La responsabilità penale del medico al tempo del Covid-19: le novità della L. n. 76/2021

La responsabilità penale del medico al tempo del Covid-19: le novità della L. n. 76/2021

Il D.l. n. 44/2021, convertito con L n. 76/2021, in un primo momento ha introdotto all’art. 3 la sola causa di esclusione della punibilità degli esercenti una professione sanitaria per i fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p. che siano conseguenza della somministrazione del vaccino anti Covid-19. Con la legge di conversione è stato inserito un nuovo art. 3 bis relativo ai medesimi delitti, che trovano causa nella situazione di emergenza sanitaria da Covid-19, puniti solo in caso di colpa grave. La norma elenca altresì, sembrerebbe in via esemplificativa, i fattori dei quali il giudice deve tener conto per escludere la gravità della colpa.

Orbene, l’art. 3 avrebbe introdotto secondo alcuni una vera e propria “immunità” per il sanitario e l’art. 3 bis una scusante, norma quest’ultima inevitabilmente condizionata dal pregresso dibattito giurisprudenziale che ha riguardato l’art. 590 sexies c.p., “responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.

Analizzando nello specifico gli artt. 3 e 3 bis, si rileva che alla stregua del primo è esclusa la punibilità dei delitti di omicidio colposo e lesioni personali colpose conseguenti alla somministrazione del vaccino anti Covid-19, se l’uso di questo è stato conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle Autorità competenti e alle circolari pubblicate sul sito del Ministero della salute relative alla attività di vaccinazione. Il sanitario, nell’attività di somministrazione del vaccino, deve attenersi ai provvedimenti sopra indicati atteso che, in caso contrario, risponderebbe della morte o delle lesioni cagionate al paziente, qualora siano eziologicamente riconducibili a essa. In altri termini, per riconoscersi la responsabilità penale in capo al sanitario, occorrerà verificare che l’evento avverso sia stato causato dal siero vaccinale e che la sua inoculazione sia avvenuta con modalità contrarie ai parametri individuati dal provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio e dalle circolari ministeriali. Quand’anche l’evento morte o lesioni sia il risultato di reazioni causate dal vaccino, non potrà addebitarsi responsabilità penale alcuna in capo al sanitario che abbia correttamente seguito le indicazioni anzidette. Più che di causa di esclusione della pena intesa in termini di immunità, l’art. 3 non farebbe altro che prevedere le conseguenze derivanti da una condotta connotata o meno da imperizia. Oltre la dimostrazione sul piano causale della riconducibilità della morte o delle lesioni al vaccino, rilevano le modalità perite e puntuali di somministrazione dello stesso da parte del sanitario.

Ai sensi dell’art. 3 bis, il sanitario risponde solo per colpa grave dei delitti di omicidio colposo o lesioni personali colpose commessi durante lo stato di emergenza sanitaria e che trovano causa proprio in essa. La norma elenca alcuni fattori in base ai quali poter escludere la gravità della colpa e cioè la limitatezza delle conoscenze scientifiche sulla patologia da Covid-19 e sulle terapie, la scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in base ai numeri dei casi da trattare, il minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza sanitaria.

La norma fa riferimento all’emergenza sanitaria in una duplice accezione: la prima intesa quale limite temporale di efficacia della norma e cioè fin quando dura lo stato di emergenza sanitaria, deliberato con D.p.c.m.; la seconda come contesto causale che connota la condotta del medico. In altri termini, la condotta del sanitario, quella precisa condotta che poi conduce all’evento nefasto, deve trovare causa nella situazione di emergenza e cioè deve essere eziologicamente connessa a questa. Senza la situazione emergenziale la condotta sarebbe stata diversa e probabilmente non avrebbe cagionato le lesioni o la morte del paziente.

