La riforma del MES nelle prospettive della governance economico-monetaria nella UE
Sommario: 1. Premessa – 2. Un “centro di governo” tra assistenza finanziaria e disciplina di bilancio – 3. L’ “esperimento” dell’assistenza finanziaria: il MES – 4. Il nuovo MES e la riforma proposta – 5. Il MES e l’assistenza finanziaria nella pandemia COVID 19.
1. Premessa
Quasi un decennio è passato dall’adozione delle prime e più significative misure e riforme, in funzione asseritamente “anti ciclica”, che l’Unione Europea ha applicato nella fase acuta della crisi finanziaria manifestatasi dopo il 2008. Circa dieci anni sono passati dalle prime elaborazioni normative e giuridiche degli strumenti plasmati dalle istituzioni europee – anche al di fuori dell’ordinamento giuridico e del diritto eurounionale, che palesa l’eccezionalità e la forma assolutamente ibrida del processo di integrazione europea in senso generale[1]. In nome di quello sperimentalismo[2] – spesso difficilmente distinguibile dall’eccezionalismo[3], che sempre è stato il presupposto dei più grandi sconvolgimenti storico-giuridici – che «se formalmente non mette mai in discussione i pincìpi di struttura che reggono nel suo complesso la dimensione economica dell’Unione europea contenuti nel Trattato di Lisbona del 2007 (…) appare, però, talmente pervasivo da trascendere, da un punto di vista sia sostanziale che procedurale, quanto prospettato in quel testo»[4]. Tale prassi, in realtà, è stata elemento caratteristico costante, specialmente negli ultimi anni, dell’integrazione economica e monetaria nell’Europa occidentale – particolarmente a seguito della crisi finanziaria internazionale post 2008 e della evoluzione concreta della sua variante in Europa, conosciuta col nome di “crisi del debito sovrano” – con la nascita di quello che è stato definito un «diritto europeo della crisi», disegnato «all’ombra della costituzione economica formale disegnata dai trattati»[5]. Risulta utile e opportuno ricordare i tratti giuridici ed economici essenziali di tale costituzione, riassunti sinteticamente ne: “il libero gioco delle forze di mercato e lo Stato minimo (che deve intervenire solo in presenza di fallimenti del mercato), la lotta all’inflazione (la cui causa è indicata nell’eccesso di moneta in circolazione nell’alto costo del lavoro) e quindi la necessità dell’indipendenza della banca centrale dai governi, e addirittura le denazionalizzazione della moneta”[6].
Si tratta di un modello sociale, economico e giuridico in cui il ruolo dello Stato e del diritto nel governo dell’economia risultano estremamente contenuti, distinguendosi dai tratti salienti del costituzionalismo moderno, affermatosi nel secondo dopoguerra, in veirtà un impianto giuridico tale da bilanciare la relazione tra Stato ed economica nel quadro di rapporti più favorevoli al primo, espressi storicamente nella forma dell’economia mista in Italia[7], tali da consentire la definizione nel caso italiano di un capitalismo di Stato come «tendenza costituzionale»[8]. Di tale dicotomia giuridica tra ordinamento eurounionale e ordinamento nazionale, si può avere immediato riscontro alla mera lettura di alcune salienti norme contenute nel Trattato di Maastricht (ratificato dall’Italia con la L. 3 novembre 1992, n. 454), le quali, come nel caso dell’art. B, pongono la seguente gerarchia di obiettivi, nel solco della filosofia funzionalista, la quale «ha quindi caratterizzato l’ordinamento dell’Unione anche da un punto di vista strettamente giuridico»[9]: la norma in oggetto esplicita gli obiettivi dell’Unione nel «promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile, segnatamente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica e monetaria che comporti a termine una moneta unica, in conformità delle disposizioni del presente trattato». All’art. G, il Trattato afferma l’obiettivo di «uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche (…), una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l’ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri» pone insieme a quello, contenuto nella disciplina della politica economica dell’Unione, della «stabilità dei prezzi» (art. G) e «fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nella Comunità conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza» ed, in egual modo, si sancisce relativamente alle politiche monetarie (Art. 105). Citando le parole eloquenti di Cassese in termini conclusivi in merito: «L’Unione economica e monetaria-UEM segue il modello tedesco di controllo della moneta. Essa è caratterizzata da tre elementi. In primo luogo, l’assegnazione di priorità all’obiettivo della stabilità dei prezzi, rispetto ad altri obiettivi (come, ad esempio, l’occupazione). In secondo luogo, una radicale indipendenza dell’organo di controllo rispetto ai governi. In terzo luogo, l’istituzionalizzazione della separazione tra politica monetaria e vigilanza bancaria (…)»[10].
