La rilevanza del 415-bis c.p.p. e la sua notifica (anche) alla persona offesa

La rilevanza del 415-bis c.p.p. e la sua notifica (anche) alla persona offesa

Preliminarmente, prima di addivenire al perno della trattazione concernente il momento conclusivo di un procedimento penale che dà l’inevitabile – o forse – avvio al processo vero e proprio, occorre realizzare importanti chiarimenti terminologici per poter, veramente, porsi significanti interrogativi sulla questione.

Il 415-bis c.p.p. è momento importantissimo in vista del processo penale.

Invero, prima ancora – ex art. 50 c.p.p., secondo cui “il Pubblico Ministero esercita l’azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione”, strettamente relato all’art. 405 c.p.p. che indica i modi attraverso i quali il P.M. può richiedere l’intervento della giurisdizione (rito ordinario ovvero riti speciali) – di esercitare l’azione penale il P.M. deve compiere un importante adempimento, pena invalidità dell’esercizio stesso, consistente appunto nella notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini. Avviso che, oltre a rappresentare il primo momento di vera e propria discovery di tutti gli atti d’indagine – è questo il primo momento in cui chi è stato indagato ha contezza di tutti gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari – rappresenta, verosimilmente, anche il primo momento in cui il soggetto indagato potrebbe venire a conoscenza di aver pendente un procedimento penale.

Potrebbe infatti essere accaduto che l’indagato, senza aver avuto mai minimamente il sospetto di alcun tipo di procedimento, non abbia – ai  sensi dell’art. 335 c.p.p. – richiesto al P.M. della sua iscrizione nel registro notizie di reato; così come è altresì possibile che il P.M. sia riuscito a mantenere integro il principio di segretezza – di  cui all’art. 329 c.p.p. – senza  necessità di compiere atti che presuppongano la notifica del 369 c.p.p. e quindi del cosiddetto “Avviso di garanzia”; così come ancora, non sia stata operata nessuna richiesta di proroga delle indagini – ai  sensi dell’art. 406 c.p.p. – che  vede conseguenzialmente l’avviso (all’indagato sempre, alla persona offesa qualora lo abbia espressamente richiesto) della suddetta proroga facendo scaturire un contraddittorio – seppur  meramente cartolare – in  cui le parti vengono però a conoscenza di talune, seppur piccole, ma in molti casi rilevanti, circostanze.

Così, arrivati al momento di verifica della sussistenza di una notizia di reato fondata, grazie agli elementi investigativi raccolti a partire dal 335 c.p.p., il P.M. è inevitabilmente orientato all’esercizio dell’azione penale – ove per esercizio di un’azione penale noi intendiamo l’immissione del soggetto dinnanzi ad un organo giurisdizionale che accerti se effettivamente in capo a Tizio si configuri una responsabilità penale nonché tutto ciò che comunemente rientra nella definizione di “oggetto di prova” ex art. 187 c.p.p., ripristinando una situazione giuridica violata da colui il quale ha leso un bene giuridico costituzionalmente protetto. Ergo, ad una notizia di reato fondata – ai sensi dell’art. 112 Cost. – il P.M. ha l’obbligo di esercizio dell’azione penale.

Ma, prima di questo esercizio dell’azione penale, perché è così importante notificare l’avviso di conclusione delle indagini?

Perché innanzitutto, espletando le funzioni di cui sopra, va ad assolvere un’altra causa precipua: verosimilmente un indagato, che non è mai venuto a conoscenza di un procedimento penale, può essere direttamente immesso in un processo penale?

Ed ecco come la norma de qua vede partorita la naturale e primaria funzione di innescare, letteralmente, un vero e proprio contraddittorio fra il P.M. e l’indagato. Questo perché, detto altrimenti, l’indagato potrebbe – a seguito della presa visione completa di tutti gli atti del fascicolo del Pubblico Ministero depositati presso la segreteria dello stesso – fornire una versione diametralmente opposta, avvalorata da altri inevitabili elementi oltre alle parole dell’indagato (si pensi al deposito del Fascicolo del Difensore contenente elementi contrari e provati) che riesca a scardinare nel dettaglio la versione della pubblica accusa e a ricostruirne un’altra, ricca di valore e, di certo, di validità.

Ergo, il 415-bis c.p.p. offre anzitutto garanzia all’indagato, che si vede innanzi un quadro completo della sua situazione penale senza temére che quella fornita sia una ricostruzione parziale (il P.M. ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., non soltanto di raccogliere tutti gli elementi anche a favore della persona indagata ma di metterli, sempre, a disposizione della controparte. Cosa che non avviene dalla parte della difesa che può non mettere mai a disposizione della pubblica accusa ciò che va a scapito del suo assistito. E ciò per una ragione più che intuibile e cioè la diversità di piano su cui operano i due: il difensore ha quale scopo ultimo la difesa del suo assistito, il pubblico ministero ha quale indefettibile finalità, essendo parte pubblica, non solo il raggiungimento della verità ma anche l’interesse dell’intera collettività).

