La responsabilità penale del datore di lavoro
Premessa
La molteplicità delle attività da svolgere nelle aziende (soprattutto in quelle di grandi dimensioni) inducono spesso i soggetti apicali a delegarne alcune in quanto una migliore distribuzione dei compiti aumenta l’efficacia dell’intera struttura organizzativa. Inoltre, talvolta è oggettivamente impossibile per il soggetto posto al vertice adempiere a tutti quegli obblighi previsti dalle normative di settore in relazione allo svolgimento di talune attività, in violazione dei quali si rischia di incorrere in sanzioni di natura penale.
Un esempio concreto è in tema di infortuni sul lavoro, in quanto grava sul datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure che si rendono necessarie a prevedere, prevenire ed evitare il verificarsi di eventi lesivi a carico dei dipendenti dell’impresa, in ragione dell’attività esercitata e dei rischi connessi ad essa.
Di conseguenza, deriva la necessità di verificare se e alla presenza di quali condizioni la distribuzione dei compiti possa determinare la responsabilità penale in capo da un soggetto diverso da colui che sta al vertice dell’impresa.
Tale problema deve essere affrontato tenendo in considerazione il principio costituzionale della responsabilità personale (art. 27, comma 1, Cost.) e l’esigenza di evitare che vengano scaricati verso il basso le responsabilità tipiche degli organi di vertice.
Alla luce di siffatta premessa, l’argomento necessita l’esame dell’individuazione del soggetto che assume la veste di “garante” dei beni tutelati dalla norma penale. Successivamente, si affronterà la questione della delega, le sue implicazioni e i requisiti di efficacia.
Individuazione del soggetto responsabile
Al fine di individuare il soggetto destinatario delle norme penali in tema di infortuni sul lavoro, sono state elaborate tre teorie.
La prima, la c.d. teoria “formalista” indica che è necessario far riferimento alla qualifica rivestita dal soggetto all’interno dell’azienda. Tuttavia, si è obiettato, che così facendo si attribuisce una responsabilità “di posizione” a soggetti che sono di fatto privi di poteri decisionali.
Secondo la teoria c.d. “funzionale”, invece, occorre far riferimento, più che al criterio formale, a quello sostanziale. Pertanto, è necessario verificare quali siano in concreto le mansioni svolte dal soggetto in questione. Anche questa teoria non è stata esente da critiche. Invero, il rischio che si corre è rappresentato dal fatto che possono esserci soggetti che svolgono di fatto mansioni rispetto alle quali viene posto il precetto penale, ma che sono tuttavia privi dei necessari poteri ad esse correlati, in quanto questi ultimi sono riservati ai titolari formali di siffatte qualifiche.
Pertanto, è stata elaborata una terza teoria, c.d. “organica”, che tiene conto sia della qualifica, che della distribuzione delle funzioni all’interno dell’ente. Quindi, il soggetto attivo del reato è colui che ha la possibilità concreta di ledere gli interessi tutelati, ovvero di impedire il cagionarsi dell’evento dannoso. Naturalmente, allo scopo di meglio individuare tale soggetto, occorre far riferimento anche alle norme relative alla struttura organizzativa dell’ente.
Quest’ultima tesi è stata recepita dal legislatore con il D.Lgs. n. 81/2008 (che riprende quanto stabilito dall’art. 2, comma 2, lett. b) del D.Lgs. n. 626/1994), il quale all’art. 2, comma 2, lett. b), stabilisce che è “datore di lavoro” <<il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’asseto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”. Siffatta definizione, quindi, abbraccia sia il concetto formale, che quello sostanziale. Infatti, alla luce della predetta norma la nozione di “datore di lavoro” comprende: l’imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c.; il soggetto concretamente responsabile dell’impresa alla stregua della ripartizione dei poteri e, infine, il datore di lavoro “di fatto” poiché, l’uso dell’avverbio “comunque” lascia intendere che è essenziale verificare che alla funzione rivestita dal soggetto corrispondano i poteri correlati, a prescindere dal fatto che si rivesta tale posizione per delega.