La formulazione dell’Art. 3 della versione consolidata attualmente in vigore del TUE, così come modificata con il Trattato di Lisbona, non lascia spazio a interpretazioni differenti: «L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente». Qualsiasi politica indirizzata alla piena occupazione ed al progresso sociale, pertanto, non può che essere inverata attraverso politiche che, primariamente (anche guardando all’elencazione degli obiettivi indicata dalla norma in commento), tengano conto dell’obiettivo inderogabile della stabilità dei prezzi e trovi fondamento in un modello sociale ed economico esplicitamente presupposto, quello dell’economia sociale di mercato –intesa come istituzione sociale[11] – fortemente competitiva. È noto che, in un’ottica di quantificazione, questa gerarchia giuridica si sia sostanziata nel Trattato di Maastricht nella adozione di una politica generale di «disciplina di bilancio” (art. 104 C) fondata sul rispetto di precisi criteri: «il 3 % per il rapporto fra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato; il 60 % per il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato» (art. 1 del Protocollo sulla procedura per disavanzi eccessivi allegato al Trattato), pena l’esercizio del potere sanzionatorio previsto in capo al Consiglio e ferme le ipotesi “scusanti” rappresentate dalle circostanze, enunciate dal Trattato, che (relativamente al rispetto del primo parametro del 3%): «il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento; oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento», e che (relativamente al secondo rapporto tra debito pubblico e PIL) «detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato».
La premessa sin qui esposta è finalizzata ad evidenziare la totale e logica continuità politica, giuridica ed economica tra l’architettura disegnata dal Trattato di Maastricht e tutto ciò che è venuto dopo, segnatamente dopo la crisi finanziaria del 2008. Dimostrando, così, che lo sperimentalismo giuridico e creativo nelle forme degli anni post crisi è stato, in verità, attuato nella prospettiva della continuità degli assi fondamentali della politica economica e monetaria di Maastricht, per non arrivare all’Atto Unico Europeo.
2. Un “centro di governo” tra assistenza finanziaria e disciplina di bilancio
Come già evidenziato, lo sperimentalismo politico della UE si è, in buona sostanza, tradotto in una duplice tipologia di intervento: da un lato, quello dell’assistenza finanziaria, dall’altro quello della disciplina di bilancio.
Effetti sicuramente molto modesti sono stati dispiegati nei confronti dei settori strategici, ad esempio, individuati dal Consiglio europeo del 25 e 26 maggio 2010, quali «conoscenza e innovazione, un’economia più sostenibile, alto tasso di occupazione e inclusione sociale” che, sulla falsa riga del perseguimento di «un’economia basata sulla conoscenza” indicata nella Strategia di Lisbona, dovevano costituire il cuore della Strategia Europa 2020, elaborata e redatta in forma di documento al termine dei lavori del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009. Quest’ultima, assieme al Patto per la crescita e l’occupazione ed al Quadro finanziario pluriennale 2014-2020, sono probabilmente stati l’esemplificazione più significativa delle difficoltà di inverare una politica economica fondata sugli investimenti e sul sostegno in via diretta all’occupazione.
Diversa “fortuna” hanno incontrato – e non per accidente – gli strumenti più strettamente “sperimentali”, nell’accezione più sopra chiarita, a cominciare da quelli di disciplina di bilancio: l’insieme di regolamenti contenuti nel Six Pack (Fiscal Compact) – indirizzati ad un’applicazione più stringente del Patto di stabilità e crescita, in materia di riduzione delle soglie di tolleranza del deficit pubblico (in direzione dell’obiettivo del pareggio di bilancio, imposto agli ordinamenti nazionali anche a livello costituzionale, come nel caso italiano), di riduzione automatica e periodica del rapporto tra debito pubblico e PIL – e di quelli contenuti nel Two Pack – che hanno creato un calendario di bilancio unico, rafforzando i poteri di sorveglianze preventivi sui bilanci degli Stati membri da parte della Commissione europea e istituzionalizzato supervisione e controllo da parte di Commissione, BCE e FMI – hanno definito e completato un vero e proprio sistema di governo delle politiche economiche e di bilancio dell’Unione. Come affermato da uno dei fautori italiani più autorevoli del processo di integrazione economica e monetaria dell’Europa occidentale, e della partecipazione dell’Italia a tale progetto, Carlo Azeglio Ciampi: «i responsabili politici che decisero la costituzione della moneta unica erano consapevoli che il sistema avrebbe potuto operare correttamente solo se integrato con la creazione di un centro di governo della politica economica dell’Eurozona, con compiti di supervisione delle politiche di bilancio degli Stati membri, al fine di assicurare il rispetto dell’equilibrio dei rispettivi conti pubblici, presupposto per la crescita economica dei singoli Stati e dell’Eurozona nel suo complesso»[12].
