La responsabilità medica all’epoca dell’emergenza sanitaria COVID-19. Un (ulteriore) occasione perduta per la Restorative Justice

La responsabilità medica all’epoca dell’emergenza sanitaria COVID-19. Un (ulteriore) occasione perduta per la Restorative Justice

Sommario: 1. Responsabilità in ambito sanitario nel contesto emergenziale – 2. La Giustizia Riparativa: uno strumento sottovalutato – 3. Conclusioni (provvisorie)

 

1. Responsabilità in ambito sanitario nel contesto emergenziale

Si è molto discusso, e si discute tutt’ora, riguardo la tematica della responsabilità penale alla quale sarebbero esposti i professionisti esercenti l’attività medica in occasione dell’emergenza sanitaria attuale. In particolare, si teme che la predetta possa cagionare una proliferazione di ricorsi giudiziari (e verosimilmente di condanne), fondate sulla impossibilità per il medico di adire la causa di non punibilità prevista nella normativa attualmente vigente. Al riguardo, per vero, malgrado la scarsità della letteratura giuridica, si registrano numerosi interventi emanati dalle rappresentanze sanitarie orientati ad invocare un intervento legislativo ad hoc capace di far da scudo a tali condotte, atteso che non pare possibile assicurare l’applicazione della scriminante legale ordinaria contenuta nella Legge Gelli-Bianco1.

Al fine di comprendere i meccanismi della questione, occorre, senza alcuna pretesa di esaustività, brevemente ricordare la normativa penale in tema di responsabilità medica attualmente vigente. La legge 8 marzo 2017 n. 24 costituisce il recepimento dell’orientamento giurisprudenziale dominate formatosi sull’articolo 3 della precedente legge n. 189/2012 (c.d. legge Balduzzi)2. La l. 24/2017 ha provveduto, al contempo, ad abrogare tale ultimo articolo e, a fronte dell’abrogazione, ha inserito nel Codice penale il nuovo articolo 590-sexies3. Quest’ultimo, al comma 2, introduce una sostanziale causa di non punibilità, per la quale, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa ogni qualvolta siano rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida ,come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali. Attraverso tale intervento il legislatore, alla luce della celebre giurisprudenza formatasi al riguardo4, ha inteso eliminare ogni problematico riferimento al concetto di “colpa grave”, sussistente nella precedente normativa, in modo da circoscrivere l’operatività della scriminante ai solo casi di colpa per imperizia, escludendo, per converso, dall’operatività della stessa la negligenza e l’imprudenza. Resta fermo il rispetto delle linee guida e buone pratiche, di cui va fatto un uso confacente al caso concreto. A conferma di tale orientamento depone, peraltro, la recente pronuncia delle Sezioni Unite 5, ai sensi della quale deve essere assolto il medico che eseguendo correttamente le linee guida erri ad attuarle per imperizia dovuta a colpa lieve. In definitiva, l’attuale disciplina prevede che il giudizio sulla responsabilità del medico cammini sui binari della colpevolezza, infatti, le peculiarità della materia comportano che il giudizio sul nesso di casualità venga a dipendere, in concreto, dall’accertamento sulla sussistenza dei profili di colpevolezza.

Ciò posto, secondo la dottrina6 il nodo problematico della responsabilità medica in epoca di pandemia risiederebbe, dunque, nell’impossibilità di valutare la sussistenza della causa di non punibilità, prevista dalla Legge Gelli Bianco, in ragione dell’assenza di indicazioni e linee-guida sulla gestione clinico sanitaria del paziente (dovuta alla lacunosa conoscenza della malattia). Il parametro delle linee-guida, ovvero delle best practices, rappresenta un elemento imprescindibile nella valutazione dell’operato del medico. A tale scopo la legge Gelli-Bianco stabilisce ai sensi dell’articolo 5, infatti, che le medesime siano “definite e pubblicate ai sensi di legge”, in modo da assicurarne la conoscenza. Pertanto, in termini di responsabilità penale, il rischio a cui si espone il sanitario che presti la sua opera nell’ambito dei reparti covid è un rischio non banale, se si considera che, in assenza di protocolli scientificamente accreditati alla stregua dei quali possa ritenersi esclusa l’eventuale addebito di responsabilità, risulterebbe, in caso di giudizio, tutt’altro che agevole – a tratti preclusa- la possibilità per il professionista di invocare la causa di non punibilità. Peraltro, non può non considerarsi la circostanza per la quale, a fronte di tale rischio, il professionista potrebbe essere indotto a porre in essere fenomeni ascrivibili alla medicina difensiva7, circostanza che rappresenta un rischio sociale insostenibile.

