La responsabilità precontrattuale della P.A.: la parola all’Adunanza Plenaria

La responsabilità precontrattuale della P.A.: la parola all’Adunanza Plenaria

Con la sentenza n. 5/2018, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è tornata ad occuparsi del tema della responsabilità precontrattuale a carico della pubblica amministrazione, a distanza di 13 anni dalla sentenza n. 6/2005. Al fine di poter valutare la portata dei principi di diritto elaborati dal Supremo Consesso occorre ripercorrere l’orientamento giurisprudenziale sviluppato negli ultimi anni dai giudici amministrativi, i quali hanno riconosciuto la sussistenza di detta responsabilità anche a seguito dell’adozione di un provvedimento amministrativo legittimo. In particolar modo ha acquisito rilievo l’adozione di un provvedimento di “secondo grado”, adottato in via di autotutela, sotto forma di Revoca ex art. 21-quinquies ovvero di Annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies L. 241/1990. In detti casi, il provvedimento amministrativo adottato in via di autotutela, benché legittimo, è stato comunque ritenuto idoneo a ledere il legittimo affidamento della controparte contrattuale.

E’ stato rilevato quindi, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, come l’amministrazione, pur senza emanare un provvedimento illegittimo, possa comunque tenere,  nel corso del procedimento, un comportamento scorretto tale da ledere l’affidamento ingenerato in capo al privato. Oggetto di denuncia non sono dunque gli atti formali, atomisticamente considerati, ex se perfettamente legittimi, ma la condotta complessiva della P.A., che può assumere carattere illecito, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza ex artt. 1337 e 1338 c.c.; in questi casi, dunque, il privato avrà diritto, nonostante la legittimità del provvedimento, al risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale. Si tratta, in sostanza, di una contrapposizione tra una responsabilità da atto e una responsabilità da comportamento: se nel primo caso il giudice sindaca il legittimo esercizio del potere, e cioè la sua immunità da vizi di legittimità, nel secondo caso il giudizio concerne il comportamento e, dunque, la conformità ai canoni di buona fede e correttezza (In tal senso, cfr: Consiglio di Stato ad. plen., 05/09/2005,  n. 6., Consiglio di Stato, sez. V, 21/04/2016,  n. 1599, T.A.R. Napoli, (Campania), sez. V, 01/02/2016,  n. 607, T.A.R. Venezia, (Veneto), sez. I, 30/05/2016,  n. 569).

Venendo ora alla questione esaminata dall’Adunanza Plenaria, i quesiti oggetto di rimessione dalla III sez. del Consiglio di Stato attengono l’individuazione delle condotte rilevanti ai fini dell’integrazione di detta responsabilità. Nello specifico la Sezione ha sottoposto all’attenzione del Supremo Consesso i seguenti profili: “a) se la responsabilità precontrattuale sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente — vale a dire della sua individuazione — allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione; b) se, nel caso di risposta affermativa, la responsabilità precontrattuale deve riguardare esclusivamente il comportamento dell’Amministrazione pubblica anteriore al bando, che ha fatto sì che quest’ultimo venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili, ovvero deve estendersi a qualsiasi comportamento successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, che ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione”.

