La responsabilità di Amazon per prodotto difettoso nel recente caso californiano
La Corte d’Appello, quarta divisione, del distretto dello Stato di California (USA) ha messo per la prima volta in discussione la non responsabilità di Amazon in termini di marketplace, ossia delle vendite online (Cal. Ct. App., 4th Dist., No. D075738 – Bolger vs Amazon.com LLC).
Questa pronuncia, del 13.08.2020, sta provocando forti discussioni in giurisprudenza ed in dottrina in quanto potrebbe causare ripercussioni in tema di responsabilità, portando conseguenze soprattutto per il gigante mondiale dell’e-commerce.
Ad aprire il caso è stata la vicenda denunciata da Angela Bolger a seguito di un acquisto, sul popolare sito web per lo shopping Amazon, di una batteria sostitutiva per un computer portatile il cui venditore diretto era l’azienda Lenoge.
Dopo qualche mese dall’acquisto la batteria esplode, causandole importanti ustioni di terzo grado.
Amazon, nel caso in esame, agiva da puro intermediario online, mettendo in contatto domanda e offerta, ovverosia Bolger e l’azienda che ha prodotto la batteria difettosa.
Quotidianamente, nello specifico, il colosso di e-commerce può rivestire due ruoli. A volte agisce in quanto “retailer”, vendendo prodotti per conto proprio direttamente all’utilizzatore finale, in questo caso, invece, agisce a titolo di “marketplace”. Nel caso di specie, infatti, Amazon funge da “mercato”, mettendo a disposizione un luogo virtuale dove chiunque può offrire i propri prodotti e rimanerne esterno nel rapporto.
La Corte californiana ha introdotto, per la prima volta a livello mondiale, il concetto di responsabilità oggettiva in capo ad Amazon in quanto avrebbe fatto parte della catena di distribuzione fra Lenoge, in veste di venditore, e Bolger, a titolo di acquirente.
I giudici articolano la loro decisione su una serie di motivazioni fondate sul fatto che il colosso dell’e-commerce avrebbe posto in essere diverse condotte ricollegabili al rapporto sopra descritto. Infatti, Amazon ha accettato che il prodotto venisse offerto sul suo portale, ha verificato e approvato l’offerta, ha attirato il cliente sul marketplace, ha ricevuto il pagamento e le corrispettive commissioni sull’acquisto e, infine, ha cercato di limitare la comunicazione (oscurandone i dati) fra Lenoge e l’acquirente.
La Corte con questa presa di posizione ha voluto colmare le lacune interpretative presenti sul piano del commercio su web cercando così di tutelare in modo pieno l’acquirente. I giudici californiani, pertanto, parlano di responsabilità oggettiva dell’intermediario della catena di distribuzione al fine di veder protetti i consumatori da una realtà commerciale sempre più digitalizzata e con garanzie meno pregnanti.
Ciò che ha spinto i giudici californiani a stravolgere la giurisprudenza consolidata è, altresì, il metodo con cui Amazon si pone dinanzi agli acquirenti che si presentano sul mercato on line, ovvero in veste di venditore, oscurando la figura del reale “seller”.
È doveroso, però, specificare che la Corte d’appello è ben consapevole del ruolo effettivo di Amazon, il quale non risulta venditore nel rapporto di e-commerce, ma non riveste nemmeno un ruolo da intermediario o terzo nel rapporto succinto, anzi a tutti gli effetti viene considerato, nella motivazione della pronuncia, un “player” della vendita.
Alla luce delle considerazioni giuridiche sopra esposte il colosso del web ha chiarito che provvederà a fare appello a tale sentenza in quanto contraria alle legge vigente in California e alla legislazione presente anche nel resto del mondo.
Nello specifico, Amazon, fa riferimento alla normativa CDA Federale, in particolare alla disciplina presente al titolo 47 sezione 230 del codice degli Stati Uniti in tema, per l’appunto, di “proctection for private blocking and screening of offensive material”.
Tale disposto normativo statunitense afferma che “Nessun fornitore o utente di un servizio informatico interattivo deve essere trattato come produttore o venditore di qualsiasi informazione fornita da un altro fornitore di contenuti informativi. Nessuna causa di azione può essere intentata e nessuna responsabilità può essere imposta ai sensi di qualsiasi legge statale o locale che non sia coerente con questa sezione”.
A questo punto viene da chiedere se si avranno ripercussioni anche nel resto del mondo, in particolare in Europa ed, altresì, in Italia.
Se si volesse così riportare idealmente questo caso dinanzi alla giurisdizione europea e italiana la disciplina di riferimento risulterebbe essere la direttiva 31/2000 CE, la c.d. “Direttiva sul commercio elettronico“, recepita poi dal d.lgs 70/2003.
I marketplace, come Amazon e altresì Ebay, in questi ordinamenti vengono denominati provider in quanto operano a titolo di prestatori di un servizio della società dell’informazione consistente nel memorizzare in uno spazio messo a disposizione dello stesso prestatore, informazioni fornite da terzi.
In ambito europeo l’art. 15 della direttiva 31/2000 CE e, in Italia, il corrispettivo art. 17 del d.lgs 70/2003 disciplinano l’assenza di responsabilità in capo al provider in quando non si prevede nessun obbligo generale di sorveglianza e di controllo, bensì un solo generico dovere di informare la pubblica autorità nel momento in cui il provider viene a conoscenza della presenza di una irregolarità.
Pertanto, la responsabilità non si configurerebbe se non nell’ipotetico caso in cui il provider non informa l’autorità competente in presenza di irregolarità.
In conclusione, però, è doveroso specificare che il sistema americano risulta fermamente differente dal nostro ordinamento. Infatti in California una decisione di questo genere è particolarmente rilevante in quanto trattasi di un sistema di common law e, in forza della pregnanza del precedente, una pronuncia di questo genere porterà notevoli cambiamenti sia in giurisprudenza che in dottrina. Diverso risulta essere il nostro ordinamento, di stampo civil law, dove la possibile svolta non sembra al momento poter essere decisiva e rilevante sia per i colossi dell’e-commerce sia per il consumatore, in quanto la disciplina in tema di commercio risulta tendenzialmente esauriente e lineare.
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Debora Fantini
Laureata in giurisprudenza e diplomata alla Scuola di specializzazione delle professioni legali presso l'Università di Parma. Ha svolto l'attività di Tirocinante presso il Tribunale e la Procura di Parma, nonchè l'attività di praticante legale.
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