Complementari – come testualmente affermato nel considerando n. 5[13] del Trattato istitutivo del MES, di cui si dirà più avanti – alle politiche di disciplina di bilancio e, del pari, alla creazione del centro di governo poc’anzi citato, sono state quelle di “assistenza finanziaria”. Mai come a questo proposito le parole hanno decisamente un peso specifico: la necessità di adottare meccanismi e nuovi strumenti di intervento diretto nella politica economica e – necessariamente – monetaria nei contesti nazionali non è ascrivibile ad un generale dovere di “spirito di solidarietà”, specialmente a fronte dello statuto di indipendenza della Banca Centrale Europea (si veda il divieto imposto dall’art. 125 TFUE) trovava la propria ratio nell’ «attuazione di una politica di bilancio virtuosa», come affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza Pringle del 27 novembre 2012, vincolata ad una fortissima condizionalità esplicata nell’attuazione di politiche restrittive ed alla contestuale soggezione alla logica di mercato da parte degli Stati, nella regolazione dei propri rapporti di credito, alla stregua di meri debitori privati.
3. L’ “esperimento” dell’assistenza finanziaria: il MES
In un’esplicita ottica di questo tipo, l’Unione Europea decide – specie in seguito alla crisi greca – di dotarsi di strumenti “nuovi” o “sperimentali”, al sicuro dal rischio di infrangere i divieti posti in capo alla BCE, ma comunque idonei ad intervenire con un’assistenza fortemente condizionata nei confronti dei Paesi “instabili”.
Con il Regolamento n. 407/2010 del Consiglio dell’11 maggio 2010, veniva istituito il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF). Il suo fondamento giuridico veniva individuato nell’art. 122 del TFUE e nella «possibilità di concedere un’assistenza finanziaria dell’Unione ad uno Stato membro che si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà causate da circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo», come quelle generate dalla crisi economica e finanziaria globale, e che «tale situazione potrebbe rappresentare una seria minaccia per la stabilità finanziaria dell’Unione europea nel suo complesso». Un simile presupposto rappresentava la giustificazione giuridica del Meccanismo «nel contesto di un sostegno congiunto UE/Fondo monetario internazionale (FMI)» – con un’operatività a medio termine – dell’attribuzione di competenze esecutive in capo allo stesso Consiglio e di poteri di supervisione in capo alla Commissione. L’assistenza finanziaria veniva esplicitata dalla norma nella forma «di un prestito o di una linea di credito concessi allo Stato membro interessato» con la previsione dell’autorizzazione da parte del Consiglio alla Commissione a «contrarre prestiti per conto dell’Unione europea sui mercati dei capitali o con le istituzioni finanziarie». Era previsto un avvio della procedura a seguito di esplicita domanda da parte dello Stato membro interessato alla Commissione in collegamento con la BCE e la concessione dell’assistenza richiesta da parte del Consiglio (su proposta della Commissione). In merito alle condizionalità che subordinavano l’erogazione dell’assistenza finanziaria, il Regolamento istitutivo affermava che «la Commissione e lo Stato membro beneficiario concludono un memorandum di intesa nel quale sono specificate le condizioni generali di politica economica fissate dal Consiglio» Accanto al MESF, sotto forma di accordo internazionale in forma semplificata, nella veste legale di una società anonima di diritto lussemburghese, il 7 giugno 2010 veniva istituito dagli Stati dell’Eurozona il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF), dotato di una capacità effettiva totale di 440 miliardi di euro, che aveva come scopo quello di garantire concretamente (anche attraverso proprie obbligazioni emesse) i prestiti rivolti agli Stati.
Il Meccanismo è stato attivato, complessivamente ed in ordine temporale, per Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro. Non a caso, i Paesi che per primi e più aspramente sono stati oggetto dell’applicazione “sperimentale” dell’austerity.
Le evidenti ragioni insite nella permanenza degli effetti della crisi economica trasferita dai debiti privati a quelli pubblici, unitamente al tentativo di eludere i divieti posti in capo alla BCE (attraverso l’istituzione di una sorta di Fondo monetario UE, sebbene provvisto di una dotazione finanziaria e poteri assai più modesti dell’FMI) e di completare l’architettura di quel centro di governo, di cui si è già detto,, hanno rapidamente portato alla istituzione di un nuovo strumento di assistenza finanziaria: il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Questa volta, per la costituzione di un meccanismo permanente di assistenza finanziaria fu seguita la strada obbligata della revisione del Trattato di Lisbona, in particolar modo con l’introduzione – attraverso la decisione n. 199 del 2011 del Consiglio europeo – di un nuovo articolo 136 del TFUE, che aggiunge la seguente disciplina in un nuovo paragrafo 3 della norma ora citata: «Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità».
A proposito di revisione dei Trattati e della revisione semplificata applicata in quella specifica occasione non può non richiamarsi di seguito quanto disciplinano le norme stesse sulla revisione semplificata, sulla base di una decisione del Consiglio europeo: l’art. 48 TUE, paragrafo 6, ai commi 2 e 3, testualmente afferma: «Il Consiglio europeo può adottare una decisione che modifica in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il Consiglio europeo delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, della Banca centrale europea. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. La decisione di cui al secondo comma non può estendere le competenze attribuite all’Unione nei trattati». Sulla base di quanto evidenziato in termini di complementarietà degli strumenti giuridici tesi a creare e definire un centro di governo economico e monetario dell’UE, è evidente che la creazione di un Meccanismo permanente, in grado di imporre forti condizionalità ai Paesi della zona euro contro prestazione di assistenza finanziaria, abbia rappresentato un formidabile strumento di trasferimento di quote importantissime di sovranità e competenze in materia economia e monetaria in favore di un organismo sovranazionale.