Al fine di evitare tali criticità, varie sono state le proposte di intervento avanzate. In particolare, la soluzione seguita dalla dottrina prevalente ha evidenziato la necessità di emanare nuove direttive, aventi ad oggetto le best practices, a cui il medico possa attenersi. Altra parte della dottrina, alla quale si è aggiunta la posizione delle rappresentanze sanitarie, ha invitato il governo ad attuare una deroga ad hoc alla legge Gelli-Bianco, che escluda, in assenza delle best practices, la responsabilità penale del medico anche in presenza di colpa grave. Sul punto, si osserva che l’ipotesi di una non punibilità tout court, risulterebbe, laddove venisse accreditata, eccessivamente semplicista e pleonastica, contrastando, peraltro, con i principi alla base del diritto processuale penale, fra i quali soprattutto quello della obbligatorietà dell’azione penale.

Pertanto, così brevemente e semplicisticamente esposta la complessità del problema, giova evidenziare il quesito di fondo della questione, che potrebbe porsi nel senso di scorgere una figura che consenta di salvaguardare l’applicazione della causa di non punibilità, per casi in cui astrattamente essa non potrebbe essere configurabile, ma nel rispetto dei principi alla base del diritto processuale penale. In questa prospettiva, il presente lavoro vuole offrire una visione alternativa del problema, nella la quale assume rilevanza la Giustizia Riparativa, nello strumento della mediazione.

2. La Giustizia Riparativa: uno strumento sottovalutato

La Restorative Justice non trova una compiuta disciplina all’interno dell’ordinamento nazionale, viceversa un qualche spazio le è riservato nella normativa comunitaria. Infatti, la Direttiva 2012/29/Ue , in virtù dell’articolo 5 TFUE, ha proceduto ad una istituzionalizzazione degli strumenti della Giustizia Riparativa. La Direttiva in commento caldeggia l’utilizzo da parte dei singoli Stati delle tecniche di Restorative Justice8, a tal fine essa ha proceduto a definire numerosi concetti tipici della Giustizia Riparativa9, fino a quel momento sprovvisti di disciplina, offrendo, peraltro, una definizione giuridica di Giustizia Riparativa attualmente riconosciuta come la più accreditata in dottrina10, pur mutuandola da i basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal mater adottati dalle Nazione Unite il 24 Luglio 200211 . Il grande favor riconosciuto dal legislatore europeo alla Giustizia Riparativa trova giustificazione alla luce dell’obbiettivo dichiarato dal legislatore europeo di perseguire forme di riduzione della c.d. vittimizzazione secondaria scaturita da vuoti normativi nazionali12. La Direttiva 2012/29/UE non nega un certo entusiasmo circa l’introduzione di strumenti di Giustizia Riparativa nelle normative nazionali ( al considerando 46, per esempio, si afferma come la Restorative Justice possa essere “di grande beneficio per la vittima”); tuttavia, essa invoca grande cautela nell’ utilizzo della predetta, soprattutto qualora la vittima sia particolarmente vulnerabile. Altresì, la fonte normativa in commento non impartisce agli Stati indicazioni per l’implementazione della Giustizia Riparativa, al contrario, essa si mostra particolarmente rispettosa degli spazi e delle autonomie statali, tenendo, tuttavia, ferma una soglia minima di garanzie a favore della persona offesa13. Da una tale prospettiva, si evince chiaramente come il legislatore europeo abbia inteso avvallare le linee guida già espresse dalla Corte di Giustizia UE nella celebre sentenza Gueye-Sanchez,15settembre201114.

