso al GUP di Roma di configurare in capo ai soggetti apicali della Bonatti S.p.A., altresì una responsabilità da reato della società ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, in quanto sussistenti tutti gli elementi costitutivi.

Con maggiore impegno esplicativo, si evidenzia come l’Autorità giudicante abbia ritenuto : configurato il reato presupposto dell’omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro ex art. 25-septies; realizzata tale ipotesi criminosa ad opera dei soggetti apicali della Bonatti, quindi con l’integrazione del c.d. “rapporto organico” ex art. 5 lett. a); sussistente il presupposto del vantaggio dell’ente – essendo la deroga alle misure di sicurezza dei lavoratori motivata da ragioni di opportunità aziendale, in termini di accorciamento dei tempi per il raggiungimento dei cantieri libici da parte dei lavoratori e il contenimento dei costi di trasferimento degli stessi; infine, integrata la colpa organizzativa di natura omissiva ex art. 40, comma 2, c.p., a causa della mancata adozione di un modello tale da procedimentalizzare i rischi esistenti.

Dall’analisi della sentenza in commento emerge come la figura datoriale si discosta da un’accezione meramente esecutiva di previsioni legislative, che si risolveva nella pura e semplice predisposizione di modelli organizzativi volti a garantire l’osservanza di cautele sul posto di lavoro, piuttosto si erge a soggetto garante della salute e della sicurezza dei lavoratori, in un’ottica di “responsabilizzazione” del datore di lavoro.[53]

5. Considerazioni conclusive

Nel presente elaborato è stata descritta l’evoluzione storico normativa della responsabilità amministrativa degli enti, soffermandosi particolarmente sui profili di sicurezza sul lavoro e i rispettivi doveri del datore di lavoro. In particolare, si è analizzato il concetto di security nel nostro ordinamento e i suoi sviluppi normativi e applicativi.

Dopo una breve analisi dell’art. 25 septies del d.lgs. 231 del 2001, si è concentrata l’attenzione sulla tutela dei lavoratori all’estero, analizzando il caso Bonatti in cui si sono riscontrate omissioni da parte dell’azienda nel non aver adottato idonee misure di sicurezza.

 

 

 

 

 