Un Meccanismo, per altro, istituito – similmente a quanto accaduto precedentemente con il FESF – «con un trattato tra gli Stati membri della zona euro quale organizzazione intergovernativa di diritto internazionale pubblico e avrà sede in Lussemburgo»[14], qualificato dal suo Trattato istitutivo (di diritto privato internazionale, quindi in una forma giuridica distinta da quelle proprie dell’ordinamento UE, e sottoscritto il 2 Febbraio 2012, a distanza di quasi un anno dalla seduta del Consiglio europeo dedicata) come «un’istituzione finanziaria internazionale», avente obiettivo fondamentale di «mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri».
Dalla esplicitazione della “ragione sociale” del MES, è possibile cogliere contemporaneamente l’ampliamento della capacità di intervento dello stabilizzatore europeo (avente adesso non più limitazioni temporali) e l’ancoraggio alla salvaguardia della stabilità finanziaria e dell’insieme del sistema finanziario della zona euro, quale «obiettivo superiore» (secondo la definizione data dalla Corte di Giustizia nella sentenza Pringle già citata, posta quasi in una posizione gerarchicamente superiore rispetto alla stabilità dei prezzi) già sancito dai Trattati UE in nome del quale sono stati possibili i numerosi ampliamenti dei poteri di influenza delle istituzione europee sugli Stati membri.
In termini organizzativi, finora il MES si è dotato di «un consiglio dei governatori (nominati dagli Stati membri del MES ndr) e di un consiglio di amministrazione, nonché di un direttore generale e dell’altro personale ritenuto necessario»[15]. Alla regola generale contenente il principio dell’unanimità dei consensi per le decisioni adottate in seno a questi organismi (pur contemplando votazioni a maggioranze semplici e qualificate), il comma 4 dell’Art. 4 del Trattato MES aggiunge «una procedura di votazione d’urgenza (…) nei casi in cui la Commissione e la BCE concludono che la mancata adozione di una decisione urgente circa la concessione o l’attuazione di un’assistenza finanziaria di cui agli articoli da 13 a 18 minaccerebbe la sostenibilità economica e finanziaria della zona euro»[16]. In questo caso, il Trattato prevede l’approvazione delle decisioni con una maggioranza dell’85%, nell’ambito di un meccanismo di voto in cui «il numero dei diritti di voto di ciascun membro del MES, esercitati dalla persona da esso designata o dal rappresentante di quest’ultimo in seno al consiglio dei governatori o al consiglio di amministrazione, è pari al numero di quote assegnate a tale membro a valere sul totale di capitale versato del MES», garantendo, così, un diritto di veto a Germania, Francia e Italia.
La funzione concreta esercitata dal MES è, quindi, pienamente compatibile con l’ispirazione fondamentale del processo di integrazione europea: del resto, i suoi antesignani sono rinvenibili già in quei fondi in funzione perequativa immaginati dal Libro Bianco della Commissione Delors, idonei a legare assieme riforme strutturali e assistenza finanziaria, nella cornice giuridica dell’Atto Unico Europeo[17].
In tale veste, il MES “aggira” il divieto di intervento posto in capo alla BCE ma, ponendosi in una posizione assai similare a quella di un vero e proprio creditore, diviene strumento per l’adozione coattiva delle politiche di rigore e disciplina di bilancio. Le stesse previsioni di “capitale” da versare, di obblighi di versamento di capitale sottoscritto e non versato in capo agli Stati partecipanti su mera richiesta del consiglio dei governatori o con votazione del consiglio di amministrazione[18], il rafforzamento del ruolo esecutivo e delle immunità attribuite al direttore generale (figura sciolta da qualsiasi fondamento democratico, pur indiretto, e simbolo di quella tradizione di personalizzazione del potere che è antitesi dei sistemi costituzionali del secondo Novecento[19]), l’obbligo perentorio e inderogabile a contribuire al capitale autorizzato pure quando lo Stato in questione sia destinatario di assistenza finanziaria da parte dello stesso MES[20], sono solo alcune delle caratteristiche giuridiche squisitamente privatistiche, più consone alla disciplina delle società di capitali che a quella di una “istituzione” (come testualmente si evince nella definizione del MES data dal suo Trattato istitutivo), ancorché finanziaria, strumentale al governo della politica economica e monetaria dell’Unione.