Sulla scorta della cornice sovranazionale sopra descritta, molti paesi europei hanno raggiunto un buon livello di implementazione della Restorative Justice all’interno del proprio ordinamento nazionale. Il modello austriaco15, ad esempio, è considerato (a ragione) uno dei modelli più virtuosi di applicazione della Restorative Justice, in quanto riesce ad accordare le originali istanze riparative con le esigenze di deflazione processuali, articolando la Giustizia Riparativa in forme di diversetion processuale. Un’eccezione al consistente gruppo di stati eccellenze nell’applicazione della Restorative Justice è rappresentata dall’Italia. Infatti, in Italia, l’applicazione della Restorative Justice non è stata condotta sulla base dei canoni europei e neanche si è cercato di seguire alcun ordine di coerenza sistemica, che indirizzasse gli avvenuti interventi legislativi introduttivi di flebili espedienti di istanze riparative. In vero, l’introduzione di meccanismi ispirati alla Giustizia Riparativa nel nostro paese è sempre avvenuta in maniera frammentaria, del tutto avulsa dalla minima logicità e sistematicità, e, soprattutto, in maniera concettualmente errata (come di seguito si vedrà). Di talché, la dottrina, fin dai primi timidi esordi della Giustizia ripartiva nell’ordinamento italiano nel c.d. sistema di giurisdizione di pace, aveva acutamente osservato che il vero ostacolo alla corretta integrazione della filosofia ripartiva nel nostro ordinamento fosse rappresentato dalla logica della deflazione che il legislatore aveva attribuito agli istituti riparativi16. Il metodo deflatorio, al contrario delle intenzioni, sarebbe la causa dell’aumento della profilazione della tutela giudiziale17, oltre a condurre alla totale perdita di identità degli istituti riparativi, che vengono così privati di qualunque finalità riparatoria in senso autentico a discapito della pacificazione sociale. Tuttavia, le ammonizioni della dottrina rispetto al pericolo dell’ottica deflativa, nonché le indicazioni del legislatore europeo, sono state completamente disattese dal legislatore nazionale, anche in occasione dei più recenti interventi normativi preordinati all’introduzione di nuove ipotesi ispirate alla Restorative Justice18. Anche in questi casi, infatti, il legislatore ha perseverato nell’intento meramente deflattivo, senza tenere in adeguata considerazione il substrato culturale e le autentiche finalità dell’essenza di riparazione del conflitto propria degli strumenti della Giustizia Riparativa. Pertanto, nel nostro ordinamento non sussistano istituti realmente capaci di attuare le dinamiche riparative (ad eccezione dell’articolo 34 d.lvo 274/2000).

Tali circostanze concorrono a svilire, in concreto nel contesto italiano, i grandiosi risultati in termini di efficienza processuale, deflazione e soddisfazione sociale che usualmente conseguono a una corretta applicazione della Restorative Justice, come dimostra il caso austriaco.

In ambito sanitario la Giustizia Riparativa è stata introdotta, ancora una volta, in maniera approssimativa e sempre sotto la lente della deflatoria. In particolare, ai sensi dell’articolo 8 della legge 24/2017 si è prevista l’obbligatorietà della mediazione, in alternativa alla conciliazione obbligatoria prevista dall’articolo 696 bis del Codice di Procedura Civile, soltanto in caso di contenzioso civile, circostanza che non è esente da perplessità. In vero, tale previsione, oltre ad essere limitativa e riduttiva delle straordinarie potenzialità della riparazione, non tiene in debita considerazione che la mediazione in ambito sanitario non è disgiunta da profili penali e processual- penali destinati, inevitabilmente, ad incidere sulla vicenda mediatoria. Al riguardo, infatti, giova rinviare alla circostanza per la quale la dottrina in tema di mediazione è giunta ad affermare che l’opera interpretativa della Cassazione penale, attinente ai criteri di imputazione della responsabilità medica, non può essere ignorata nel giudizio sulla mediabilità di un caso19. Anzi, essa deve costituire una guida imprescindibile nell’azione del mediatore, il quale, al fine di favorire l’incontro fra le parti, non può ignorare l’evoluzione giurisprudenziale formatasi sui concetti chiave della responsabilità medica. Pertanto, appare illogico estromettere il giudizio penale dalla vicenda mediatoria, la quale rappresenta, piuttosto, un genus insuscettibile di riconduzioni all’interno delle tradizionali categorie giuridiche.