In conclusione, sembra che il legislatore si sia orientato nella direzione del principio dell’effettività delle funzioni di fatto svolte. E ciò è confermato anche dall’art. 299 del D.Lgs. suddetto, il quale dispone che le posizioni di garanzia relative a datore di lavoro, al dirigente e al preposto (art. 2, comma 1, lettere b, d ed e) gravano anche sul soggetto che, pur sprovvisto di una regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici attribuiti a siffatti soggetti. Si tratta, appunto, del c.d. “preposto di fatto”. Alla luce della disposizione in esame, è ben possibile che le norme relative alle misure di prevenzione in materia di infortuni sul lavoro si applichino anche a chi è investito, originariamente o per delega espressa, dei relativi poteri.
Il principio dell’effettività è stato fatto proprio dalla giurisprudenza maggioritaria (ex multis, Cass. n. 37470/2003) e dal legislatore stesso, il quale, relativamente alle pubbliche amministrazioni, ha stabilito, sempre nel D.Lgs. n. 81/2008, art. 2, comma 1, lett. b), che in tale settore per datore di lavoro si intende <<il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo>>.
Invero, anche sotto la vigenza del D.Lgs. n. 626/1994 la Cassazione aveva stabilito che il responsabile della sicurezza sui luoghi di lavoro è il titolare “di fatto” dei poteri direttivi. Pertanto, non conta la qualifica formale, ma il concreto ruolo svolto dal soggetto attivo (Cass. n. 38428/2006).
Si può concludere che i soggetti destinatari degli obblighi derivanti dalla normativa antinfortunistica sono il datore di lavoro, il dirigente e il preposto (ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b, d ed e, D.Lgs. n. 81/2008), oltre che il preposto di fatto (alla luce dell’art. 299, D.Lgs. 81/08). Siffatti soggetti sono titolari di una posizione di garanzia ex lege e, pertanto, sono responsabili delle violazioni eventualmente commesse.
A tal proposito, giurisprudenza recente ha stabilito che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il destinatario della normativa antinfortunistica in una impresa strutturata come persona giuridica è il suo legale rappresentante, quale persona fisica attraverso cui l’ente agisce nel campo delle relazioni intersoggettive; ne consegue che, ad eccezione di una valida delega di funzioni, la responsabilità penale del predetto soggetto deriva dalla sua qualità di preposto alla gestione societaria a prescindere dallo svolgimento, o meno, di mansioni tecniche (Cass. n. 17426/2016).
Tuttavia, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Cass. n. 24136/2016).
Inoltre, la giurisprudenza ha talvolta esteso l’ambito di applicazione della normativa in questione. Infatti, è stato stabilito che il direttore dello stabilimento di una società per azioni è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento della delega di funzioni, in quando lo stesso ricopre una funzione apicale e, quindi, assume una posizione di garanzia a tutela della incolumità e della salute del lavoratori dipendenti (Cass. n. 41981/2012; in termini Cass. n. 22249/2014).
Infine, nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega validamente conferita della posizione di garanzia (Cass. n. 49402/2013).
La delega di funzioni
Alla luce di tutto ciò, occorre verificare la possibilità, per i destinatari della normativa antinfortunistica, di trasferire negozialmente (attraverso la delega di funzioni) gli obblighi di prevenzione ad altro soggetto, con la conseguenza che in caso di infortunio di un lavoratore, la responsabilità penale cadrà su quest’ultimo soggetto.
A tal proposito, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4123/2008 (sentenza Thyssen Krupp) ha stabilito che alcuni obblighi non sono delegabili, tra i quali vi rientrano quello relativo alla valutazione dei rischi connessi all’attività d’impresa e alla individuazione delle misure di protezione, oltre che la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, i quali sono ontologicamente connessi alla qualifica e alla funzione proprie del datore di lavoro.