A fronte della previsione di una dotazione di sottoscrizione di capitale poco superiore ai 700 miliardi di euro, solo 80 risultano essere stati versati inizialmente dai Paesi partecipanti al Meccanismo, mentre la restante parte è composto da «quote richiamabili». Le modalità con cui l’assistenza finanziaria fornita dal MES si esplicitano in: assistenza precauzionale[21], cioè «sotto forma di linea di credito condizionale precauzionale o sotto forma di una linea di credito soggetto a condizioni rafforzate»; assistenza finanziaria per la ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie di un membro del MES[22], vale a dire «prestiti con l’obiettivo specifico di ricapitalizzare le istituzioni finanziarie dello stesso membro del MES»; prestiti del MES[23], cioè sotto forma di meri prestiti, comunque sottoposti a programmi di “aggiustamenti macreconomici”; meccanismi di sostegno al mercato primario[24], con l’acquisto di titoli di Stato emessi sul mercato primario da un Paese membro del MES; infine, meccanismi di sostegno al mercato secondario[25], adottando «disposizioni per effettuare operazioni sui mercati secondari in relazione alle obbligazioni di un membro del MES».
4. Il nuovo MES e la riforma proposta
In seguito al passaggio ad una vera e propria terza fase del processo di integrazione europea, successiva a quella della cosiddetta “crisi dei debiti sovrani”, anche gli sperimentalismi posti in essere dopo il biennio 2009-2010 hanno formalmente cominciato ad assumere le vesti di ciò che, in realtà, hanno sempre aspirato a divenire: stabili strumenti di governo dell’economia dell’Unione. Va in questa precisa direzione il dibattito che si è aperto a proposito della riforma del MES.
Già nel giugno 2015, nell’eloquente documento intitolato “Completare l’unione economica e monetaria dell’Europa”, Jean-Claude Junker, allora presidente della Commissione Europea – assieme ai presidenti delle principali istituzioni europee – esponeva, in primo luogo, che «l’efficacia dello strumento di ricapitalizzazione diretta delle banche del MES dovrebbe essere riesaminata, soprattutto per quanto riguarda i criteri di ammissibilità restrittivi attualmente previsti”; in secondo luogo, che “il Meccanismo europeo di stabilità si è affermato come strumento centrale per la gestione di eventuali crisi, ma, essenzialmente a causa della struttura intergovernativa che lo contraddistingue, la sua governance e i suoi processi decisionali sono complessi e richiedono tempi lunghi. A medio termine (fase 2) la governance del MES dovrebbe pertanto essere integrata totalmente nei trattati dell’UE»[26].
A partire da questo indirizzo preciso ed, in particolare, sulla base dell’indicazione di ricondurre lo strumento del MES nel quadro dei Trattati UE (dopo aver utilizzato lo sperimentalismo misto all’eccezionalismo del contesto della crisi finanziaria), la Commissione Europea nel dicembre 2017 ha presentato una “tabella di marcia”[27] contenente un pacchetto di riforme da realizzarsi compiutamente nell’arco temporale 2018-2025, quali sinteticamente: completamento dell’unione del mercato bancario e dei capitali (a dispetto dei rovinosi e pessimi risultati conseguiti finora dall’ unione bancaria); istituzione del Fondo Monetario Europeo; integrazione del Fiscal Compact nell’ordinamento giuridico europeo; rafforzamento degli strumenti normativi a disposizione dell’Unione per l’implementazione delle riforme strutturali nei confronti degli Stati membri, attraverso il rafforzamento del programma dedicato; quadro finanziario post 2020; istituzione del Ministro europeo dell’economia e delle finanze ed, in ultimo, la riforma del MES.
Sulla base di una tale “tabella”, la riunione dell’Eurogruppo del 4 dicembre 2018 ha approvato una relazione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria, in particolar modo, focalizzata sul completamento dell’Unione bancaria e sulla riforma del MES. In quest’ultimo caso, il Consiglio europeo esplicitava il proprio generale parere favorevole allo sviluppo del MES, all’ individuazione dei termini dell’operatività del backstop comune garantito dal MES sotto forma di linea di credito per il Fondo di risoluzione unico istituito nel 2013, all’aumento dell’efficacia di strumenti precauzionali «confermando il carattere di ultima istanza dell’intervento del MES e garantendo l’adeguato livello di condizionalità». Quest’ultima previsione, in particolar modo, si traduce nella individuazione di una Linea di Credito Precauzionale Condizionate (PCCL) di cui gli Stati membri potranno usufruire in presenza di stringenti e rigorose condizioni. In ultimo, il Consiglio europeo ha annunciato la volontà di introdurre modifiche alle Clausole di azione collettiva (CACs) legate all’emissione dei titoli di Stato, le quali consentono a consentono a maggioranze semplificate di investitori modificare termini e condizioni di pagamento di un titolo, con effetto giuridicamente vincolante per tutti i detentori del titolo stesso, aprendo la strada ad operazioni – assai pericolose – di ristrutturazione dei debiti pubblici. In ultimo, l’accordo raggiunto a dicembre 2018 investe anche il rafforzamento del dualismo rappresentato dal MES e dalla Commissione (e, inevitabilmente, della BCE), cementando ulteriormente il centro di governo reale della politica economica e monetaria UE.