3. Conclusioni (provvisorie)

Le superiori considerazioni mettono in luce l’assenza di soluzioni, attualmente esistenti, idonee a fronteggiare la spinosa questione della responsabilità penale del sanitario conseguente alla situazione emergenziale. Tale assenza pare trovare giustificazione nell’ossessione deflatoria perseverata dal legislatore rispetto alla Giustizia Riparativa. In vero, in passato, come si è evidenziato, non si è proceduto, disattendendo la corrente comunitaria, a creare ciò che maggior dottrina ha definito come un nuovo “spazio giuridico complesso” 20 ,in cui regolamentare gli strumenti della Giustizia Riparativa, in chiave di diversione processuale21 sulla base del principio di sussidiarietà al diritto penale, al fine di diversificare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento rispetto a fatti denotati da esiguo disvalore o comunque per fatti socialmente non costitutivi di riprovazione. Pertanto, deve oggi constatarsi l’assenza di un sistema di risposte al conflitto alternative alla sanzione tradizione. Tale circostanza rappresenta un evidente occasione perduta, se si considera che la mediazione avrebbe potuto, in chiave di diversione processuale, attrare fuori dal circuito del penalmente rilevante numerosi casi di responsabilità medica, anche non coperti da scriminante, per trattarli in sede di diversione processuale – a differenza della depenalizzazione tout court proposta- ,nel pieno rispetto dei principi alla base del diritto penale e nell’interesse della difesa. Inoltre, l’alternativa mediatoria avrebbe consentito di soddisfare, contemporaneamente, anche le istanze vittimologiche, vantate dalla persona offesa da reato. Infine, Tutti questi obiettivi sarebbero stati realizzabili attraverso lo strumento del confronto fra le parti, prescindendo da inopportuni aumenti del carico giudiziario. Sotto questa nuova lente, la mediazione, in astratto, avrebbe potuto costituire una via adatta a fronteggiare l’emergenza sanitaria, in ragione delle caratteristiche proprie della misura stessa fra le quali spicca la duttilità e la capacità della medesima di attagliarsi al caso concreto. Ragionando in questi termini, si realizzerebbero, peraltro, anche le raccomandazioni degli Stati Generali, allorchè la relazione finale degli Stati Generali sull’esecuzione penale ha ben chiarito che deve ritenersi mediabile “ogni reato indipendentemente dal nomen iuris e dalla pena edittale (o dal regime di procedibilità)22. Tuttavia, un percorso di mediazione in ambito sanitario necessiterebbe di un’accurata regolamentazione, capace di annullare ogni perplessità, riguardo alla classica querelle in tema di mediazione, cioè il rischio per il quale la medesima possa trasformarsi in una monetizzazione della posizione della persona offesa; riducendo la mediazione a una mera mercificazione del pregiudizio sofferto dal soggetto passivo del reato. Altresì, la possibilità di un risarcimento economico potrebbe incentivare la proliferazione delle domande da parte delle persone offese. Su tali criticità, dunque, in conclusione, spetterà all’auspicato intervento legislativo assicurare l’equilibrio delle istanze delle parti.

 

 

 