[1] F. TOSELLO, La responsabilità amministrativa degli enti: il modello 231 integrato con l’art. 30 d.lgs. n. 81/2008 per la sicurezza sul lavoro, Torino, 2010, 27.
[2] C., PIERGALLINI, Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, in in Enc. giur. Treccani, Roma, 2001, p. 2.
[3] M. H. SCHETTINO, – F. LUCARIELLO, La difesa degli enti e dagli enti nel d. lgs. 231/2001: dal modello organizzativo al procedimento penale, Milano, 2019, p. 4.
[4] La strict liability consiste in una responsabilità oggettiva mentre la vicarious liability è una vera e propria responsabilità per fatto altrui. Rimaneva preclusa, invece, la possibilità di ascrivere direttamente in capo ai soggetti metaindividuali i true crimes, facenti parte della categoria dei mala in se, in quanto presupponevano una mens rea. G. DE SIMONE, Alle origini della responsabilità da reato delle persone giuridiche: profili di diritto comparato, in Responsabilità da Reato degli enti, a cura di G. LATTANZI, P. SEVERINO, Torino, 2020, pp. 4-13.
[5] Ha efficacia attenuante in punto di commisurazione della pena: la collaborazione effettiva delle imprese con le autorità di controllo, nonché l’adozione di un efficace compliance program corrispondente a modelli legali predeterminati. G. DE SIMONE, Alle origini della responsabilità da reato delle persone giuridiche: profili di diritto comparato, in op.cit., pp. 4-13.
[6] Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act del 2007 ha introdotto la fattispecie di corporate manslaughter, in cui viene delineata chiaramente una colpa di organizzazione a carico delle corporations per eventi causati da errori e negligenze riscontrati nell’organizzazione. Peraltro, a ben vedere, tale fattispecie non introduce alcun generale criterio imputazionale alla corporation, in quanto una persona giuridica è penalmente responsabile per lo svolgimento delle proprie attività soltanto in due ipotesi: da un lato, laddove determini la morte di una persona ed integri una grave violazione di un precipuo dovere di precauzione cui l’ente è tenuto verso la persona offesa; dall’altro, qualora le modalità di gestione ed organizzazione dell’attività da parte del senior manager costituiscano un elemento sostanziale della violazione del dovere di precauzione. G. DE SIMONE, Alle origini della responsabilità da reato delle persone giuridiche: profili di diritto comparato, in op.cit., pp. 4-13.
[7] È stata configurata un’autonoma fattispecie (sec. 7) di omessa prevenzione della corruzione (failure of commercial organisations to prevent bribery), riferibile agli enti collettivi (persone giuridiche, società ed enti) che svolgano attività commerciale. G. DE SIMONE, Alle origini della responsabilità da reato delle persone giuridiche: profili di diritto comparato, in op.cit., pp. 4-13.
[8] F. TOSELLO, La responsabilità amministrativa degli enti: il modello 231 integrato con l’art. 30 d.lgs. n. 81/2008 per la sicurezza sul lavoro, cit., pp. 30, 31.
[9] A. MANNA, La responsabilità dell’ente da reato tra sistema penale e sistema amministrativo: riflessioni rapsodiche su offensività, colpevolezza e sistemi sanzionatori, in La responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001 tra diritto e processo, a cura di D. PIVA, Torino, 2021, p 4: secondo l’Autore una responsabilità penale degli enti non è incompatibile con l’art. 27 Cost., poiché non configura un tipo di responsabilità per fatto altrui.
[10] Per quanto riguarda le norme di adattamento nazionali del diritto internazionale consuetudinario, il recepimento è automatico e diretto, ai sensi dell’art. 10, comma 1, Cost., con un mero rinvio alla norma, mentre il recepimento del diritto pattizio, è subordinato da un atto ad hoc, cioè il c.d. ordine di esecuzione, che si limita ad esprimere la volontà che il trattato sia eseguito ed apricato all’interno dello Stato, senza la riformulazione delle norme, e avviene generalmente con la legge ordinaria, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., B. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, XI edizione, 2015, pp. 352-362.
[11] Segnatamente i seguenti provvedimenti europei: a) Convenzione di Bruxelles del 26/7/1995 sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea; b) Convenzione di Bruxeles del 26/5/1907 sulla lotta ala corruzione di funzionari pubblici sia della Comunità Europea sia degli Stati membri; c) Convenzione OCSE di Parigi del 17/12/1997, che prevede i paradigmi di responsabilità delle persone giuridiche da sanzionare. M. H. SCHETTINO, – F. LUCARIELLO, La difesa degli enti e dagli enti nel d. lgs. 231/2001: dal modello organizzativo al procedimento penale, Milano, 2019, p. 4.
[12] Sono esonerati da tale responsabilità, degli enti pubblici territoriali, altri enti pubblici non economici ed enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 1 comma 3). REPUBBLICA ITALIANA. D. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300, in GU Serie Generale n.140 del 19-06-2001, (testo consultabile sul sito GazzettaUfficiale).
