La rilevanza dell’accordo nella cessione di sostanze stupefacenti
Copiosa è la produzione giurisprudenziale in materia di cessione di sostanze stupefacenti, diretta a chiarire, in primis, il momento consumativo del reato, nonché la possibilità di ravvisare una forma di tentativo ed, in ultimo, la stretta correlazione che tale fattispecie delittuosa presenta con i principi del diritto civile.
L’art. 73 d.p.r. 309/90 punisce la condotta di colui che “ coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope…” .
Pacifica è la giurisprudenza nel ritenere che “il reato di cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra il venditore e l’acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce” (cass. pen. Sez. I n. 20020 del 2013).
Il presupposto, dunque, necessario ai fini della configurabilità di tale reato è il mero accordo che interviene tra il cedente e l’acquirente, non rilevando, invece, l’effettiva e concreta traditio cioè la materiale consegna della merce.
Da tale assunto, tuttavia, sorgono diverse questioni che necessitano di un’attenta analisi al fine di individuare la responsabilità penale dei soggetti coinvolti nella commissione di tale crimine:
Quando l’accordo si ritiene concluso?
È necessario l’accertamento concreto di talune circostanze che dichiarino fondata la proposta del cedente?
L’aspettativa dell’acquirente deve essere soddisfatta ai fini della validità dell’accordo e quindi della consumazione del reato?
Ai sensi dell’art. 1376 c.c. il contratto ad effetti reali si conclude nel momento in cui si perviene ad un accordo tra le parti, a prescindere, dunque, dall’effettiva consegna della res e della rispettiva corresponsione del prezzo pattuito.
Tale principio è trasposto, integralmente, nell’ambito penale che regola la materia degli stupefacenti, atteso che la cessione degli stessi configura una fattispecie criminosa a seguito del mero accordo che interviene tra cedente e cessionario; a nulla rilevando, tra l’altro, che il principio consensualistico di diritto civile è diretto a regolamentare rapporti ritenuti leciti dall’ordinamento giuridico e non rapporti come la cessione di sostanze stupefacenti che (ad esclusione dei trattamenti sanitari consentiti) è di per sé un contratto illecito. Ciò si desume dalla volontà dello stesso legislatore che, elencando, nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, le condotte, soggette alla sanzione penale, nelle quali ravvisa la “produzione e il traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope”, esige si ritenga che il reato di acquisto di sostanza stupefacente si consuma prescindendo dalla consegna della res, si consuma, cioè, nel momento in cui interviene l’accordo tra le parti sulla quantità e qualità della sostanza e sul prezzo.
Si considera, altresì, che la volontà legislativa diretta a punire la cessione di sostanza di stupefacenti nel momento in cui sopraggiunge l’accordo tra i soggetti persegue un’ulteriore finalità e, cioè, quella di distinguere la condotta della “cessione” cioè il trasferimento della signoria, del dominio della merce, dalla “detenzione”, che, invece, consiste nella statica disponibilità della sostanza; si ritiene, infatti, che qualora si dovesse punire solo il momento dell’avvenuta traditio a nulla servirebbe distinguere la cessione dalla detenzione atteso che la prima si configurerebbe come un ante-factum necessario per la realizzazione della seconda.
Alla luce di quanto esposto, si procede a qualificare la cessione di sostanze stupefacenti come un reato a consumazione anticipata, in virtù del quale il legislatore sanziona tutte quelle condotte prodromiche alla effettiva e concreta lesione del bene giuridico protetto, nella specie la tutela della salute pubblica, al fine di predisporne, appunto, una tutela anticipata.
In questo contesto di anticipazione della soglia di punibilità ricavare uno spazio per il tentativo di vendita e di cessione di stupefacente sarebbe, pertanto, concettualmente impossibile, avendo il legislatore, nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, “anticipato, quanto alla vendita e alla cessione di sostanze stupefacente, la soglia della punibilità con la previsione delle condotte di messa in vendita e di offerta, che, sicuramente antecedenti alla vendita e alla cessione, si connotano, diversamente dalla vendita e dalla cessione, per la non avvenuta “dazione” e, secondo la giurisprudenza, per la non “immediata disponibilità” della droga, essendo sufficiente la semplice “dichiarazione dell’agente” purché realizzabile e non priva di serietà” (Sez. IV, sentenza n. 44621 del 2005).
Alla luce di quanto esposto, si desume che l’accordo si ritiene concluso nel momento in cui vi è lo scambio di proposta ed accettazione da parte dei soggetti coinvolti e, proprio in quel momento, oltre al perfezionarsi dell’accordo si consuma anche il reato di cessione di sostanze stupefacenti.