1 Al riguardo giova ricordare l’emendamento proposto nel decreto cura Italia, che intendeva limitare la responsabilità civile dei medici e delle strutture sanitarie ai casi di dolo e colpa grave e quella penale ai casi di colpa grave, fermo restando il reato di lesioni personali di cui all’art. 590 c.p.
2 L’atto normativo in parola all’articolo 3 prevedeva due requisiti per l’irrilevanza penale del fatto illecito colposo commesso dal medico. Da un lato, vi era il rispetto delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, dall’altro lato l’assenza di colpa grave.
3 Ai sensi del quale : “se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma”.
4 Cfr. su tutte Corte di Cassazione, sez. iv penale sentenza 9 aprile 2013, n.16237 c.d. Sentenza Cantore.
5 sent. 22 febbraio 2018 n 8770.
6Centro studi Borgogna, in Diritto 24 http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/newsStudiLegaliEOrdini/2020-0316/coronavirus-e-responsabilita-penale-esercente-professione-sanitaria-155607.php?refresh_ce=1
7 La medicina difensiva può definirsi come la pratica mediante la quale il medico difende se stesso contro eventuali azioni di responsabilità medico legali seguenti alle cure mediche prestate. La medicina difensiva può essere realizzata in negativo ovvero in positivo. L’approccio positivo è senz’altro quello maggiormente diffuso e si perfeziona allorché il sanitario prescriva al paziente esami diagnostici superflui ed accessori, rispetto alla sintomatologia del predetto, al solo fine di escludere la propria responsabilità medica nel caso in cui la patologia dovesse risultare più grave del previsto. Meno diffusa, ma sotto certi aspetti maggiormente pericolosa, è invece la medicina difensiva negativa. Quest’ultima si attua con l’astensione dall’intervento di cura (avoidance behaviour) nei casi in cui il medico eviti di occuparsi di determinati pazienti o di eseguire interventi ritenuti ad alto rischio, al fine di annullare la possibilità che si verifichino esiti negativi per il paziente imputabili al sanitario. Si valuta che solo quella c.d. positiva valga annualmente 10 miliardi di euro, pari allo 0,75% del Prodotto Interno Lordo; inoltre è stato sostenuto che la medicina difensiva positiva incida sulla spesa sanitaria in misura pari al 10,5% del totale.
8 Sul significato del lessema complesso Giustizia Riparativa cfr. Mannozzi G. , “Traduzione e interpretazione giuridica nel multilinguismo europeo : il caso paradigmatico del termine “ Giustizia Riparativa” e delle sue origini storico-giuridiche e linguistiche”, in rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015 pp. 137ss.; la letteratura in tema di Giustizia Riparativa è sterminata, fra tutti per un approccio iniziale al fenomeno primordiale della riparazione cfr. Marshall T. F , “The evolution of restorative justice in Britain”, in Euoropean Journal on Criminal Policy and research, 1996, pp. 37 ss.; Mazzucato C., “ Ostacoli e “pietre d’inciampo” nel cammino attuale della Giustizia ripartiva in Italia”, in AA.VV. “Giustizia ripartiva ricostruire legami, ricostruire persone”, G. Mannozzi- G.A. Lodigiani (a cura di), Il Mulino, 2015. pp. 119 ss.; Palazzo F., “ Giustizia Riparativa e Giustizia punitiva”, in AA.VV. “Giustizia ripartiva ricostruire legami, ricostruire persone”, G. Mannozzi- G.A. Lodigiani (a cura di), Il Mulino, 2015, pp.67 ss.; Wright M., “ Restorative justice: a new response to crime and conflicts”, in Mediares rivista semestrale sulla mediazione, 2011, pp.11 ss.; Zehr H. “Changing Lenses. Restorative justice for our times” , Herald Press, Scottdale, 1990 ; Zehr H.,“The little book of Restorative justice”, Good Books, New York, 2015.
9 Giova ricordare sul punto che nel disciplinare il ricorso ai programmi riparativi, la Direttiva ,per la prima volta, menziona direttamente ed in termini giuridici alcuni strumenti principali della Giustizia Riparativa: quali il victim offender mediation (VOM) e il Family group Conference (FGC) al considerando 46.
10 Ai sensi dell’articolo2 lettera d) per Giustizia Riparativa si intende “ qualsiasi procedimento che permetta alla vittima e all’autore di reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale”.
11 Alla stregua dei basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal mater, adottati dalle Nazione Unite il 24 Luglio 2002 per Giustizia ripartiva si intende“ qualunque procedimento in cui la vittima e il reo, o laddove appropriato qualunque altro soggetto o comunità lesi da un reato, partecipano attivamente insieme alle questioni emerse da un illecito, generalmente con l’aiuto di un facilitatore, i procedimenti di Giustizia Riparativa possono includere la mediazione, la conciliazione, il dialogo esteso a gruppi parentali e i consigli commisurativi.