[13] Inizialmente, il Governo ha dato attuazione soltanto a una parte della l. 300/2000, introducendo tra i reati c.d. presupposto esclusivamente quelli oggetto delle convenzioni europee ratificate, adducendo quale giustificazione nella Relazione Ministeriale al d. lgs. 231/2001: “poiché l’introduzione della responsabilità sanzionatoria degli Enti assume un carattere di forte innovazione del nostro ordinamento, sembra opportuno contenerne, per lo meno nella fase iniziale, la sfera di operatività, anche allo scopo di favorire il progressivo radicamento di una cultura aziendale della legalità, che se imposta ex abrupto con riferimento ad un ampio novero di reati, potrebbe fatalmente provocare non trascurabili difficoltà di adattamento“. Dunque, si tratta di normativa di sistema ad integrazione progressiva, come può riscontrarsi anche visivamente dalla novellazione intervenuta sull’art. 25 del medesimo decreto legislativo, F. TOSELLO, La responsabilità amministrativa degli enti: il modello 231 integrato con l’art. 30 d.lgs. n. 81/2008 per la sicurezza sul lavoro, Torino, 2010, 50.
[14] Tale tipo di imputazione del fatto illecito pare trovare fondamento nella nota teoria dell’immedesimazione organica, per cui le persone fisiche che rivestono posizioni apicali finiscono per immedesimarsi nell’organizzazione dell’ente, per cui i fatti illeciti da queste commessi si imputano direttamente alla persona giuridica; nell’ipotesi di reato commesso, invece, da soggetti sottoposti a direzione o vigilanza di uno di tali soggetti, ciò che si imputa all’ente, per via d’immedesimazione organica, sarebbe piuttosto l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza che abbia permesso la commissione del reato presupposto, G. DE SIMONE, Interesse o vantaggio, in La responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001 tra diritto e processo, a cura di D. PIVA, Torino, 2021, pp. 269, 270.
[15] M. H. SCHETTINO, – F. LUCARIELLO, La difesa degli enti e dagli enti nel d. lgs. 231/2001: dal modello organizzativo al procedimento penale, cit., p. 5.
[16] A. MANNA, La responsabilità dell’ente da reato tra sistema penale e sistema amministrativo: riflessioni rapsodiche su offensività, colpevolezza e sistemi sanzionatori, in La responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001 tra diritto e processo, cit., pp. 6-9.
[17] Elaborati in seno alla Corte EDU, Grande Camera, sent. 23 novembre 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, in Conseil de l’Europe, Cour Européenne des droits de l’homme, Strasbourg, 1976, in cui onde evitare la c.d. truffa delle etichette si è statuito che il nomen iuris attribuito dalla legge non è sufficiente a qualificare la natura giuridica di essa, M. H. SCHETTINO, – F. LUCARIELLO, La difesa degli enti e dagli enti nel d. lgs. 231/2001: dal modello organizzativo al procedimento penale, cit., p. 6.
[18] Gettando uno sguardo sui lavori parlamentari, pare significativo che la prima versione del testo della delega l. 300/2000 qualificava la responsabilità come “penale”, peraltro, a seguito di una serrata opposizione in ossequio al dogma dell’irresponsabilità penale della persona giuridica, tale responsabilità venne qualificata come “amministrativa”, C. PIERGALLINI, Aspettative e realtà della (ancor breve) storia del D.Lgs. n. 231/2001 in materia di responsabilità da reato degli enti, in Diritto penale e processo, n. 7/2022, p. 871.
[19] Tale ricostruzione è stata ribadita anche dalla giurisprudenza di legittimità in occasione del celebre processo ThyssenKrupp, secondo cui «il sistema normativo introdotto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un ‘tertium genus’ di responsabilità», REPUBBLICA ITALIANA. CORTE DI CASSAZIONE. SEZIONI UNITE, 24 aprile 2014, n. 38343, in Cass. Pen., 2015.
[20] M.H. SCHETTINO – F. LUCARIELLO, La difesa degli enti e dagli enti nel d. lgs. 231/2001, cit., pp. 6, 7.
[21] Si riporta testualmente quanto affermato dalla Corte Suprema sul punto: “[…] ad onta del ‘nomen juris’, la nuova responsabilità, nominalmente amministrativa, dissimula la sua natura sostanzialmente penale. Per non aprire delicati conflitti con i dogmi personalistici dell’imputazione criminale di rango, costituzionale (art. 27 cost.) […] come divieto di responsabilità per fatto altrui […] come divieto di responsabilità per fatto incolpevole […] il d.lgs. 231/01, sanzionando la persona giuridica in via autonoma e diretta, con le forme del processo penale, si differenzia dalle preesistenti sanzioni irrogabili agli enti, così da sancire la morte del dogma ‘societas’ delinquere non potest’”, REPUBBLICA ITALIANA. CORTE DI CASSAZIONE. SEZIONE II PENALE, n. 3615, in Cass. Pen (udienza 20/12/2005).