La S.C. ribadisce, a tal proposito, che il datore di lavoro, alla luce delle disposizioni della normativa antinfortunistica e dell’art. 2087 c.c. è il primo e principale destinatario degli obblighi previsti dalla disciplina antinfortunistica. Pertanto, egli è garante della incolumità fisica dei lavoratori dipendenti e, nel caso in cui egli non adempie agli obblighi di tutela, incorrerà nella responsabilità di cui all’art. 40, comma 2, c.p., in combinato disposto con la fattispecie incriminatrice di parte speciale che viene di volta in volta in questione (ad es., in caso di lesioni subite dal lavoratore, l’art. 590 c.p.).
Tuttavia, la Cassazione sostiene che, soprattutto nelle imprese di grandi dimensioni, il soggetto garante della salute dei lavoratori in tema di infortuni sul lavoro non può essere individuato automaticamente in colui che si trova in una posizione di vertice, occorrendo invece l’accertamento, in concreto, dell’effettiva situazione delle gerarchia delle responsabilità all’interno dell’azienda, in modo da poter risalire al responsabile di settore. Infatti, diversamente opinando, si attribuirebbe al vertice societario una responsabilità di natura oggettiva rispetto a situazioni che lo stesso non poteva controllare perché devolute alla cura e alla responsabilità di altri.
Conseguentemente a siffatto accertamento, occorre verificare se sono state rispettate le condizioni di legittimità della delega, al fine di evitare da un lato una facile elusione dell’obbligo di garanzia del datore di lavoro e, dall’altro, scongiurare l’insorgere di una responsabilità di posizione in capo ad esso. Tuttavia, pur a fronte di una efficace e corretta delega, il datore di lavoro non può essere responsabile nel caso in cui le carenze nella disciplina antinfortunistica attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali il delegato non ha alcuna capacità di intervento (si veda, altresì, Cass. n. 12794/2007).
Quanto stabilito dalla Corte di Cassazione è stato recepito dal legislatore all’art. 17 del D.Lgs. n. 81/2008. In tale disposizione si legge che il datore di lavoro non può delegare: 1) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28, contenente, l’analisi valutativa dei rischi e l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuate; 2) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP). Questo non vuol dire che è sempre il datore di lavoro a dover adempiere a siffatte funzioni. Piuttosto, egli può attribuire tali incarichi a soggetti terzi, ma ciò non lo spoglia della sua veste di garante. Infatti, trattandosi di un “incarico di esecuzione”, il datore di lavoro conserva l’obbligo di controllo dell’operato del soggetto delegato. Pertanto, la responsabilità del delegato non si sostituisce, ma si aggiunge alla responsabilità del soggetto posto al vertice dell’ente.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 6 febbraio 2004, n. 4981, ha stabilito che la normativa in tema di sicurezza sugli infortuni sul lavoro ha carattere imperativo o di ordine pubblico e, in quanto tale, non può essere derogata per scelta personale del singolo soggetto o per accordo tra coobbligati, salvo che il soggetto al quale è attribuita dalla legge la posizione di garanzia decida di rinunziare alle funzioni o alla qualità cui la posizione di garanzia è collegata.
Passando ad analizzare i requisiti essenziali della delega di funzioni, questi sono previsti dall’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, il quale dispone che l’atto di delega, è ammesso a condizione che: 1) risulti da atto scritto avente data certa; 2) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; 3) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; 4) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; 5) che essa sia accettata dal delegato per iscritto. E’, altresì, necessario che ne venga data adeguata e tempestiva pubblicità.
In ordine a siffatti requisiti, la Corte di Cass., Sez. Un., n. 38343/2014, ha stabilito che gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
Inoltre, come sostiene giurisprudenza recente, la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. Tuttavia, detta vigilanza non può avere ad oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni, concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato. Di conseguenza, l’obbligo di vigilanza del delegante è diverso da quello del delegato e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni (Cass. n. 10702/2012; Cass. n. 22837/2016).