Il riferimento alla “colpa grave” ai fini della imputabilità dei delitti previsti dagli artt. 589 e 590 c.p., riaccende in generale la questione relativa allo statuto della responsabilità dei sanitari, risalente nel tempo e che ha visto due interventi legislativi dapprima nel 2012, con il Decreto Balduzzi, e poi nel 2017 con la Legge Gelli-Bianco. Il problema riguarda la possibilità di elevare il “grado” dell’elemento soggettivo della colpa, rilevante solo ai fini della quantificazione della pena ex art. 133 c.p., a criterio risolutivo sulla sussistenza o meno della responsabilità penale. Ritenere il sanitario responsabile solo in caso di colpa grave, significa escludere la responsabilità in caso di colpa lieve, quando in linea di principio si andrebbe incontro soltanto ad un quantum di pena diverso. È chiaro come questa impostazione richiami l’art. 2236 c.c., in tema di responsabilità del professionista, secondo cui il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Riportare uno schema pensato per la responsabilità risarcitoria propria del diritto civile nel campo della responsabilità penale, seppur limitatamente ai delitti commessi dai sanitari, significa introdurre delle differenziazioni che potrebbero contrastare con i principi cardine del diritto penale e apparire irragionevoli. Il grado dell’elemento soggettivo del reato non può mai influire sulla imputabilità o meno di un fatto di reato, incidendo solo sul quantum di pena.

Il grado della colpa quale criterio di esclusione della responsabilità penale del sanitario è stato introdotto con il Decreto Balduzzi e poi venuto meno con la Legge Gelli-Bianco che ha novellato il codice penale, inserendo l’art. 590 sexies. La norma citata esclude la punibilità del sanitario per i fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p. se l’evento si è verificato a causa di imperizia e questi abbia seguito le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso concreto. Sebbene la norma non parli di colpa grave, la giurisprudenza ritiene il sanitario responsabile tutte le volte in cui l’individuazione, l’applicazione o l’erronea applicazione, il discostamento dalle linee guida o dalle buone pratiche siano causate da colpa grave.

Ciò potrebbe spiegare perché l’art. 3 bis della L. n. 76/2021 reintroduca questo concetto. Non solo, delimita le ipotesi ai soli casi in cui l’evento morte o lesione si sia verificato nel corso dell’emergenza sanitaria ed a causa di essa, senza peraltro far riferimento, come per l’art. 590 sexies c.p., né alla negligenza né all’imprudenza né all’imperizia. Questo suggerisce come gli ambiti di applicazione delle due norme siano completamente diversi e come l’art. 590 sexies c.p. non avrebbe potuto offrire una tutela penale adeguata per i sanitari impegnati nell’emergenza sanitaria da Covid-19.

Inoltre, al fine di agevolare l’interprete, la norma ancora ad alcuni fattori la valutazione sulla sussistenza o meno della gravità della colpa che richiamano l’effettiva e triste realtà che hanno dovuto fronteggiare i sanitari in questi anni.

Il sanitario non risponderà ex artt. 589 o 590 c.p. se il fatto è connotato da colpa lieve, rilevata l’esistenza di uno o più dei fattori enunciati dall’art. 3 bis. La norma ha quindi introdotto una causa di esclusione della colpevolezza o scusante che garantisce l’impunità per molti casi.

L’introduzione delle disposizioni oggetto di analisi si è resa necessaria per assicurare agli esercenti della professione sanitaria che hanno dovuto affrontare e combattere una pandemia tutt’ora in atto, una tutela efficace, considerate tanto la novità delle patologie che si sono presentate quanto la fase di sperimentazione e continua ricerca sui vaccini. Se la disposizione inerente alla somministrazione dei vaccini appare conforme ai canoni del diritto penale, quella sulla responsabilità penale per colpa grave lascia spazio a molteplici dubbi, già manifestati all’epoca del Decreto Balduzzi.


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Lia Manuela Chiarenza

Laureata con lode presso l'Università degli Studi di Catania. Abilitata all'esercizio della professione forense con il massimo dei voti, consulente giuridico, già tirocinante ex art. 73 D.l. 69/2013 presso la Corte di Appello di Caltanissetta, sezione unica civile.

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