[22] Più precisamente, secondo l’Oxford Dictionary, le principali differenze tra questi due concetti è in relazione agli elementi di protezione: la safety implica la creazione di protezione da rischi o pericoli, mentre per security si intende lo stato libero da pericoli o minacce, O.V. BUDNOVSKAIA, V. V. LEONIDOVA, A. V. LYSOVA, Security or Safety: Quantitative and Comparative Analysis of Usage in Research Work Published in 2004-2009, in PubMed Central, 9 December 2019, p. 1, (testo consultabile sul sito Nation library of Medecine).
[23] C. N. ALIOTO, Pubbliche manifestazioni tra safety e security (seconda parte), in Polizia Moderna, 10 gennaio 2020, (testo consultabile sul sito poliziamoderna).
[24] D. TOSELLI, Prospettive della security aziendale, in Supplemento alla rivista antifurto&security, n. 12/2012, pp. 13-14.
[25] Secondo lo standard italiano UNI: 10459:2017, per security si intende «Lo studio, sviluppo ed attuazione delle strategie, delle politiche e dei piani operativi volti a prevenire, fronteggiare e superare eventi in prevalenza di natura dolosa e/o colposa che possono danneggiare le risorse materiali, immateriali, organizzative ed umane di cui l’azienda dispone o di cui necessita per garantirsi un’adeguata capacità concorrenziale nel breve, nel medio e lungo termine», UNI, 10459:2017 Attività professionali non regolamentate – Professionista della security – Requisiti di conoscenza, abilità e competenza,  (testo consultabile sul UNI).
[26] UNIONE EUROPEA, Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, L 119/1, 27 aprile 2016, (testo consultabile sul sito Eur-lex).
[27] G. VILLAROSA, Security Manager e DPO, due figure nate dalla necessità di una maggiore sicurezza aziendale, in Safety & Security Magazine, 14 settembre 2018, pp. 1-7, (testo consultabile sul sito Safetysecuritymagazine.
[28] D. TOSELLI, Prospettive della security aziendale, cit., pp. 14-16.
[29] G. VILLAROSA, La normativa per la sicurezza e la tutela del patrimonio aziendale, in Safety & Security Magazine, 1° febbraio 2022, pp. 2-3, (testo consultabile sul sito Safetysecuritymagazine).
[30] Ai sensi dell’articolo in questione «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro», REPUBBLICA ITALIANA, Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262 “art. 2087 c.c.”, in GU, 4 aprile 1942, n. 79, (testo consultabile sul sito GazzettaUfficiale).
[31] Per approfondire l’iter normativo in questione si suggerisce DE SANTIS, G., Profili penalistici del regime normativo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro introdotto dal d.lgs. n. 81/2008, in Resp. civ. e prev., fasc.7-8, 2008, pp. 1660B-1664B.
[32] REPUBBLICA ITALIANA, D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81: attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, in GU Serie Generale, 30 aprile 2008, n. 101, (testo consultabile sul sito GazzettaUfficiale).
[33] REPUBBLICA ITALIANA, D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626: attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, in GU Serie Generale, 12 novembre 1994, n. 265.
[34] Più precisamente, ha dato attuazione alle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.
[35] Il Giudice europeo ha espressamente affermato che «Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, valuta TUTTI i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro», UNIONE EUROPEA, CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA, Causa C-49/00, 15 novembre 2001, in European Court Reports 2001 I-08575, (testo consultabile sul sito Eur-lex).
[36] Per approfondire vedi: F. D’ALESSANDRO, La delega di funzioni nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, alla luce del decreto correttivo n. 106/2009, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. n. 3, 2010, pp. 1125 ss.
[37] M. GIOVANNONE, Security manager e prevenzione, in Supplemento alla rivista antifurto&security, n. 12/2012, pp. 24-30.
[38] REPUBBLICA ITALIANA. CORTE DI CASSAZIONE. SEZIONE LAVORO, 7 novembre 2005, n. 21479, in ISL, 2006, n. 2, p. 92.
[39] Ad esempio: il rischio rapina. Nel marzo 2003, l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) si è proposta, a causa maggior tasso di rischio-rapina in Italia tra gli altri paesi europei, «di definire – con l’ausilio di uno specifico Gruppo di lavoro composto da esperti di security e safety e con la collaborazione di una primaria struttura universitaria – un modello di previsione e valutazione del rischio rapina, corredato da un software applicativo. La realizzazione di un modello che consenta di stimare il rischio che uno sportello bancario subisca una rapina si fonda sulla analisi del fenomeno criminale e sull’individuazione delle variabili che influenza- no la probabilità dell’accadimento e la misura (magnitudo) del rischio. Punto di partenza del progetto sarà, a motivo di ciò, l’analisi dei dati attualmente disponibili sulle rapine in banca (Osservatorio ABI sulla sicurezza fisica – OSSIF) per poi individuare le variabili ed elaborare il modello valutativo sulla base del quale realizzare uno strumento (software) applicativo», A. VILLANI, A. BIASIOTTI, La valutazione del rischio criminoso, Coll. Sicurezza, Roma, 2017, pp.
