La responsabilità per i debiti sociali non soddisfatti degli ex soci di società di capitali in seguito alla cancellazione dal registro delle imprese
Sommario: 1. Introduzione: l’art. 2495 c.c. – 2. La successione dei soci nei crediti della società estinta – 3. L’onere della prova
Nella presente trattazione verranno esaminate le conseguenze ed i rimedi previsti dall’ordinamento nelle ipotesi in cui una società di capitali, terminata la fase liquidatoria, venga cancellata dal registro delle imprese senza che tutti i creditori sociali siano stati soddisfatti. Ci si soffermerà, in particolare, sull’effetto successorio che si verifica in capo agli ex soci della società estinta e sull’onere probatorio da assolvere affinché questi siano tenuti a rispondere nei confronti dei creditori insoddisfatti.I
1. Introduzione: l’art. 2.495 c.c.
L’art. 2495 c.c. prevede che, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese e, in seguito, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.
La ratio della norma risiede nell’intento di impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, privare ingiustamente quest’ultimo del suo diritto.
La sussistenza di una responsabilità personale dei soci di società di capitali in caso di cancellazione della stessa dal registro delle imprese è connessa alla natura costitutiva della formalità pubblicitaria della cancellazione riguardo al momento in cui può considerarsi effettivamente avvenuta l’estinzione della società.
Tuttavia, prima della riforma del diritto societario del 2003, la giurisprudenza maggioritaria riteneva che la formalità della cancellazione avesse natura meramente dichiarativa ed in quanto tale non fosse condizione sufficiente a determinare l’estinzione della società in caso di sopravvivenze attive o sopravvenienze passive. In sostanza, si riteneva occorresse la definizione di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo ad essa, sia sostanziali che processuali (ex multis: Cass.7972/00,3221/99, 16500/2004).
Secondo tale tesi, era, pertanto, la società che doveva essere chiamata a rispondere degli eventuali debiti residui o sopravvenuti, previa revoca della procedura di cancellazione dal registro delle imprese, sulla base dell’assunto che la cancellazione fosse stata eseguita senza i presupposti di legge.
in seguito all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 6 del 17/1/2003 – c.d. “Riforma del diritto societario” -, dunque dal 1°gennaio 2004, a norma dell’art. 2495 c.c., la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese è contestualmente atto e momento in cui si individua la decorrenza dell’estinzione della persona giuridica.
2. La successione dei soci nei crediti della società estinta
Occorre chiedersi, a questo punto, quale sia la sorte dei debiti sociali rimasti insoddisfatti al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese. Considerato che, in questa sede, si tratta di società di capitali, una volta che queste si estinguono non sarà certamente più possibile agire nei loro confronti. D’altro canto le passività in parola non si estinguono con la società, ma sono oggetto di un meccanismo successorio, del tutto simile a quello previsto dall’art. 752 c.c. con riguardo ai debiti del de cuius, in virtù del quale esse passano in capo ai soci, nei limiti di quanto questi abbiano percepito dalla liquidazione. Detto meccanismo è ben descritto dalla S.C. di Cassazione, secondo la quale, a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese, consegue: a) la definitiva estinzione dell’ente; b) l’insorgenza di una comunione fra i soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione qualora non fosse stato ripartito l’intero attivo nella fase liquidatoria; c) la successione, in termini giuridici, per l’operare di un meccanismo di tipo derivativo-successorio degli ex soci nei debiti della società, nei limiti ed alle condizioni previste dalla legge (ossia dall’art. 2495 c.c.) (Cfr. Cass., 28/09/2016, n. 19142; Cass., , 26/06/2015, n. 13259; Cass., , 31/01/2017, n. 2444).
In sostanza, il debito per il quale i soci della società cancellata possono essere chiamati a rispondere non costituisce un nuovo obbligo, ma rappresenta lo stesso debito precedentemente imputato alla società, configurandosi come un’autentica successione debitoria, che interessa tutti i soci esistenti al momento della cancellazione.
Occorre chiedersi, tenuto conto di quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 2495 c.c., ai sensi del quale, come si è avuto modo di vedere, i soci rispondono dei debiti rimasti insoddisfatti della società cancellata fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, se, nell’ipotesi in cui non vi sia stato alcun riparto tra gli ex soci in seguito alla liquidazione, i creditori sociali possano comunque agire nei loro confronti. Occorre, dunque, chiedersi se l’interesse ad agire dei creditori insoddisfatti debba ritenersi sussistente anche quando, all’esito della procedura liquidatoria, non risulti esservi alcunché che renda plausibile il soddisfo delle proprie pretese.