Infine, nella riunione successiva dell’Eurogruppo avvenuta nel giugno 2019 è stato formulato e approvato un complesso e articolato disegno di revisione al Trattato istitutivo del MES (che, secondo i piani della riforma, dovrebbe chiudersi nella sua fase tecnica intorno a dicembre 2019). Per quanto attiene alle linee di credito precauzionali (PCCL), la proposta di revisione specifica i requisiti richiesti per la fruizione di questa “assicurazione” (come, inoltre, dettagliatamente esposto nel sito ufficiale del MES):[28] 1) la presenza di un deficit pubblico al di sotto del 3% del PIL ed un deficit strutturale adeguato alle norme del Fiscal Compact, 2) l’esistenza di un rapporto debito pubblico/PIL al di sotto del 60%, o, alternativamente, il rispetto della procedura di riduzione del debito pubblico verso quella percentuale pari ad 1/20 all’anno, 3) l’accesso ai mercati a condizioni ragionevoli per il rifinanziamento del debito pubblico, 4) una posizione economica verso estero sostenibile, 5) l’assenza di squilibri o vulnerabilità del settore finanziario. In presenza di queste condizioni, lo Stato interessato non è vincolato alla sottoscrizione di un memorandum d’intesa stringente, ma deve esclusivamente impegnarsi alla conservazione dello stato delle proprie finanze e della propria posizione finanziaria, con la firma di una lettera di intenti e con verifica semestrale della sussistenza delle cinque condizioni di cui sopra.
In caso di assenza dei requisiti elencati, gli Stati dotati comunque di una “situazione generale economica e finanziaria rimasta solida” possono ricorrere ad una Linea di Credito a Condizioni Rafforzate (ECCL). Essa si caratterizza per la richiesta della sottoscrizione di un memorandum d’intesa contenete le condizionalità che lo Stato si impegna a rispettare. Potenzialmente, l’ECCL rappresenta la linea di credito a cui potrebbe essere destinato un Paese come l’Italia.
Ulteriore novità è rappresentata, come già accennato, dall’introduzione di single-limb CACs, vale a dire clausole che consentano a maggioranze non più qualificate di investitori (raggruppati non più per serie differenti di Titoli) di ristrutturare la propria posizione creditoria nei confronti dello Stato emittente, per i nuovi titoli di Stato dell’area euro emessi a partire dal 1 Gennaio 2022.
In ultimo, nell’ambito delle relazioni tra Commissione Europea e MES, sulla base della posizione comune raggiunta dalla due istituzioni già il 14 novembre 2018, per quanto attiene alla eligibilità per l’accesso alle linee di credito precauzionali, alla Commissione spetteranno poteri di vigilanza generale sulla situazione dello Stato membro richiedente, mentre il MES effettuerà valutazioni sull’accesso al mercato da parte dello Stato. Le due istituzioni prepareranno unitamente le valutazioni sulla sostenibilità del debito pubblico: da un lato, la Commissione formulerà dette valutazioni sulle proprie analisi, previsioni e stime precedenti, dall’altro il MES effettuerà valutazioni di tipo finanziario tenendo conto dei piani di finanziamento e dei costi del finanziamento degli Stati, della posizione sul mercato dei titoli di Stato, della dimensione e struttura dei debiti nazionali, dell’andamento dei tassi d’interesse, dei costi di rifinanziamento e di accesso al mercato. In caso di valutazioni difformi, alla Commissione toccherà effettuare la valutazione globale sulla “sostenibilità” del debito pubblico, mentre al MES spetterà la valutazione in merito alla capacità dello Stato di rimborsare il prestito erogato dal Meccanismo. Relativamente all’elaborazione delle condizionalità, Commissione (in collaborazione con la BCE) e MES concorreranno alla definizione dei contenuti del memorandum, che sarà sottoscritto dai rappresentanti di ambedue gli organi. Ferma la determinazione della Commissione (assieme al MES) a determinare misure e scelte per il ritorno in prospettiva sul mercato dei titoli dello Stato interessato.