12 Così documento della commissione europea del dicembre del 2013 che contiene le disposizioni interpretative per la trasposizione e l’attuazione della Direttiva 2012/29/UE
13 A tale standard minimo di tutela i singoli Stati vengono condotti attraverso il meccanismo della regolamentazione preventiva, atteso che, affinché le vittime siano agevolate nell’ accedere ai programmi riparativi, gli Stati dovranno stabilire in anticipo le condizioni di accesso a tali servizi, parametrandoli in base ai criteri della gravità del reato, del livello del trauma causato , degli squilibri nella relazione tra vittima e autore, nonchè della maturità e capacità intellettiva della vittima. A carico degli Stati incombe, inoltre, l’obbligo di fornire alla vittima un’informazione completa sul procedimento alternativo e sulle conseguenze del medesimo.
14 Alla stregua di questa sentenza la Corte ha ritenuto la competenza esclusiva degli stati in riferimento alla scelta sull’introduzione o meno di meccanismi di Giustizia Riparativa, nel caso di specie si trattava dello strumento della mediazione, all’interno del proprio ordinamento. Tale competenza esclusiva, per espressa previsione, comprende anche la valutazione della soglia edittale, della tipologia di illecito e di ogni altro parametro che possa identificare ogni fattispecie sussumibile di applicazione di metodi riparativi per ogni stato rispetto al proprio specifico ordinamento penale. Tali criteri rappresentano, infatti, secondo la Corte, scelte di politica criminale spettanti alla discrezionalità esclusiva dei parlamenti nazionali. La discrezionalità degli Stati membri può essere limitata solamente dall’obbligo di applicare criteri oggettivi ai fini della determinazione dei tipi di reati per i quali la mediazione sia ritenuta inadeguata. Tuttavia, atteso che la Corte di Giustizia Europea non ha specificato quando un requisito oggettivo determini una fattispecie inadeguata, l’unico vincolo che risulta essere imposto agli Stati pare consistere in un obbligo di corrispondenza di forme allo scopo. Ne deriva che i criteri che devono presiedere alla individuazione della bontà dei reati suscettibili di riparazione viene a dipendere dagli obiettivi di politica criminale che i singoli ordinamenti attribuiscono alle procedure di mediazione e conciliazione, con pregiudizio evidente delle originali finalità della Giustizia Riparativa. Cfr. Calò R. “Vittima del reato e Giustizia Riparativa nello spazio giudiziario europeo post Lisbona nota a corte Giustizia ue”., in diritto penale contemporaneo, 2011
15 Cfr. F. Höpfel, “Wurzlen und Spezifika dei Auβengerichtlichen Tatausgleichs im österreichischen Strafrecht”, in Öffentliche Einrichtung zur auβergerichtlichen Vermittlung von Streitigkeiten, P.G. Mayr ( a cura di), Wien, 1999 dove l’autore spiega come In Austria a partire degli anni ‘80 con i minori e dagli anni ‘90 con gli adulti, si è attuata una disciplina sostanziale-processuale integrata secondo la quale il pubblico ministero ha l’obbligo di proporre all’indagato la deviazione dal processo ogni qual volta sussistano determinate condizioni. Al fine di operare tale riforma in Austria, paese che non ha costituzionalizzato il principio dell’obbligatorietà penale ma che lo sente fortemente, si è scelto di accettare una particolare interpretazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale. In particolare, il principio di indisponibilità ed il principio di obbligatorietà dell’azione penale di fronte ad un agire per diversione del pubblico ministero restano intatti, in quanto il procedere per diversione viene equiparato al procedere con l’azione penale, di modo che l’obbligo del pubblico ministero in presenza di determinati requisiti è di procedere non tanto con l’azione penale, ma per diversione Il pubblico ministero potrà scegliere fra quattro forme di diversion, di matrice Riparativa: il pagamento di una somma di denaro a favore dello Stato, prestazioni gratuite a favore della collettività, la messa alla prova e l’ex “auβergerichtlicher Tatausgleich” (ATA) oggi solo “Tatausgleich” (TA) , cioè la mediazione. Per rendere possibile tale passaggio, si sono dovuti a monte determinati i criteri in presenza dei quali è obbligatorio procedere con la diversione, pena la perdita del principio di uguaglianza sostanziale che impone di prestare a ogni caso diverso il suo reciproco corrispondente in ugual misura. Addirittura, proprio per non lasciare alla discrezionalità del pubblico ministero il ricorso alla misura di diversione è