[40] La Cassazione lo ha interpretato come principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile secondo cui «In tema di prevenzione infortuni, se è ben vero che costituisce onere dell’imprenditore adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia per garantire la sicurezza dei lavoratori, deve tuttavia precisarsi che, qualora la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino alla individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, non è possibile pretendere che l’imprenditore proceda ad un’immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti e innovative, dovendosi pur sempre procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell’innovazione, purché, ovviamente, i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza», REPUBBLICA ITALIANA. CORTE DI CASSAZIONE. SEZIONE IV PENALE, 27 gennaio 2016, n. 3616, in Cass. Pen., 2016.
[41] Si evidenzia come nota di approfondimento: R. COMPOSTELLA, La responsabilità del preposto nel quadro delle nuove norme sulla sicurezza sul lavoro, in Diritto penale e processo, n. 5/2022, pp. 691-701.
[42] L. FANTINI, Security, salute e sicurezza sul lavoro, in Supplemento alla rivista antifurto&security, n. 12/2012, pp. 17-18.
[43] Testo previgente dell’art 25-septies: “In relazione ai delitti di cui agli artt. 589 e 590, 3° co., del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a mille quote” e che “nel caso di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1, si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno”. REPUBBLICA ITALIANA. D. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300, in GU Serie Generale n.140 del 19-06-2001, (testo consultabile sul sito GazzettaUfficiale).
[44] F. TOSELLO, La responsabilità amministrativa degli enti: il modello 231 integrato con l’art. 30 d.lgs. n. 81/2008 per la sicurezza sul lavoro, cit., pp. 20-23.
[45] G. DE SIMONE, G., Interesse o vantaggio, in La responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001 tra diritto e processo, cit., pp. 267, 268.
[46] S. DOVERE, Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazioni delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, in Il 231 nella dottrina e nella giurisprudenza: a vent’anni dalla sua promulgazione, a cura di M. LEVIS, A. PERINI, Torino, 2021, pp. 771-784.
[47] Inoltre, si è aggiunto che sin dalla Relazione Governativa «si ritiene che il criterio dell’interesse esprima una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto, e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; e che il criterio del vantaggio abbia una connotazione essenzialmente oggettiva come tale valutabile ex post sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito», dunque, «è ben possibile che l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell’ente», REPUBBLICA ITALIANA. CORTE DI CASSAZIONE. SEZIONI UNITE, 18 settembre 2014, n. 38343, in Cass. Pen., 2014.
[48] Si veda anche: Cassazione Penale, Sez. IV, 27marzo 2017, n. 15123; Cassazione penale, sez. IV, 15 dicembre 2016, n. 2438; Cassazione penale, sez. IV, 13 ottobre 2016, n. 43271;  Corte di Appello di L’Aquila, 5 ottobre 2016, п. 3087; Cassazione Penale, Sez. IV, 20 settembre 2016, n. 39023; Cassazione penale, sez. IV, 1 agosto 2016, n. 33629; Cassazione penale, sez. IV, 20luglio 2016, n. 31210; Cassazione penale, sez. IV, 23 giugno 2015, n. 31003; Tribunale Milano, sez. IX, 06 dicembre 2013; Cassazione penale, sez. IV, 25 giugno 2013, n. 42503 in REPUBBLICA ITALIANA. CORTE DI CASSAZIONE.
[49] REPUBBLICA ITALIANA. TRIBUNALE DI ROMA, 22 gennaio 2019, n. 125, in Diritto Penale Economia e Impresa, 2020.
[50] M. PADOVAN, Tutela dei lavoratori allestero: dalla sentenza Bonatti un nuovo fronte per la security aziendale, a cura di Raffaello Juvara, in Essecome, aprile 2019, (testo consultabile sul sito securindex).
[51] Nell’ambito della nota sentenza a Sezioni Unite relativa al caso ThyssenKrupp si era conferita una valenza estensiva all’art. 113 c.p., con la quale i giudici di legittimità avevano affermato che “la consapevolezza di cooperare con altri è in grado di estendere il novero degli obblighi cautelari, facendo sorgere in capo a ciascun agente, il dovere di relazionarsi e preoccuparsi anche della condotta degli altri soggetti che intervengono nella stessa situazione”, REPUBBLICA ITALIANA. CORTE DI CASSAZIONE. SEZIONI UNITE, 18 settembre 2014, n. 38343, in Cass. Pen., 2014.
[52] F. ODORICO, Diritto penale e sicurezza sul lavoro, Profili della cooperazione colposa nelle organizzazioni complesse, concetto di rischio ambientale e necessità di procedimentalizzazione delle misure di sicurezza adottate (Caso Bonatti), in Diritto penale Economia e Impresa, Osservatorio della giurisprudenza di merito, (testo consultabile sul sito Diritto penale Economia e Imoresa).
[53] F. ODORICO, Diritto penale e sicurezza sul lavoro, Profili della cooperazione colposa nelle organizzazioni complesse, concetto di rischio ambientale e necessità di procedimentalizzazione delle misure di sicurezza adottate (Caso Bonatti), op.cit.