5. Il MES e l’assistenza finanziaria nella pandemia COVID 19
Il dibattito sulla riforma del MES ha incontrato, sul proprio cammino, l’emergenza da pandemia COVID 19 e la necessità da parte dell’Unione Europea di azionare meccanismi di assistenza finanziaria. L’antinomia tra MES a condizionalità “temperate” nel quadro della “sorveglianza rafforzata” a seguito dell’attivazione di linee di credito precauzionali (ma sempre riformabili in peius in qualsiasi momento, ex art. 7. par. 5 del Reg. 472/2013) e coronabond (i quali investono un’ulteriore problematica, quella relativa alla cessione diretta di prerogative sovrane da parte degli Stati membri[29]) risulta muoversi lungo gli assi della continuità sostanziale e politica originaria dell’integrazione europea. Le stesse posizioni espresse in una lettera – mero atto informale, è bene sottolinearlo – recentemente dai commissari europei Dombrovskis e Gentiloni[30], volte ad escludere l’applicazione degli artt. 3(3,4) e 7 del regolamento 472/2013, in realtà, recando esplicitamente un riferimento all’art. 14 del regolamento in oggetto, il quale conferma la sorveglianze post programma per il Paese membro che attiva il MES e la possibilità per Consiglio e Commissione di prorogare tale sorveglianza in presenza di «un rischio perdurante per la stabilità finanziaria o per la sostenibilità di bilancio dello Stato membro interessato». Inoltre, «Su richiesta della Commissione, uno Stato membro soggetto a sorveglianza post-programma rispetta gli obblighi previsti dall’articolo 3, paragrafo 3», garantendo contestualmente a Commissione e BCE la possibilità di missioni periodiche di verifica degli impegni post programma, conferendo inoltre al Consiglio, su proposta della Commissione, la possibilità di adottare “misure correttive” nei confronti dello Stato membro soggetto alla sorveglianza post programma: ecco, dunque, che ciò che pareva uscire dalla porta nelle intenzioni dei commissari, rientra dalla finestra della normativa europea. Ai parlamenti nazionali la disciplina in oggetto riserva la possibilità di partecipare ad uno «scambio di opinioni» con la Commissione sul monitoraggio post programma. È evidente, allora, che l’unica ipotesi di blocco del meccanismo della sorveglianza è rappresentato dallo stralcio del regolamento già citato, ipotesi oggi assolutamente inesistente.
L’esito del Consiglio europeo del 28 aprile 2020, sul cui tavolo negoziale è stata confermata l’opzione MES, con una controversa ipotesi di fondo di solidarietà e investimenti comune (recovery fund), anch’essa da quanto si apprende ad oggi subordinata a condizionalità affini a quelle prevista con l’attivazione del Meccanismo di Stabilità, aveva già ampiamente anticipato lo scenario così delineato. A spianare ulteriormente la strada all’attivazione del MES sembrerebbe aversi pensato, in tempi recenti, la Corte costituzionale federale della Germania, con la sentenza del 5 maggio 2020, nella quale ha contestato la logica del public sector purchase programme (PSPP), noto come anche Quantitative Easing, vale a dire il programma di acquisti di titoli di Stato dell’area euro sul mercato secondario, non proporzionati alla quota capitale dei Paesi membri, posto in essere dalla BCE nel 2015. Tale pronuncia della Corte tedesca evidenzia la violazione del principio di proporzionalità da parte della BCE, non limitandosi perciò a quanto necessario per perseguire i fini e gli obiettivi indicati dai Trattati, generando, nel caso specifico, condizioni di rifinanziamento dei titoli pubblici più favorevoli rispetto alle condizioni per ottenere finanziamento sul mercato dei capitali. Un azione qualificata dalla Corte tedesca come ultra vires, cioè contraria ai Trattati europei, contestando quindi di fatto le conclusioni a cui era giunta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) nel 2018 sulla medesima questione sollevata già allora dalla Corte tedesca, attribuendo in quella circostanza valore supremo alla salvaguardia della stabilità finanziaria dell’eurozona e piena compatibilità con l’obiettivo sempiterno della stabilità dei prezzi. Pur attribuendo un periodo transitorio di tre mesi, in favore del Consiglio direttivo della BCE, per dimostrare il rispetto della proporzionalità nelle operazioni non convenzionali poste in essere dalla Banca centrale, con il conseguente venire meno della sottrazione della Bundesbank a partecipazione, attuazione ed esecuzione del programma, è evidente che questa pronuncia riapre uno scontro nella UE sugli strumenti di politica monetaria, sull’asserito primato del diritto europeo (e della Corte di Giustizia) su quello nazionale[31] – non ha mancato, del resto, la stessa CGUE di ribadire tale rapporto gerarchico, a seguito della pronuncia della Corte tedesca: «in base a una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, una sentenza pronunciata in via pregiudiziale da questa Corte vincola il giudice nazionale per la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente. Per garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, solo la Corte di giustizia, istituita a tal fine dagli Stati membri, è competente a constatare che un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto dell’Unione»[32].
In tal modo, si riapre certamente un dibattito – mai chiuso in realtà – sui rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento sovranazionale (eurounionale), il cui esito appare certamente non scontato.
[1] Come evidenziato, ex multis, in M. Benvenuti, Libertà senza liberazione Per una critica della ragione costituzionale dell’Unione europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016, p. 68.
[2] Ivi, pp. 46 ss.
[3]Noto padre della teorizzazione giuridica sulla funzione dello “stato d’eccezione” è sicuramente Carl Schmitt. Tra le sue opere, si veda a riguardo eloquentemente C. Schmitt, Politische Theologie, trad. it., Teologia politica, in Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna, 1972, pp. 27 – 86. Si veda, inoltre e più recentemente, ancora sull’argomento A. Cantaro, Ascesa e declino dell’eccezionalismo, in Cultura giuridica e diritto vivente, 2015, pp. 51 ss.