Allorquando, invece, alla proposta del cedente non segue l’accettazione dell’acquirente e quindi l’accordo non si conclude, si configura non un tentativo di cessione (dichiarato inammissibile), ma si perfeziona il distinto reato di offerta o messa in vendita di sostanze stupefacenti previsto dal medesimo art. 73 d.p.r. 309/90, che ha come presupposti necessari, esclusivamente, la serietà e la realizzabilità della proposta avanzata.
A questo punto è opportuno capire quando l’accordo della cessione diviene rilevante per il diritto penale, se, dunque, la proposta e la relativa accettazione dello scambio di sostanza stupefacente sono sufficienti ad integrare il reato suddetto o è necessario un accertamento concreto dell’esistenza della sostanza, della sua effettiva disponibilità da parte del cedente, nonché della componente di principio attivo drogante presente nella stessa.
Con particolare riferimento alla disponibilità della sostanza, la giurisprudenza considera il fatto che il venditore non disponga al momento della conclusione dell’accordo del quantitativo pattuito, ma sia in grado di procurarselo e di consegnarlo entro breve tempo, del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato e ciò “non equivale ad una inesistenza originaria e assoluta dell’oggetto dell’azione, ne’ determina una inefficienza causale della condotta, non potendo, dunque, far ricorso alla figura del reato impossibile prevista dal secondo comma dell’art. 49 cod. pen.” (Sez. 6, Sentenza n. 5301 del 12/12/1995).
Non rileva, invero, che l’alienante abbia o meno un contatto fisico con la res contestuale alla conclusione dell’accordo, poiché si presuppone che lo stesso già detenga la merce. È dunque sufficiente, perché il delitto in oggetto possa ritenersi consumato, che l’agente abbia posto in essere tutto quanto necessario per acquisire la proprietà, e quindi la disponibilità dello stupefacente; condizione che diviene un necessario presupposto affinché, una volta intervenuto l’accordo, si ponga la droga a disposizione dell’acquirente ovunque essa si trovi e sia riposta, a prescindere da chiunque materialmente la possieda, evidentemente per conto d’altri.
Con riguardo, invece, all’accertamento della capacità stupefacente della sostanza ceduta, la Suprema corte ha ritenuto necessario l’espletamento di una valutazione volta a dimostrare, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio sia di entità tale da poter produrre in concreto l’effetto drogante (Sez. 6, sentenza n. 8393 del 2013).
Pertanto, se irrilevante è la immediata disponibilità della sostanza, è strettamente necessario, invece, che si effettui un accertamento concreto per individuare la percentuale di principio attivo della stessa e marcare dunque il confine tra la penale rilevanza o irrilevanza della condotta di cessione.
Un ultimo aspetto da chiarire riguarda l’aspettativa maturata dall’acquirente; in riferimento alla quale la giurisprudenza ritiene la non rilevanza della verifica della corrispondenza della merce consegnata rispetto a quella pattuita.
Precisamente, se nel diritto civile la formale accettazione esplica i suoi effetti solo se il bene consegnato è lo stesso di quello pattuito in sede di accordo, nel diritto penale tale principio non può essere interamente traslato. Si ritiene, infatti, che l’acquirente è responsabile per il sol fatto di aver accettato l’acquisto di una sostanza stupefacente, a prescindere dalla concreta quantità o qualità della stessa, e, pertanto, si argomenta nel senso che la mancata verifica della rispondenza della droga alle aspettative dell’acquirente potrebbe avere rilievo solo laddove se ne accertasse la natura non stupefacente.
Le ragioni di ciò si rinvengono nell’assunto su esposto in virtù del quale il legislatore mira ad anticipare la tutela del bene-salute pubblica e, pertanto, deve prevenire la commissione di fatti che abbiano ad oggetto qualunque forma di cessione o messa in vendita di sostanze stupefacenti.
Alla luce delle considerazioni effettuate è possibile ricavare le seguenti conclusioni:
L’accordo si perfeziona con lo scambio di consensi delle parti;
Le circostanze dell’avvenuto accordo di cessione rilevano nella misura in cui il cedente abbia la disponibilità, anche non materiale e immediata, di sostanze con una elevata percentuale di principio attivo drogante da accertare in concreto;
Irrilevante è la disattesa aspettativa dell’acquirente con riferimento alla merce effettivamente ottenuta dal cedente.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.
Chiara Lucia Curci
Latest posts by Chiara Lucia Curci (see all)
- Il fenomeno del Capolarato tra origine e attualità - 11 April 2020
- La rilevanza dell’accordo nella cessione di sostanze stupefacenti - 27 April 2018