Garanzia rafforzata dal contenuto dello stesso Avviso che deve contenere altresì: “la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con l’avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia.” Ciò permette, ante omnia, di conoscere sommariamente un quadro generale per poi prendere visione completa degli atti e cercare di indirizzare la pubblica accusa verso la richiesta di archiviazione.

E i modi attraverso i quali l’indagato può farlo sono molteplici: -Deposito memorie scritte: si tratta di una mera dichiarazione scritta che non deve seguire alcuna formalità per cui può essere redatta dallo stesso indagato; -Deposito fascicolo del difensore. Il difensore può, se ha ricevuto nel corso delle indagini preliminari un mandato scritto dal suo assistito, svolgere indagini difensive. Indagini che andranno – ex articolo 391-octies c.p.p. – a confluire direttamente nel suo fascicolo. Fascicolo che non prevede alcun obbligo di essere depositato, anzi, potrebbe rimanere per sempre nello studio dello stesso. Ma vi sono ipotesi (invero è raro il contrario) in cui quel fascicolo potrebbe rivelarsi fondamentale per la sorte dell’assistito e questa è una di quelle; -Richiesta di indagini suppletive poiché incomplete o lacunose; -Interrogatorio o spontanea dichiarazione.

Delle quattro, l’unica che deve essere assicurata è, pena invalidità di tutto ciò che ne segue, la richiesta di interrogatorio o spontanea dichiarazione che non può mai essere preclusa.

Posta l’evidente importanza di siffatta notifica nell’ambito del processo penale occorre ora soffermarsi sul secondo aspetto, del pari importante, che mette luce su alcuni aspetti alquanto discutibili.

L’avviso si estende anche al difensore della persona offesa e, in sua mancanza, alla stessa persona offesa, per i reati di cui al 572 e 612-bis c.p.

Sorge ora spontaneo interrogarsi sulla ratio legis di codesta previsione normativa.

Si intuisce bene come, in tale espressa ipotesi di notifica del 415-bis c.p.p. alla persona indagata, il pubblico ministero sia ben orientato all’esercizio dell’azione penale e quindi come la persona offesa dal reato ne sia già ben rappresentata e tutelata. Quale scopo ha allora la notifica del 415-bis anche alla persona offesa dal reato?

Se difatti, nulla quaestio in ipotesi di notifica della richiesta di archiviazione (quando comunque la stessa lo abbia espressamente richiesto nel corso del procedimento penale) o in ipotesi di proroga delle indagini, in cui si ravvisa tutto l’interesse della stessa persona offesa ad opporvisi o comunque a venirne a conoscenza, questa non si rinviene in ipotesi di 415-bis cpp.

È indubbio come l’intero procedimento penale ruoti intorno alla figura di una persona offesa da un reato che sente la necessità, ed invero ha tutto il diritto, di veder ripristinata la sua situazione giuridica lesa in seguito al comportamento illecito del presunto autore del reato.

Ma viene altrettanto in rilievo come, molto spesso, la formulazione delle norme giuridiche e le previsioni ivi contenute siano più frutto di una scelta operata dal legislatore sulla scorta di richieste provenienti dall’opinione pubblica: si pensi così, a titolo esemplificativo, allo stesso arresto in flagranza – si badi, obbligatorio – previsto  in ipotesi di omicidio stradale, se il conducente versa in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti: verosimilmente sarebbe più opportuno, sulla scorta di tutto il nostro impianto procedurale, far rinvenire il soggetto in apposito istituto di recupero per la salute mentale e fisica, senza con questo evitare allo stesso la sanzione prevista in una simil situazione. Eppure, il nostro legislatore, introducendo con Legge n.  41 del 23 marzo 2016 le fattispecie di reato di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime, ha contestualmente previsto la possibilità – rectius, l’obbligo – dell’arresto in flagranza. E in tale ipotesi, quale ulteriore lesione al bene giuridico protetto potrebbe esserci essendosi già consumato un omicidio?

Ed ecco come, anche in questa fattispecie, data la delicatezza degli illeciti penali rinvenuti negli articoli 572 e 612-bis c.p. – stiamo rispettivamente discorrendo di Maltrattamenti in famiglia e Atti persecutori, volgarmente “Stalking” – si è preferito far pervenire anche alla persona offesa dal reato l’avviso di conclusione delle indagini senza però, de facto, che questa possa partecipare al contraddittorio fra prossimo, possibile, imputato e P.M. e senza poter far pervenire memorie.


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