stata prevista un’apposita clausola di nullità della sentenza, per mancata applicazione della norma in questione, si è creato così un vero e proprio “diritto alla mediazione”, vero proprio tratto distintivo e peculiare del sistema austriaco, che permette all’imputato di proporre appello laddove il p.m., in presenza di tutte le condizioni, non inviti il soggetto alla deviazione. Salvaguardando così l’eguale diritto dei cittadini di accedere alla diversione In particolare, i criteri in presenza dei quali il pubblico ministero è obbligato ad agire per diversion sono: la competenza del giudice monocratico, una sufficiente chiarezza sulla modalità di svolgimento dei fatti, dal reato non deve essere derivata la morte di alcuno, l’assenza di altre cause di archiviazione, che potrebbero condurre all’immediata chiusura del procedimento, compresa la particolare tenuità del fatto, non si ravvisino spazi di colpevolezza grave, accettazione volontaria dell’imputato dell’offerta di mediazione e quindi di ammettere la colpevolezza e di risarcire i danni secondo le sue possibilità ed infine, allorché il p.m. ritenga la diversione utile ai fini delle esigenze preventive , generali e speciali del diritto penale. In presenza di tali condizioni, come si diceva, il pubblico ministero è tenuto a rinunciare temporaneamente a perseguire il reato, laddove l’imputato accetti perché la diversione avviene solo su base volontaria, un percorso che se portato a termine con buon esito conduce all’archiviazione per condotta riparatoria. Inoltre, sebbene nel 80% dei casi la diversione viene proposta dal pubblico ministero durante le indagini preliminari anche al giudice del dibattimento spetta la possibilità di adire tali percorsi alternativi, d’ufficio o su richiesta delle parti.; Kapeller A., “ Tatausgleich- Diversion- StPO austriaca”, in Filodiritto, 2014;Kapeller A:, “Dati statistici relativi all’attività della giustizia penale austriaca nel 2015”, in Filodiritto,2015.
16 Mannozzi G., “ Collocazione sistematica e potenzialità deflattive della mediazione penale”, in AA.VV. “Meritevolezza di pena e logiche deflattive”, G. De Francesco- E. Venafro (a cura di), Giappichelli Editore, Torino, 2002, pp. 117 ss. Secondo l’autrice,infatti, il legislatore, al tempo del predetto decreto legislativo, scelse di inquadrare i percorsi ripartiva all’interno del c.d. filone della privatizzazione del conflitto al fine di escludere l’intervento punitivo statale, riportando il conflitto ad un livello sub-statale fra privati; Cfr. Paliero C. E., “ Depenalizzazione” voce in Digesto penale, 1989, pp. 426 ss. ove si osserva che attraverso il filone della privatizzazione del conflitto si restituisce le esigue aggressioni dei beni giuridici al potere di disposizione delle parti in conflitto. Segnatamente, essa si rappresenta come una tendenza moderna idonea ad influire sui reati di tipo bagatellari, minori contro il patrimonio dalla matrice borghese ottocentesca di numerosi codici. Tale tendenza avrebbe la funzione di enfatizzare il principio di marginalità del diritto penale, individuandolo come reale risposta per quei conflitti che non possono prevedere una composizione privatistica, tramite sanzioni ed istituzioni di natura civile. Tale strumento proprio perché incidente su reati particolarmente sentiti dalla società, date le loro origini borghesi, potrebbe trovare l’ostacolo del consenso sociale. per questo motivo altra dottrina ha sottolineato come sarebbe opportuno farne uso “subordinando all’iniziativa della vittima l’attivazione della risposta penale” tramite lo strumento della querela.;. Palazzo F., “ La depenalizzazione nel quadro delle recenti riforme sanzionatorie”, in diritto penale e processo, 2016, pp 285 ss.
17 Mannozzi G., “ Collocazione sistematica e potenzialità deflattive della mediazione penale”, op. ult. cit. cit. p. 123.la strada della ricomposizione privatistica del conflitto non pare cogliere nel segno, posto che l’esperienza del sistema di giurisdizione del giudice di pace ha confermato come la deflazione processuale si sia rilevata un obbiettivo più presunto che reale, infatti, l’inclusione di pratiche riparative, nonchè la diffusione di metodi di risoluzione di soft-justice de formalizzate rispetto alle complesse formule giudiziarie, hanno prodotto per i “reati minori” di competenza del giudice di pace una stimolazione della domanda di tutela. Questo effetto, noto in dottrina come “net widdening effect” o “effetto boomerang”, sembrerebbe quindi il maggior paradosso della civilizzazione del sistema punitivo: il legislatore è riuscito a formalizzare e legalizzare l’informale, sperperando in una “risposta comunque impegnativa quale la Giustizia Riparativa, sotto il profilo delle risorse da impiegare” per fatti che altrimenti sarebbero fisiologicamente usciti dal circuito penale