Si tratta quindi di individuare le condotte rilevanti, sotto il profilo temporale, ai fini della lesione del legittimo affidamento ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c.; il Supremo Consesso, in un’articolata motivazione in diritto, ritiene superata l’originaria concezione codicistica della responsabilità precontrattuale, riconosciuta nella messa a disposizione da parte dell’ordinamento di strumenti risarcitori di fronte all’inutilizzazione (mancata conclusione del contratto) od allo sperpero (contratto invalido) di valori patrimoniali. L’attuale ratio dell’istituto, secondo l’Adunanza Plenaria, detiene il fondamento costituzionale  nel principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., il quale si concretizza come un dovere di correttezza e protezione in un momento relazione socialmente e giuridicamente qualificato, tale da generare unilateralmente o, talvolta, anche reciprocamente, un ragionevole affidamento sull’altrui condotta corretta e protettiva. Detto dovere viene qualificato come strumentale alla tutela della libertà di autodeterminazione negoziale, cioè quel diritto di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenze illecite dipendenti da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza. Alla luce di ciò l’Adunanza Plenaria ha modo di rilevare come il legame che si instaura tra dovere di correttezza e libertà di autodeterminazione negoziale “impedisce allora di restringerne lo spazio applicativo alle sole situazioni in cui sia stato avviato un vero e proprio procedimento di formazione del contratto o, comunque, esista una trattativa che abbia raggiunto una fase molto avanzata, tanto da far sorgere il ragionevole affidamento circa la conclusione del contratto”.

In sostanza, a giudizio del Supremo Consesso, l’attuale portata del dovere di correttezza è tale da prescindere dall’esistenza di una formale trattativa e, a maggior ragione, dell’ulteriore requisito che detta trattativa abbia raggiunto un livello così avanzato da generare una fondata aspettativa in ordine alla conclusione del contratto.

Mosse tali premesse generali, che investono anche il settore strettamente civilistico, si rileva come tale progressivo ampliamento del dovere di correttezza trovi riscontro anche rispetto all’attività autoritativa della pubblica amministrazione, quando a dolersi della scorrettezza è il privato che partecipa al procedimento. E’ bene qui ribadire lo stabile orientamento giurisprudenziale, civile e amministrativo, con il quale si è affermata la distinzione tra giudizio sull’atto e giudizio sul comportamento, per cui la pubblica amministrazione può rendersi responsabile in caso di comportamento scorretto nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo ex se considerato; come ha efficacemente affermato la dottrina riportata dal Supremo Consesso, in questo caso, il provvedimento amministrativo è un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violativa dei più elementari obblighi di trasparenza, attenzione e diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico.

Volendo dunque concludere in merito ai requisiti necessari ai fini dell’integrazione della responsabilità precontrattuale, efficacemente riportati come principio di diritto dall’Adunanza Plenaria, si dovrà verificare:

  • Che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà;

  • Che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo;

  • Che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità rispetto alla condotta scorretta che si imputa all’amministrazione. Occorre, dunque, che dimostri che il comportamento scorretto dell’amministrazione ha rappresentato, secondo la logica civilistica del “più probabile che non”, la condicio sine qua non della scelta negoziale rivelatasi dannosa e, quindi, del pregiudizio economico di cui chiede il risarcimento. In altri termini, il privato deve fornire la prova che quelle scelte negoziali non sarebbero state compiute ove l’amministrazione si fosse comportata correttamente.

A chiusura di tale analisi è opportuno evidenziare come, sotto il profilo della giurisdizione, il giudice amministrativo sia titolare di una giurisdizione esclusiva per  le controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, […], ivi incluse quelle risarcitorie” (art. 133, comma 1, lett. e) c.p.a.), e dunque anche per le controversie in materia di risarcimento danno a titolo di responsabilità precontrattuale in tale settore, fermo restando la natura di diritto soggettivo della posizione giuridica dedotta in giudizio.(Consiglio di Stato, sez. V, 08/11/2017,  n. 5146; Consiglio di Stato, sez. VI, 14/11/2012,  n. 5747).

Ci si può dunque ragionevolmente attendere che l’autorevole pronuncia, anche per l’articolata ed esaustiva ricostruzione dell’istituto della responsabilità precontrattuale, fornirà un riferimento determinante per ogni interprete che, tanto nel settore civilistico, quanto nel settore pubblicistico-amministrativo, dovrà valutare la sussistenza di una condotta rilevante ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., attendendo di verificare, nel prossimo futuro, come la giurisprudenza farà applicazione concreta dei principi elaborati dal Supremo Consesso.


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Andrea Farruggio

Dottore in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano.

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