L’art. 16, comma 3 del D.Lgs. in esame dispone che in ogni caso l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro sul corretto espletamento delle funzioni da parte del delegato non è escluso e che tale obbligo è assolto in caso di adozione ed efficace attuazione di un modello organizzativo di verifica e controllo, di cui all’art. 30, comma 4.
Relativamente alla sub-delega, il comma 3-bis dell’art. 16 dispone che, nel rispetto dei requisiti della delega, il soggetto delegato può, previa intesa con il datore di lavoro, delegare specifiche funzioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro. Siffatta delega non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante. Infine, il soggetto a cui sia conferita la sub-delega, non può a sua volta delegare.
Quindi, la sub-delega deve rispondere agli stessi requisiti di validità ed efficacia richiesti per la delega, con l’aggiunta di ulteriori requisiti allo scopo di evitare che siffatto istituto si trasformi in un escamotage per scaricare la responsabilità verso i livelli inferiori dell’azienda (Cass. n. 48313/2008). Infatti, è necessaria una previa intesa tra delegante e delegato, è vietata una sub-delega di c.d. “secondo grado” ed è necessario che la sub-delega abbia il carattere della specificità, nel senso che deve essere riferita a specifiche funzioni. Quest’ultimo aspetto implica, pertanto, che il delegato non può spogliarsi integralmente delle funzioni trasferitegli dal delegante, sul quale rimane un obbligo di controllo sull’operato del sub-delegato.
Responsabilità del committente e dell’appaltatore
Per quanto riguarda la delega di funzioni e la responsabilità del committente, Cass. n. 28197/2009 ha stabilito che il committente di lavori affidati in appalto, da eseguirsi all’interno della sua azienda, è tenuto, oltre a fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro e sulle misure di prevenzione idonee a neutralizzarli o ridurli, anche a cooperare con l’appaltatore nell’apprestamento delle misure di sicurezza a favore di tutti i lavoratori, a qualunque impresa essi appartengano.
Infatti, la presenza di un contratto di appalto non esonera il committente da responsabilità qualora venga in essere una sua inosservanza relativa agli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro.
Inoltre, la S.C., della suddetta sentenza, ha disposto che la responsabilità del committente è limitata solo a quelle situazioni in cui le particolarità dell’attività lavorativa impongono un coordinamento con l’attività dell’appaltatore. Al di fuori, di siffatta situazione, non sussiste alcun obbligo di supplenza in capo al committente relativamente a fattispecie in cui siano coinvolti unicamente i lavoratori dell’appaltatore. In altri termini, il committente è responsabile solo in ordine ai rischi comuni che gravano anche sui suoi dipendenti, mentre è esonerato da responsabilità qualora l’infortunio riguardi i dipendenti della ditta appaltatrice e derivi dall’inosservanza delle cautele prescritte a tutela dei suoi lavoratori.
La Cassazione è giunta a siffatta conclusione attraverso l’analisi dell’art. 26, D. Lgs. n. 81/2008, il quale, al primo comma, pone a carico del committente l’obbligo di verificare la competenza tecnico-professionale delle imprese appaltatrici e il dovere di fornire all’appaltatore informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro, oltre alle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. Tale disposizione, al secondo comma stabilisce che committenti ed appaltatori devono cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro, incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto, coordinando, altresì, i rispettivi interventi di prevenzione e protezione. Ebbene, nonostante la presenza dell’obbligo di coordinamento e cooperazione gravante sul committente, la S.C. ha stabilito che questi non possono tradursi in obblighi di supplenza dell’appaltatore nel caso in cui quest’ultimo non adotti le misure di prevenzione e protezione previsti dalla legge a tutela dei suoi lavoratori. Invero, diversamente opinando si giungerebbe ad affermare un obbligo di ingerenza del committente nell’attività propria dell’appaltatore, snaturando la natura stessa dell’appalto (in termini, Cass. n. 22717/2016).
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Andrea Saia
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