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Paolo Caldarone

Aspirante avvocato del Foro di Roma. Ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza con 110.0/110 presso la Pontificia Universitas Lateranense, con una tesi di diritto processuale penale dal titolo “Estradizione e mandato di arresto europeo: il sistema cautelare convenzionale alla prova del diritto interno”, relatore Prof. Antonino Sessa. In ognuno dei cinque anni del percorso formativo universitario è stato vincitore della borsa di studio dell’O.N.A.O.M.A.C., in quanto orfano di M.M. Arma dei Carabinieri e della borsa di studio anno accademico 2022 dell’Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri sulla Rivista “Il Carabiniere”. Nel marzo 2023 è stato dichiarato vincitore della borsa di studio anno accademico 2022 dell’Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri sulla Rivista “Il Carabiniere”. Ha conseguito il Master di II livello in Intelligence & Security presso la Link Campus University, con tesi finale interdisciplinare dal titolo “il phishing bancario nelle operazioni di pagamento elettronico a distanza: i principali sistemi di sicurezza e i rispettivi interventi sia normativi che giurisprudenziali”. Attualmente sta svolgendo la pratica forense presso l’Avvocatura Capitolina, occupandosi principalmente del contenzioso tributario e il Tirocinio giudiziario ex art. 73 presso la Procura Generale della Corte di Cassazione, occupandosi, in particolare, del giudizio di legittimità in materia di delitti contro la P.A.

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