Secondo un primo orientamento della S.C., l’interesse ad agire dei creditori insoddisfatti verrebbe meno nell’ipotesi in cui, in seguito alla liquidazione e conseguente cancellazione della società dal registro delle imprese, non dovesse risultare alcun riparto di somme di denaro o altri beni tra gli ex soci, poiché in tal caso i “successori” della società estinta non potrebbero ragionevolmente ritenersi in grado di far fronte alle debenze di quest’ultima (vedi: Cass. 31/05/2017 n. 2444; Cass. 23/11/2016 n. 23916, Cass. 26/06/2015 n. 13259).
Tale orientamento, però, è da considerarsi minoritario, specie in seguito alle celebri sentenze gemelle delle Sezioni Unite del 12 marzo 2013 nn. 6070 e 6072, che individuano sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata e non definiti all’esito della liquidazione, ma pervengono alla conclusione che gli ex soci della società estinta sono successori indipendentemente dalla circostanza che abbiano goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni o diritti non contemplati nel bilancio (Cfr. anche: Cass. 29/07/2022; Cass. 28/04/2022, n. 13247; Cass. 04/01/2022, n. 2; Cass. 16/01/2019, n. 897; Cass. 26/07/2023 n. 22692; Cass. 21/01/2018 n. 1713; Cass. 16/06/2017 n. 15035; Cass. 07/04/2017 n. 9094).
Secondo tale orientamento, pertanto, l’interesse ad agire dei creditori sociali insoddisfatti nei confronti degli ex soci non è di per sé escluso dalla circostanza che questi ultimi non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, siano stati comunque ad essi trasferiti.
L’espressione “sopravvenienze attive” ricomprende non solo le sopravvenienze che sorgono successivamente alla cancellazione, ma anche quelle che si manifestano dopo la cancellazione e che sono sorte da atti o fatti realizzati prima della cancellazione.
Se però, da un lato, i creditori insoddisfatti mantengono il loro interesse ad agire a prescindere che vi sia stato o meno un riparto di attivo fra i soci per le ragioni summenzionate, va anche detto che, affinché la loro azione possa ritenersi fondata, essi sono tenuti a provare sia la distribuzione dell’attivo sociale sia la riscossione del socio di una quota di esso.
3. Oere della prova
È compito del creditore dimostrare che il socio abbia ottenuto una parte dell’attivo al termine della liquidazione del patrimonio sociale. In particolare, in caso di credito non soddisfatto verso la società di capitali cancellata dal registro delle imprese, il socio può essere obbligato a rispondere verso il creditore sociale ove quest’ultimo provi l’avvenuta distribuzione dell’attivo e la conseguente riscossione di una quota di esso da parte del socio in base al bilancio finale di liquidazione, incombendo, di converso, sull’ex socio convenuto in giudizio l’onere della prova di aver effettivamente utilizzato le somme ricevute in base al bilancio finale di liquidazione per il pagamento dei debiti della società (da ultimo: Cass. 24/11/2023, n. 32769).
Tale ricostruzione dell’onere della prova, effettuata dalla S.C., presenta, a ben vedere, una criticità significativa, ossia non tiene conto del fatto che le eventuali sopravvenienze attive potrebbero non essere rappresentate nel bilancio finale di liquidazione ed inoltre non è prevista alcuna forma pubblicità nel caso di una loro ripartizione tra i soci. L’impossibilità di conoscere la sopravvenienza di attività rende, dunque, la prova dell’avvenuta distribuzione ai soci, di fatto, impossibile per i creditori sociali (una vera e propria probatio diabolica).
Pertanto, è possibile concludere affermando che, per quanto l’interpretazione proposta dalla Corte appaia certamente coerente con il quadro normativo processuale e tenuto conto che, in ogni caso, il socio convenuto è tenuto a fornire la prova dell’assenza dei presupposti per la configurazione della propria responsabilità, il punto di equilibrio, fortemente voluto dal Legislatore della riforma, tra gli interessi contrapposti dei creditori, da un lato, a non veder compromessa la propria pretesa, e degli ex soci, dall’altro, a conservare un regime di responsabilità anche successivamente all’estinzione dell’ente, appare spostato più in favore di questi ultimi.
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Salvatore Daina
Avvocato specializzato in diritto commerciale e civile.
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