18 Il riferimento è all’istituto della Messa alla prova per l’imputato adulto art. 168 bis c.p. e alla nuova causa di non punibilità per tenuità del fattto ex art. 131 bis c.p. .
19 https://www.101mediatori.it/approfondimenti-mediazione.aspx
20 G. Mannozzi, “La Giustizia senza spada. Uno studio comparato su Giustizia ripartiva e mediazione penale””, op. ult. cit.,: “ si tratterebbe di collocare la mediazione nel piano complesso” Ossia, di costruire artificialmente uno spazio complesso rispetto al diritto penale, dove la Giustizia Riparativa possa agire. In particolare, per fare ciò è necessario “superare il dogma della centralità/unicità della risposta penale- che per altro neppure il proliferare delle misure alternative e sostitutive alla detenzione è fino ad oggi riuscito a superare- riconoscendo l’esistenza di modelli paralleli di soluzione dei conflitti. La mediazione rappresenterebbe da questo punto di vista un’occasione straordinaria”. cit., p. 386.. in altri termini si tratterebbe di introdurre, parafrasando la citata dottrina, attraverso una riforma sistematica e razionale, di un gruppo di soluzioni parallele e conviventi con le sanzioni tradizionali (in funzione ancillare al diritto penale), costituite dalle diverse tecniche di mediazione e di riparazione, articolate in ipotesi di diversetion processuale 21 fermo restando che ai sensi dell’Art. 6 Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters adottati dalle Nazioni Unite il 24 luglio 2002, § 1 i percorsi di Giustizia Riparativa devono essere previsti in ogni stato e grado del procedimento penale; sul punto Cfr. Bertolini B. “ Esistono autentiche forme di “diversione” nell’ordinamento processuale italiano? Primi spunti per una riflessione”, in diritto penale contemporaneo, 2015 ove l’autrice rileva che il ricorso alla mediazione nella fase processuale debba essere residuale, giacchè in tale sede il processo incontra profili critici di non poco momento: infatti, quando il processo sia già iniziato, l’unico canale d’ingresso della riparazione è poterla utilizzare come prescrizione a corredo delle varie clausole di non procedibilità o non punibilità, circostanza che , come si è già rilevato, non è esente da perplessità sia in riferimento all’istituto stesso, che viene distorto nella sua applicazione pratica, sia rispetto alle garanzie processuali. Di talchè l’ambito nel quale il ricorso agli strumenti riparativi deve essere valorizzato risulta essere la fase pre-processuale delle indagini preliminari fino all’udienza preliminare, ovvero alla prima udienza dibattimentale. Per vero, anche in questa fase l’innesto di ipotesi riparative non è privo di contraddizioni, si pensi alla possibile frizione con la presunzione di non colpevolezza o con il principio dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. Ciò non dimeno appare maggiormente logico ritenere la naturale collocazione degli strumenti riparativi in questa fase, sia perché tali contraddizioni sono facilmente eludibili con l’applicazione di esigui correttivi ermeneutici finalisticamente orientati,quali la previsione del consenso dell’imputato per evitare la violazione dell’art. 27 Costituzione e un’interpretazione finalisticamente orientata del principio di obbligatorietà dell’azione penale, come peraltro auspicato da tempo in dottrina; sia perché è solo nella fase pre-processuale che la Giustizia Riparativa può esprimersi in tutto il suo potenziale azionandosi, in virtù del principio di sussidarietà del diritto penale, in tutti quei casi ove, in ragione delle modalità del fatto e della volontà della parti, la riconciliazione del reo con la persona offesa è capace di asseverare le istanze di prevenzione e riprovazione del diritto penale, realizzando come ulteriore effetto ulteriore fisiologico del percorso la deflazione del sistema penale, questa volta davvero reale e soprattutto rispettosa delle avanguardistiche e straordinarie potenzialità proprie del sistema filosofico della Giustizia Riparativa.
22 Relazione finale sugli stati generali, parte sesta la Giustizia Riparativa, cit. p. 81 Per capire se un reato in concreto possa essere mediabile occorre guardare alle singole e concrete circostanze dell’episodio criminoso e al contesto in cui si iscrivono, per stabilire se in quei casi un lavoro sulla verità e sulla memoria può essere indispensabile per ricostruire la fiducia interindividuale”.

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