[4] M. Benvenuti, op. cit., p. 46.
[5] F. Losurdo, Stabilità e crescita da Maastricht al Fiscal compact, in Cultura giuridica e diritto vivente, 2015, p. 111.
[6] V. Giacchè, Costituzione italiana contro Trattati europei. Il conflitto inevitabile, Imprimatur, Reggio Emilia, 2015,p. 23.
[7] G. Guarino, Verso l’Europa ovvero la fine della politica, Mondadori, Milano, 1997, pp. 11 ss.
[8] U. Rescigno, Costituzione italiana e Stato borghese, Giulio Savelli editore, 1975, p. 159.
[9] E. Cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea. L’ordinamento dell’Unione, Giappichelli Editore, Torino, pp. 4 – 5.
[10] S. Cassese, La nuova costituzione economica, Editori Laterza, 2000, Roma-Bari, p. 241.
[11] Per utili approfondimenti sul tema si veda A. Somma, La dittatura dello spread. Germania, Europa e crisi del debito, DervieApprodi, Roma, 2014, pp.250 ss.
[12] C. A. Ciampi, Cara Europa, è tempo di agire, Il Sole 24 Ore, 11 gennaio 2012; C. A. Ciampi, A un giovane italiano, Rizzoli, Segrate, 2012.
[13] Testualmente: “Il presente trattato e il TSCG (trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’unione economica e monetaria ndr) sono complementari nel promuovere la responsabilità e la solidarietà di bilancio all’interno dell’Unione economica e monetaria”, Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità.
[14] Conclusioni del Consiglio europeo del 24 e 25 Marzo 2011
[15] Art. 4 del Trattato istitutivo del MES.
[16] Art. 4, comma 4, del Trattato istitutivo del MES.
[17] Per approfondimenti in merito si veda A. Somma, Europa a due velocità Postpolitica dell’Unione Europea, Imprimatur, Reggio Emilia, 2017, pp. 58 – 62.
[18] Art. 9, commi 1 e 2, Trattato istitutivo del MES.
[19] Si veda a riguardo G. Ferrara, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, Feltrinelli Editore, Milano, 2006, pp. 212 – 213.
[20] Art. 8, comma 5, Trattato istitutivo del MES.
[21] Art. 14 Trattato istitutivo del MES.
[22] Art. 15 Trattato istitutivo del MES
[23] Art. 16 Trattato istitutivo del MES.
[24] Art. 17 Trattato istitutivo del MES.
[25] Art. 18 Trattato istitutivo del MES.
[26]J. C. Junker, Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa, giugno 2015, https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/5-presidents-report_it.pdf
[27] Ufficio stampa Commissione Europea, La Commissione definisce una tabella di marcia per l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa, 6 dicembre 2017, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_17_5005
[28] per l’esposizione succinta dei punti essenziali della riforma in discussione si veda quanto contenuto al link di seguito riportato https://www.esm.europa.eu/press-releases/explainer-esm-reform-and-revisions-esm-treaty
[29] Si veda utilmente a riguardo R.Bin, P.Caretti, G.Pitruzzella, La mutualizzazione dei debiti sovrani, in Profili Costituzionali dell’Unione Europea, 2015.
[30] V. Dombrovskis, P. Gentiloni, Lettera al presidente dell’Eurogruppo M. Centeno, 7 maggio 2020, https://static.gedidigital.it/repubblica/pdf/2020/politica/Letterpeg070520201738.pdf?ref=RHPPTP-BH-I255970948-C12-P1-S1.8-T1
[31] Del resto, i problemi della sovranità dello Stato e delle sua elementare definizione, in relazione ad altri ordinamenti esterni, erano chiaramente esposti in C. Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico, Seconda Edizione, CEDAM, Padova, 1952, p. 28: “I contrassegni idonei a caratterizzare l concetto stesso (il riferimento è alla sovranità, ndr) possono compendiarsi, da un lato, nell’indipendenza da altri ordinamenti esterni al territorio statale, e dall’altro nella supremazia rispetto ai singoli o alle comunità esistenti all’interno del territorio stesso”.
[32] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Comunicato stampa n. 58/2020, https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2020-05/cp200058it.pdf.
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Dott. Francesco Valerio della Croce
Laureato in giurisprudenza nel 2018 alla LUISS "Guido Carli", è praticante avvocato presso lo Studio Legale Mauriello, sito in Roma. Nell'A.A. 2019/2020 è docente a contratto di Diritto dell'Unione Europea presso la Sapienza Università di Roma. Ha conseguito un Master di II livello nell'A.A. 2019/2020 presso l'Università degli Studi Roma Tre in "Impresa cooperativa: economia, diritto e management". Autore di pubblicazioni a carattere scientifico su riviste e siti nazionali ed internazionali